RIFLESSIONI DAL TERZO PIANETA

Il sistema solare questo sconosciuto

La recente scoperta del planetoide 2012 VP113 ben oltre l'orbita di Nettuno porta alla ribalta gli studi sulle più estreme propaggini del Sistema solare, lontane e assai difficili da indagare. Per spiegarci le loro caratteristiche, la loro storia e le proprietà degli oggetti che le popolano, Diego Turrini e Giovanni Valsecchi, dell'INAF-IAPS

     04/04/2014

Kuiper-Belt-and-the-Clouds-of-OortParlando in termini astronomici, se la Terra è la nostra casa, il Sistema solare ne è appena il giardino e, nonostante ciò, la sua esplorazione per noi è tutt’altro che terminata. Basta poi affacciarci appena oltre di esso, ed ecco che spuntano ulteriori, nuove sorprese. Come l’ultima, appena della settimana scorsa, riguardante la scoperta di un nuovo pianeta nano ben oltre l’orbita di Nettuno. E 2012 VP113, questa la sua sigla, certamente non è il solo della sua specie là fuori. A precederlo infatti c’è stata, nel 2003 la scoperta di Sedna. E probabilmente altre centinaia di ‘cugini’ sono ancora in attesa di uscire dall’anonimato.

Cerchiamo allora di capire meglio le caratteristiche e la storia evolutiva di queste remote e allo stesso tempo labili ‘Colonne d’Ercole’ del Sistema solare, in compagnia di Diego Turrini, planetologo dell’INAF-IAPS di Roma.

“Quello che c’è oltre l’orbita di Nettuno, che ora viene denominata regione transnettuniana invece della vecchia denominazione di fascia di Kuiper, è una zona simile alla fascia degli asteroidi, ma che occupa una regione molto più grande e con una densità di materia molto più bassa, i cui oggetti sono composti essenzialmente di ghiacci, visto che a quelle distanze non è solo l’acqua a cristallizzare ma anche l’ammoniaca e i composti del carbonio, come il monossido e il biossido di carbonio” spiega Turrini. “Quella regione è popolata da una serie di composti ghiacciati misti a rocce delle dimensioni che vanno dal metro a qualche centinaia di metri, fino a oggetti delle dimensioni comparabili a Plutone”.

Plutone, lo ricordiamo, è stato declassato a pianeta nano nel 2006 dall’Unione Astronomica Internazionale poiché, a differenza degli altri pianeti del Sistema solare esterno, in realtà non occupa una zona vuota, ad eccezione dei suoi satelliti, ma invece popolata di tutti questi oggetti di dimensioni più o meno piccole. In più ci sono anche altri oggetti celesti che possiedono orbite in risonanza con esso, che per questa proprietà sono stati ribattezzati ufficiosamente ‘Plutini’.

“Queste informazioni ci dicono che Plutone è sì il pianeta più massiccio che esiste in quella regione del Sistema solare, ma non ha completato il suo processo di formazione, cioè non è diventato un pianeta vero e proprio, ma è rimasto nano” prosegue Turrini. “E parte del materiale che avrebbe potuto accrescere è a tutt’oggi in orbita attorno al Sistema solare ed è rappresentato proprio da questi oggetti transnettuniani.

Approfondendo gli studi si è poi scoperto che esistono due popolazioni di corpi celesti all’interno della regione transnettuniana: una su orbite a bassa inclinazione e bassa eccentricità, quindi più circolari, che viene chiamata la componente ‘fredda’ e dovrebbe rappresentare gli oggetti celesti più primordiali, l’altra con orbite più eccentriche ed inclinazioni più elevate che si ritiene siano il residuo di una popolazione di oggetti che esisteva già all’epoca in cui Urano e Nettuno si trovavano su orbite più interne nel Sistema solare primordiale.  Quando i due pianeti giganti si sono spostati verso l’esterno, durante il periodo che prende il nome di Late Heavy Bombardment, ne hanno modellato le orbite peculiari che oggi ci mostrano. In realtà a questi oggetti, che si trovano a distanze comprese tra circa 30 e 50 unità astronomiche (ovvero tra circa 4,5 e 7,5 miliardi di chilometri)  si sono aggiunti nel 2003 Sedna e quest’anno 2012 VP113, che possiedono traiettorie ancora più allungate, con il semiasse maggiore delle loro orbite dell’ordine delle 75 unità astronomiche, e con elevata eccentricità. Questo vuol dire che si possono allontanarsi fino a centinaia di unità astronomiche dal Sole, ovvero fino a decine di miliardi di chilometri da noi”.

La natura di questi oggetti, che si trovano in una zona intermedia tra la regione transnettuniana e la Nube di Oort (ancora più lontana, a migliaia di unità astronomiche) è ancora poco chiara. L’idea di base è che la regione transnettuniana sia il residuo di un disco di materiali presente ai tempi della formazione del Sistema solare, mentre la nube di Oort sia composta oggetti ancora più distanti che, seppure ancora legati gravitazionalmente al Sole, sono maggiormente influenzabili dal passaggio di stelle vicine, che distribuiscono così la loro orbita in una nube sferica che circonda il Sistema solare.

oortcloud2“Tra La nube di Oort e la regione transnettuniana c’è una regione intermedia che fondamentalmente si pensava vuota ma che le recenti scoperte stanno rivelando essere popolata da altri oggetti. Il problema di studiare questi oggetti è che si muovono molto lentamente, quindi è difficile osservare il loro moto orbitale. Inoltre la loro distanza dal Sole fa sì che la luce che riflettono sia estremamente bassa. Se noi guardassimo questa distribuzione di oggetti dall’esterno, come se fossimo su un’altra stella, probabilmente questa nube di Oort ci apparirebbe come un disco di detriti (debris disk) proprio come le strutture diffuse di polveri che vengono osservate intorno ad altre stelle. Ed è spesso proprio grazie a queste osservazioni che si riescono a identificare pianeti perché la distribuzione della materia che compone questi dischi può presentare delle regioni vuote o invece delle strutture ordinate di materia – simili se vogliamo agli anelli di Saturno. In entrambi i casi, a determinarle è la presenza di pianeti nascosti proprio da queste nubi di  detriti. Allo stesso modo, probabilmente, un extraterrestre che osservasse dall’esterno il Sistema solare per prima cosa individuerebbe proprio la nube di Oort più che i pianeti come la Terra”.

Noi purtroppo non possiamo sperare di ricevere una telefonata da ET per descriverci questa visione e dobbiamo accontentarci di indagare questi confini dalla nostra posizione, con tutti i limiti che ne conseguono. Come si può però migliorare la nostra conoscenza di queste lontane regioni del nostro Sistema solare?

“La soluzione migliore è quella di attaccare il problema da più direzioni” prosegue il planetologo. “Intanto con le missioni spaziali, nonostante i lunghi tempi che prevedono per il volo e per raggiungere l’obiettivo: ad esempio la sonda New Horizons della NASA sta raggiungendo Plutone, lo studierà e dovrebbe poi effettuare un passaggio ravvicinato di un altro oggetto transnettuniano, in modo tale da capire qual’è la natura e la composizione di questi oggetti, per ottenere nuove preziose informazioni su dove si siano formati e che cosa ci possano dire. C’è poi l’idea di completare la nostra conoscenza anche di Urano e Nettuno: dove si sono formati? Hanno migrato prima di raggiungere le loro attuali posizioni nel Sistema solare? E se sì, di quanto? A queste domande si potrebbe rispondere con missioni come Odinus e Loki. Sono poi in corso delle campagne osservative, come quella che ha portato alla scoperta di 2012 VP113 per aumentare la statistica e individuare nuovi oggetti di quella classe, per capire quanto è vuoto lo spazio al di fuori del Sistema solare”.

Un’idea questa condivisa anche da Giovanni Valsecchi, esperto di dinamica planetaria e collega di Turrini all’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali dell’INAF, che abbiamo coinvolto per raccontarci meglio le proprietà di questo nuovo corpo celeste e per commentare le conclusioni degli autori della scoperta, Scott Sheppard e Chadwick Trujillo. I ricercatori infatti, per giustificare la conformazione così peculiare dell’orbita del planetoide suggeriscono la presenza di un corpo ‘perturbatore’ di grande massa oltre i confini del Sistema solare, una super-Terra insomma. Una spiegazione che non convince in realtà diversi ricercatori, compreso Valsecchi. Se siete curiosi di sapere il perché, seguiteci la prossima settimana con la seconda parte di questo viaggio ai confini (ed oltre) del Sistema solare!