Immaginate di guidare su un’autostrada e di chiudere gli occhi (non fatelo, per carità): dopo quanto tempo, in media, andreste a colpire un altro veicolo? Chiaramente, la durata temporale prima della collisione dipende sia dal traffico autostradale sia dalla velocità relativa rispetto alle auto vicine. Più trafficata è l’autostrada, minore sarà il tempo prima dell’inevitabile incidente. Ora immaginate di essere un satellite artificiale in orbita attorno alla Terra; in questo caso la situazione è peggiore di quella dell’autostrada perché, mentre lì le auto viaggiano parallele, le orbite dei satelliti possono avere inclinazioni diverse e le traiettorie si incrociano ad alta velocità, dell’ordine di 10 km/s. In queste condizioni, quanto tempo passerà prima di una collisione con un altro satellite se il nostro non può cambiare orbita? Si tratta di una domanda molto interessante, perché ci aiuta a comprendere quanto la situazione dell’ambiente spaziale circumterrestre possa essere complessa e fragile.

Scie di satelliti e detriti spaziali ripresi in una regione di cielo di 9°×6° nell’arco di cinque minuti dalla Stazione astronomica di Loiano, il 27 dicembre 2025, un’ora e mezza dopo il tramonto. Crediti: A. Carbognani/Inaf-Oas
Negli ultimi anni lo spazio vicino alla Terra è diventato estremamente congestionato a causa dell’aumento esponenziale dei satelliti artificiali messi in orbita; in particolare, le megacostellazioni come Starlink hanno drasticamente aumentato il numero di oggetti in orbita geocentrica. Sebbene i satelliti offrano numerosi vantaggi, il loro utilizzo comporta sfide, tra cui l’aumento del numero di detriti spaziali, le collisioni, i rischi di incidenti a terra, l’inquinamento dello spettro ottico e radio, nonché l’alterazione dell’atmosfera superiore terrestre dovuta alle emissioni dei razzi e alla disintegrazione dei satelliti a causa del rientro in atmosfera.
Che il numero di satelliti sia elevato lo si può verificare qualitativamente di persona riprendendo una serie di immagini della durata di almeno dieci secondi ciascuna a ovest, circa un’ora e mezza dopo il tramonto del Sole: ogni immagine conterrà facilmente una o più scie luminose lasciate dai satelliti in orbita bassa terrestre ancora illuminati dal Sole. Questo fenomeno non è solo quantitativo — ossia un aumento del numero di satelliti — ma ha conseguenze profonde sulla dinamica dell’ambiente orbitale e sul rischio di collisioni catastrofiche che impedirebbero l’uso dello spazio per scopi civili. In base alle statistiche rilasciate dall’Esa e aggiornate al 21 ottobre 2025, in orbita geocentrica ci sono 12900 satelliti funzionanti e 30610 satelliti in disuso e space debris, per un totale di oltre 43500 oggetti catalogati. Non tutti gli oggetti sono catalogati; a causa delle oltre 650 frammentazioni, esplosioni, collisioni avvenute finora, si stima la presenza di 1,2 milioni di space debris fra 1 e 10 cm di diametro e ben 140 milioni fra 1 mm e 1 cm: una situazione decisamente affollata, che rende sempre più rischiosa la vita dei satelliti operativi, Starlink compresi.
In effetti, secondo l’ultimo rapporto semestrale di SpaceX, i soli satelliti Starlink hanno effettuato ben 144.404 manovre anticollisione tra il 1° dicembre 2024 e il 31 maggio 2025, ma se non potessero manovrare, che cosa accadrebbe? Un lavoro recentemente comparso su arXiv di Sarah Thiele, Skye Heiland, Aaron Boley e Samantha Lawler (2025) affronta questa situazione proponendo un nuovo modo di misurare quanto sia “fragile” l’ambiente orbitale. L’articolo è stato sottomesso a una rivista scientifica e sta attraversando la fase di referaggio, ma ha già attratto l’attenzione. Gli autori, infatti, introducono la metrica Crash clock (dove Crash è un acronimo per Collision Realization And Significant Harm), un indicatore del rischio di una collisione potenzialmente devastante che potrebbe verificarsi se tutte le manovre anticollisione fossero improvvisamente sospese o se si verificasse un importante black-out della sorveglianza spaziale per la determinazione delle orbite. In passato, la maggior parte delle analisi sulla fruibilità dello spazio orbitale si è concentrata su aspetti a lungo termine, ad esempio sul tentativo di capire quando potrebbe innescarsi la sindrome di Kessler. Il lavoro di Thiele e colleghi, invece, mira a quantificare il rischio immediato di una collisione catastrofica se le manovre di collision avoidance venissero improvvisamente a mancare — una situazione ipotetica, ma utile per misurare quanto sia fragile l’ambiente geocentrico oggi. Il risultato è che prima delle megacostellazioni — nel 2018 — lo “spazio libero da collisioni senza manovre” era relativamente lungo: circa 121 giorni. Nel 2025, secondo i calcoli degli autori, questo tempo è di soli 2,8 giorni, ben 40 volte inferiore al precedente. Questa drastica riduzione dei tempi è la prova dell’aumento esponenziale del rischio di collisione dovuto all’aumento delle costellazioni satellitari: per i soli Starlink il Crash clock vale 3,3 giorni.

Il tempo medio di un passaggio ravvicinato (< 1 km), in funzione della quota dell’orbita bassa terrestre. Dal 2018 al 2025 la situazione è notevolmente peggiorata nella fascia orbitale degli Starlink. Crediti: Thiele S. et al., 2025
Come si è giunti a questo risultato? Gli autori sono partiti dai cataloghi di oggetti in orbita — inclusi satelliti attivi e inattivi, stadi superiori di razzi e space debris — per creare un modello della distribuzione spaziale di questi oggetti, manovrabili o meno, fino a 2000 km dalla superficie terrestre. In pratica hanno considerato solo gli oggetti in Low Earth Orbit, ossia in orbita bassa. Invece di considerare la popolazione totale distribuita uniformemente nello spazio, gli autori assumono una densità media per strati di altitudine. Ad esempio, nello strato in cui opera la grande maggioranza dei satelliti Starlink (~550 km di quota), la densità è estremamente elevata — superiore di oltre un ordine di grandezza rispetto ai soli detriti. Da questa densità orbitale media si possono stimare i tassi attesi per gli incontri ravvicinati (congiunzioni a distanza inferiore a 1 km) e, successivamente, per le collisioni nell’ipotesi che non avvengano manovre anticollisione. Nell’analisi è stata scelta una distanza di congiunzione inferiore a 1 km, poiché corrisponde approssimativamente alla distanza alla quale si esegue una manovra di prevenzione delle collisioni, anche se dipende da chi gestisce il satellite. Nella parte più densa del guscio orbitale degli Starlink, ci si aspetta un passaggio ravvicinato (< 1 km) ogni 11 minuti: ciò è dovuto alla brevità dei periodi orbitali, che porta i satelliti a spazzare la stessa regione dello spazio diverse volte al giorno.
Lo studio ha dei limiti: ad esempio, usa solo oggetti catalogati, escludendo la vasta quantità di piccoli detriti non tracciati (con dimensioni inferiori a 10 cm) che potrebbero incrementare ulteriormente il rischio. Inoltre, le sezioni d’urto considerate per i satelliti, ossia l’area utile all’impatto, non tengono sempre conto delle dimensioni effettive. Nonostante le inevitabili approssimazioni, i risultati dell’articolo ci dicono che l’ambiente circumterrestre in orbita bassa è diventato fragile, poiché la sopravvivenza dei satelliti operativi dipende da un uso costante di manovre evasive e da un sistema di sorveglianza e controllo da terra, senza il quale ciò che prima poteva avvenire in un intervallo di tempo dell’ordine di mesi diventa possibile in pochi giorni.
Purtroppo l’esecuzione delle manovre evasive può diventare pericolosa. Ad esempio, nel maggio 2024 si è avuta una serie di brillamenti solari, con conseguenze dirette sulla vita dei satelliti. Nei tre giorni prima e dopo l’intensa tempesta geomagnetica del 10-11 maggio, più della metà di tutti i satelliti (per lo più Starlink) hanno manovrato sia a causa dell’aumentata resistenza atmosferica, sia per evitare collisioni successive al seguito di tutte le manovre. In tali condizioni, le incertezze di posizione possono facilmente raggiungere diversi chilometri, rendendo le manovre di prevenzione delle collisioni estremamente incerte. Inoltre, mentre la tempesta geomagnetica del maggio 2024 è stata la più intensa degli ultimi decenni, la Grande tempesta geomagnetica del 1859 è stata almeno il doppio più intensa. Che accadrebbe nell’orbita bassa se una tempesta geomagnetica, scatenata da un intenso flare solare, mettesse fuori servizio il sistema di navigazione dei satelliti oppure se un aggiornamento del software di navigazione contenesse un bug?
Per saperne di più:
- Leggi su arXiv l’articolo “An Orbital House of Cards: Frequent Megaconstellation Close Conjunctions” di Sarah Thiele, Skye R. Heiland, Aaron C. Boley, Samantha M. Lawler.
- Leggi su Media Inaf l’articolo “Cambiamento climatico e sindrome di Kessler”
- Leggi su Media Inaf la recensione del libro “Spazzini spaziali” di Ettore Perozzi






