GUARDARE GLI ESOPIANETI NEL VISIBILE

Fotografa un esopianeta, con lo smartphone

Fotografare un pianeta lontano con una fotocamera digitale? L'Università dell'Arizona mette alla prova la stessa tecnologia di imaging delle fotocamere digitali per raccogliere uno scatto di un pianeta distante 63,4 anni luce dalla Terra. E il Magellan Telescope in Cile si trasforma in paparazzo spaziale

     06/03/2014
Beta Pictoris b nell’obiettivo della Magellan Adaptive Optics VisAO camera. L’esopianeta orbita intorno alla sua stella più o meno alla stessa distanza che c’è fra Saturno e il Sole.

Beta Pictoris b nell’obiettivo della Magellan Adaptive Optics VisAO camera. L’esopianeta orbita intorno alla sua stella più o meno alla stessa distanza che c’è fra Saturno e il Sole.

I ricercatori dell’Università dell’Arizona hanno ritratto un pianeta esterno al nostro sistema solare con un telescopio da Terra e utilizzando sostanzialmente lo stesso tipo di sensore che si può trovare in una fotocamera digitale, sostituendolo ai tradizionali rilevatori a infrarossi. Certo la tecnologia deve ancora fare passi da gigante, ma per l’astronomia è un piccolo passo avanti nella raccolta di immagini utili a identificare pianeti simili alla Terra in orbita attorno ad altre stelle.

“È un passo importante nello studio dei pianeti extrasolari. Le immagini in luce visibile sono probabilmente ciò di cui abbiamo maggiore bisogno per individuare pianeti che potrebbero essere adatti a ospitare la vita”, spiega Jared Males, NASA Sagan Fellow dell’Università e primo autore dello studio.

Anche se l’immagine catturata è a una lunghezza d’onda ai limiti del visibile, l’aver usato un sensore simile a quelli impiegati nella fotografia digitale apre una possibilità a nuovi scatti a colori prima impossibili per un telescopio da Terra.

Tutte le immagini di pianeti extrasolari scattate da Terra fanno parte di scansioni a infrarossi di sistemi solari esterni al nostro dove è possibile individuare il calore dei pianeti in orbita. Questo limita i rilevamenti a giganti gassosi e pianeti ancora sufficientemente caldi e giovani da garantire emissioni consistenti. Al contrario i pianeti più anziani, e potenzialmente abitabili, ormai raffreddati non si mostrano così facilmente in immagini a infrarossi.

“Il nostro obiettivo finale è quello di raccogliere immagine che noi chiamiamo pale blue dots ”, afferma Laird Close, professore del Dipartimento di Astronomia dell’università e coautore del paper. “Dopo tutto, anche la Terra è blu ed è in quella lunghezza d’onda che vorremo trovare altri pianeti”.

Il Magellan Telescope presso l'Osservatorio di Las Campanas in Cile.

Il Magellan Telescope presso l’Osservatorio di Las Campanas in Cile.

Il pianeta fotografato, chiamato Beta Pictoris b, orbita intorno alla sua stella più o meno alla stessa distanza che c’è fra Saturno e il nostro Sole. Nelle immagini ottenute dalla fotocamera, Beta Pictoris b si mostra circa 100.000 volte più debole della sua stella, il che lo rende l’oggetto meno brillante ripreso finora a un contrasto così elevato e in posizione tanto vicina alla sua stella. Le immagini ci permettono di stabilire che la sua atmosfera è a una temperatura prossima ai 2600 gradi Fahrenheit. Per una massa stimata in circa 12 volte quella di Giove .

“Dal momento che il sistema Beta Pictoris si trova a 63,4 anni luce dalla Terra, la situazione è simile a quella di una moneta accanto a un faro abbagliante e vista da oltre 6 chilometri di distanza”, aggiunge Males. “La nostra immagine ha il più alto contrasto mai raggiunto su un pianeta extrasolare così vicino alla sua stella”.

Oltre ai problemi creati dalla luminosità della stella, gli astronomi hanno dovuto affrontare le turbolenze dell’atmosfera terrestre. La soluzione è stata trovata con un sistema di ottica adattiva sviluppato dal team di Close, grazie a uno specchio deformabile capace di cambiare ottica rapidamente e in tempo reale.

“L’elaborazione del segnale conferma che il minuscolo punto di luce è davvero un pianeta e non una macchia dovuta al rumore”, dichiara Katie Morzinski, Sagan Fellow e membro del team MagAO. Una seconda immagine nello spettro infrarosso – in cui il pianeta caldo brilla –ha permesso di verificare l’immagine in luce visibile.