Nella caccia alla materia oscura siamo sempre allo stesso punto: cercando la particella candidata, quando va bene si riesce a scoprire dove non è. A porre nuovi limiti. A escludere. E a stimolare l’avanzamento della ricerca, che non è poco. Su questa linea s’inserisce anche un nuovo studio, in uscita nel numero di novembre di Physical Letters B, dal titolo che riecheggia Matrix: “Dark matter: Red or blue?”.

In basso tutti i possibili diagrammi per lo scattering materia oscura-fotone propagato dal bosone di Higgs e dal gravitone nel gauge unitario. Fonte: A. Acar et al. PhysLettB, 2025. Crediti per la foto sullo sfondo: University of York
A poter essere rossa o blu, nel lavoro di Asli Acar e colleghi dell’Università di York (Regno Unito) non è una pillola né una particella, bensì la luce. Luce che diventerebbe più “rossa” o più “blu” non questa volta per l’effetto Doppler o per shift cosmologici ma per l’interazione – lo scattering, in questo caso – con la materia oscura. In particolare, potrebbe assumere una diversa sfumatura a seconda del tipo di materia oscura che incontra: lievemente più rossa se “interagisce” con particelle tipo Wimp, dunque weakly interacting, debolmente interagenti; lievemente più blu con particelle di materia oscura puramente gravitazionali. In questo secondo caso, quello in cui l’unica interazione è il cosiddetto scattering gravitazionale, si dovrebbero inoltre osservare effetti significativi sulla polarizzazione, sottolineano gli autori dello studio, rendendo così possibile distinguere fra le due possibilità attraverso futuri esperimenti.
La domanda sorge spontanea: la materia oscura non si caratterizza proprio per il suo non interagire con la radiazione elettromagnetica? Non proprio, dicono gli autori dello studio: non interagirebbe direttamente, ma indirettamente. L’analogia alla quale fanno ricorso per illustrare la loro ipotesi è quella dei sei gradi di separazione – l’idea che due persone qualsiasi scelte a caso sulla Terra siano fra loro collegate da un numero ridotto di conoscenti comuni. Acar e colleghi suggeriscono che una catena di connessioni simile potrebbe esistere tra le particelle: anche se la materia oscura non interagisce direttamente con la luce, potrebbe comunque influenzarla indirettamente attraverso altre particelle. Ad esempio, le Wimp potrebbero connettersi alla luce tramite una serie di particelle intermedie come il bosone di Higgs e il quark top. Lasciando così sui fotoni una sorta di firma cromatica – la “tinta” rosssastra o bluastra, appunto.
Lo studio mostra come queste interazioni indirette tra particelle potrebbero essere messe alla prova in esperimenti futuri, consentendo potenzialmente di escludere alcune teorie sulla materia oscura e concentrarsi su altre. Gli autori propongono dunque di tenere conto di queste possibilità nello sviluppo dei telescopi futuri – in particolare di quelli per raggi gamma. «È un’idea affascinante», conclude uno dei coautori dell’articolo, Mikhail Bashkanov, dell’Università di York, «e ciò che è ancora più entusiasmante è che, in determinate condizioni, questo “colore” potrebbe effettivamente essere rilevabile. Con il giusto tipo di telescopi di nuova generazione, potremmo misurarlo. Ciò significa che l’astronomia potrebbe dirci qualcosa di completamente nuovo sulla natura della materia oscura, rendendo la sua ricerca molto più semplice».
Per saperne di più:
- Leggi su Physical Letters B l’articolo “Dark matter: Red or blue?”, di A. Acar, C. Isaacson, M. Bashkanov e D.P. Watts






