Sulla base della loro composizione chimico-fisica, i pianeti del Sistema solare vengono tradizionalmente suddivisi in tre categorie: pianeti rocciosi, giganti gassosi e giganti di ghiaccio. Alla prima appartengono i mondi fatti di roccia, con una composizione dominata da silicati e metalli. Mercurio, Venere, Terra e Marte rientrano in questo gruppo. La seconda categoria annovera pianeti privi di superficie solida definita, composti principalmente da idrogeno ed elio. Fanno parte di questo gruppo Giove e Saturno. La terza categoria, infine, comprende mondi con piccoli nuclei rocciosi circondati da uno spesso strato di acqua, ammoniaca e metano, sostanze presenti nei pianeti sotto forma di fluidi supercritici, che gli addetti chiamano genericamente “ghiacci”. Urano e Nettuno sono i due mondi con tali caratteristiche.

Illustrazione artistica che mostra la struttura interna di un gigante di ghiaccio , a sinistra, e di un gigante di roccia, a destra. I risultati dello studio condotto dai ricercatori dell’Università di Zurigo, Luca Morf e Ravit Helled, suggeriscono che Urano e Nettuno potrebbero avere sia l’una che l’altra composizione. Crediti: Keck Institute for Space Studies/Chuck Carter
Un nuovo studio condotto da due scienziati dell’Università di Zurigo mette ora in discussione questa netta distinzione, quantomeno per ciò che riguarda i giganti ghiacciati. Pubblicati ieri sulla rivista Astronomy & Astrophysics, i risultati della ricerca suggeriscono infatti che Urano e Nettuno potrebbero essere fatti della stessa “pasta” del nostro pianeta: roccia. Lo studio non sostiene che i due mondi debbano essere classificati come pianeti ghiacciati o rocciosi. Piuttosto, mette in discussione l’idea che una composizione ricca di ghiacci sia l’unica possibile, suggerendo una nuova, intrigante ipotesi: quella dei “giganti di roccia”.
Per giungere a questa conclusione, i ricercatori hanno condotto sofisticate simulazioni che hanno combinato modelli teorici con dati osservativi, esplorando tutte le possibili composizioni interne dei due pianeti. Per farlo, hanno utilizzato come input un profilo di densità interna dei due mondi casuale. Il modello ha quindi calcolato il campo gravitazionale planetario corrispondente a quel profilo e lo ha confrontato con i dati osservativi. Effettuato il confronto, è stato prodotto l’output, ovvero una possibile composizione interna. Ripetendo l’intero processo migliaia di volte, i ricercatori hanno progressivamente affinato i risultati, ottenendo la migliore corrispondenza possibile tra simulazione e realtà osservata.
«L’attuale classificazione di Urano e Nettuno come giganti di ghiaccio è troppo semplificata», spiega Luca Morf, ricercatore all’Università di Zurigo e primo autore dello studio. «I modelli basati sulla fisica teorica richiedono troppe assunzioni, mentre quelli basati su dati empirici risultano troppo semplicistici», continua lo scienziato. «Nel nostro studio, abbiamo combinato i due approcci per ottenere modelli di composizione interna che sono al tempo stesso imparziali e fisicamente coerenti».
Il risultato? Dai modelli emerge che la composizione interna dei “giganti di ghiaccio” non è affatto limitata ai ghiacci (principalmente acqua). Al contrario, è possibile un’intera nuova gamma di strutture interne.
«Che la composizione di Urano e Nettuno non fosse limitata alla presenza di ghiacci è qualcosa che per primi abbiamo suggerito quasi 15 anni fa», osserva Ravit Helled, ricercatrice all’Università di Zurigo e principal investigator del progetto di ricerca. «Ora abbiamo un modello computazionale per dimostrarlo. Il nuovo intervallo di composizioni interne mostra che entrambi i pianeti potrebbero essere sia ghiacciati che rocciosi».
I risultati della ricerca non solo ridefiniscono la possibile natura di Urano e Nettuno, ma offrono anche spiegazioni a misteri di lunga data, come ad esempio la natura non dipolare dei campi magnetici dei due mondi. A differenza di quello terrestre, il campo magnetico di Urano e Nettuno è molto più complesso e caratterizzato dalla presenza di più di due poli. Secondo gli scienziati, le simulazioni offrono una lettura convincente per questa anomalia.
I nostri modelli indicano la presenza all’interno dei pianeti di strati di acqua ionizzata, spiegano i ricercatori. Tali strati, posti a profondità specifiche, potrebbero generare una dinamo in grado di riprodurre esattamente i campi magnetici multipolari osservati nei due pianeti. Dallo studio è emersa inoltre una differenza chiave tra i due mondi: il campo magnetico di Urano sembra originarsi a una profondità maggiore rispetto a quello di Nettuno.
La struttura interna di Urano e Nettuno rimane enigmatica non perché i due pianeti siano irraggiungibili, ma perché i dati necessari per comprenderla appieno non sono ancora disponibili, concludono gli autori. In vista di future missioni dedicate, il nostro metodo offre uno strumento flessibile e imparziale per interpretare i dati che arriveranno. Fino ad allora, soltanto una pluralità di modelli – e non uno soltanto – può restituire l’intero ventaglio di possibilità composizionali dei due giganti del Sistema solare.
Per saperne di più:
- Leggi su Astronomy & Astrophysics l’articolo “Icy or rocky? Convective or stable? New interior models of Uranus and Neptune” di Luca Morf e Ravit Helled






