TRASCRIZIONE DELLA DICIASSETTESIMA PUNTATA DI “HOUSTON”

Akatsuki: cinque anni per raggiungere Venere

Il primo appuntamento con Venere dei giapponesi è stato un fiasco totale. Arrivati puntuali, nel momento cruciale hanno perso Akatsuki, ritrovandola in un’orbita completamente diversa e problematica. Per tornare a Venere ci sono voluti cinque anni, ma poteva andare peggio se non fosse intervenuto un giovane italiano che con la missione non c’entrava nulla, ma si trovava nel posto giusto al momento giusto. Lui è Stefano Campagnola e ora lavora alla Nasa

     27/08/2025

Quella che segue è la trascrizione del diciassettesimo episodio di Houston, un podcast di Media Inaf che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali. Ideato, realizzato e condotto da Valentina Guglielmo, quest’episodio – pubblicato per la prima volta il primo giugno 2025 – è dedicato alla sonda interplanetaria Akatsuki della Jaxa, l’agenzia spaziale giapponese, e ha come ospiti Stefano Campagnola, oggi mission designer al Jet Propulsion Laboratory della Nasa, e Sanjay Limaye, astrofisico alla University of Madison-Wisconsin. Potete ascoltarlo su Apple Podcasts, su Spotify e su YouTube. Oppure direttamente da qui.


Crediti per l’immagine artistica di Akatsuki: Jaxa

Stefano Campagnola
Tu puoi immaginare questi del team di Akatsuki che si vedono questo italiano, appena finito il dottorato che arriva lì e gli dice “salvo la missione!” (ride), non sarebbero proprio contentissimi diciamo…giustamente.

[Inizio musica]

Valentina Guglielmo
Chi è questo giovane italiano che irrompe nel bel mezzo di un fallimento e pretende – davanti agli attoniti colleghi giapponesi – di salvare la situazione? Si chiama Stefano Campagnola, ed è uno che sa bene che nello spazio il quarto d’ora accademico non esiste. Entrare in orbita attorno a un pianeta è un appuntamento che non ammette ritardi, né imprecisioni. Bisogna frenare molto, e bisogna frenare a lungo. Il 7 dicembre 2010 la sonda dell’agenzia spaziale giapponese Akatsuki è giunta puntuale al suo appuntamento con Venere, si è girata di 180 gradi, e ha acceso per la prima volta il suo motore principale per poter frenare. Per essere catturata dalla gravità del pianeta avrebbe dovuto continuare la manovra per 12 minuti circa. Subito dopo l’accensione dei propulsori, come previsto, Akatsuki ha fatto il giro attorno a Venere sparendo per diversi minuti. Una manovra cieca, ma inevitabile. Per dichiarare concluso l’inserimento in orbita, da terra pensavano di dover attendere 22 minuti, quando la sonda sarebbe ricomparsa da dietro il pianeta. Ci vollero invece cinque anni. Esattamente cinque anni: dovettero attendere fino al 7 dicembre 2015. Che cosa è successo mentre la sonda era nascosta dietro a Venere?

In questa puntata ascolteremo quindi il racconto di Stefano Campagnola, ora mission designer al Jet Propulsion Laboratory della Nasa, e di Sanjay Limaye, astrofisico alla University of Madison-Wisconsin.

Io sono Valentina Guglielmo e questo è un podcast di Media Inaf che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali. Si chiama Houston.

[Fine musica]

Sanjay Limaye
There was zero doubt in the team that it was gonna work. I was there for…

[Doppiaggio Sanjay Limaye]
Nel team non c’erano dubbi sul fatto che avrebbe funzionato. Ero presente a quell’inserimento, ci è stato permesso di entrare nella sala di controllo e abbiamo potuto osservare e vedere quello che stava accadendo dalla telemetria

Valentina Guglielmo
So, nobody was worried? Everybody was confident….

[Doppiaggio Sanjay Limaye]
Nessuna preoccupazione. Tutti erano fiduciosi che ce l’avremmo fatta. Non ho mai visto tanta fiducia prima d’ora, in nessun team.

Valentina Guglielmo
Forse qualcuno, sentendo queste parole di Sanjay Limaye, sarà rimasto stupito per tanta sicurezza, o magari avrà sorriso pensando a un pizzico di presunzione. Sanjay Limaye, professore di astrofisica all’Università del Wisconsin-Madison, che per il team di Akatsuki si sarebbe occupato dell’analisi dei dati scientifici, stava facendo riferimento a ciò che accadde il 7 dicembre 2015 al centro di controllo dell’ISAS, la divisione dell’agenzia spaziale giapponese, la Jaxa, che si occupa delle operazioni alle missioni. L’equivalente giapponese del centro Esoc dell’agenzia spaziale europea, a Darmstadt, per intenderci.

Parla, dicevamo, dell’inserimento in orbita attorno a Venere della missione giapponese Akatsuki. E tanta fiducia, in verità, non è casuale. È il risultato, piuttosto, di una vicenda durata cinque anni esatti, e cominciata proprio lo stesso giorno, il 7 dicembre 2010.

Quel giorno Akatsuki doveva effettuare una manovra lunga e molto costosa per inserirsi in orbita attorno a Venere, dov’era giunta dopo alcuni mesi di viaggio. Ma come abbiamo sentito nell’introduzione a questo episodio, e come ormai avrete capito, qualcosa andò storto. Ne parleremo fra poco.

Nei cinque anni che seguirono, invece, il team della Jaxa che seguiva la missione si preparò meticolosamente alla seconda manovra di inserimento possibile, riuscendo ad arrivare all’appuntamento con un margine di rischio molto molto più basso della prima volta.

Avere una seconda possibilità nello spazio non è una cosa comune. Akatsuki – che in giapponese significa Alba, un nome che, come vuole l’usanza giapponese, le è stato assegnato subito dopo il lancio – era stata fortunata. La precedente sonda della stessa serie, Nozomi, la prima giapponese diretta su Marte, ad esempio, aveva fallito l’inserimento in orbita per una serie di sfortune avvenute durante la fase di avvicinamento al pianeta; dopo vari tentativi di recupero, è stata data per persa e non è mai riuscita a orbitare attorno al pianeta rosso. Torniamo indietro di cinque anni, allora, quando tutto è cominciato.

[estratto audio del lancio di Akatsuki, dal video della Jaxa]

Valentina Guglielmo
Lo spazioporto dell’agenzia spaziale giapponese Jaxa da cui è partita Akatsuki si trova a Tanegashima, un’isola del Giappone meridionale. Un luogo diventato importante molto prima dell’era spaziale. Il 23 settembre 1543, infatti, una nave portoghese in rotta per Okinawa fu trascinata dalle correnti arrivando, invece, proprio su queste coste. Quest’isola rappresenta il primo luogo di incontro fra europei e giapponesi. I portoghesi arrivarono sull’Isola armati dei propri fucili, le prime armi da fuoco che i giapponesi avessero mai visto. Gli armaioli dell’isola vollero imparare subito e iniziarono a produrre anche loro il proprio modello di fucile. Da quel momento e fino all’era moderna, per estensione, tutte le armi da fuoco in Giappone si sono chiamate con il nome dell’isola, Tanega-shima.

Sanjay Limaye
I was there for the launch in Tanegashima, along with other people..

[Doppiaggio Sanjay Limaye]
Ero presente al lancio a Tanegashima, insieme ad altre persone. È un posto bellissimo, davvero bellissimo, ed è anche il luogo in cui i portoghesi sono arrivati per la prima volta in Giappone. Portarono i fucili, e pensa c’è una statua di Buddha con un fucile, una stranezza mai vista prima (ride). Insolito. Il lancio è stato interrotto circa 15-10 secondi prima del decollo perché c’era un po’ di pioggia e non volevano rischiare un fallimento. Così hanno interrotto il lancio appena prima dell’accensione”. [10’18] “E quando questo accade è un problema molto serio perché il veicolo di lancio H-II contiene sia idrogeno liquido che ossigeno, e non può assolutamente rimanere lì fuori in attesa della prossima finestra; quindi, hanno dovuto svuotare i serbatoi e poi riempirli di nuovo, cosa che richiede alcuni giorni. La successiva opportunità di lancio si è presentata quindi qualche giorno più tardi.

Valentina Guglielmo
Come abbiamo sentito, a causa delle cattive condizioni meteo, il lancio di Akatsuki fu rimandato di tre giorni, e Sanjay Limaye fu costretto a rientrare negli Stati Uniti. La sonda fu lanciata il 20 maggio 2010 alle 23:58 ora italiana con un razzo H-IIA, che oltre ad Akatsuki portava a bordo la sonda Ikaros, anch’essa diretta verso Venere, il minisatellite Unitec-1 e altri tre piccoli satelliti. Dopo aver lasciato questi ultimi in orbita terrestre, il secondo stadio del razzo prese la direzione di Venere. Il lanciò fu eseguito perfettamente, e Ikaros e Akatsuki cominciarono la loro crociera con la direzione corretta e la giusta velocità. Il viaggio durò poco più di sette mesi, con una sola manovra correttiva per perfezionare la traiettoria in vista dell’inserimento in orbita attorno a Venere. La data prevista per la manovra era, appunto, il 7 dicembre 2010.

[Stacco musicale]

Valentina Guglielmo
La manovra di inserimento in orbita, in inglese la sentiremo chiamare orbit insertion, era molto costosa in termini di carburante. Akatsuki arrivava a Venere con una velocità troppo elevata per essere catturata dalla gravità del pianeta e doveva quindi frenare azionando i propulsori del motore principale per circa 12 minuti, nei quali avrebbe girato attorno al pianeta attraversando una fase di eclissi scomparendo alla vista degli operatori a Terra per circa 22 minuti, al termine dei quali sarebbe riemersa dall’altro lato del pianeta. Se tutto fosse andato correttamente, una volta uscita dalla fase di eclissi dietro a Venere, Akatsuki avrebbe già dovuto essere nell’orbita corretta, catturata dalla gravità del pianeta. Sentiamo il breve riassunto di Sanjay Limaye.

Sanjay Limaye
At the closest approach a commands ignites the main engine…

[Doppiaggio Sanjay Limaye]
Al momento di massimo avvicinamento al pianeta viene inviato un comando che accende il motore principale per rallentare la sonda in modo che possa essere catturata da Venere, ma prima deve riorientarsi in modo che i propulsori puntino contro la direzione del moto. Questa virata è avvenuta in modo nominale e da terra il team riuscì a seguirla, poi cominciò la combustione che avrebbe dovuto continuare a bruciare carburante per circa dodici minuti, ma dopo il primo paio di minuti, man mano che l’ugello si scaldava, si è sviluppata una crepa. Non sappiamo esattamente dove perché non abbiamo immagini dell’ugello, ma l’effetto è stata una perdita laterale di gas, che ha cambiato la direzione di spinta del motore causando una una piccola rotazione del veicolo spaziale e quindi una perdita di assetto. I computer di bordo se ne sono subito accorti, hanno capito che c’era qualcosa che non andava, e hanno spento immediatamente il motore. E questo ha salvato la missione, altrimenti il carburante avrebbe continuato a bruciare e non avremmo avuto più carburante per fare nulla in seguito

Valentina Guglielmo
Come racconta Sanjay Limaye, la manovra di inserimento in orbita di Akatsuki cominciò in maniera nominale, e da terra si ricevette la conferma dell’accensione dei propulsori. Dopo appena due minuti, però, quando ormai la sonda era già scomparsa dietro il pianeta, successe qualcosa che creò una crepa nell’ugello di ceramica da cui usciva il prodotto di combustione – la marmitta del satellite, per intenderci. Questo fece barcollare la sonda cambiando la sua direzione di moto e fece scattare un safe mode. Il tutto, come dicevamo, senza che da terra ci si potesse accorgere di nulla. Divenne chiaro che qualcosa andò storto nel momento in cui le antenne di Terra non riuscirono a trovare Akatsuki 22 minuti dopo, puntando nella posizione prevista all’uscita dal suo giro dietro a Venere. Spostando un po’ la direzione di puntamento alla fine la trovarono, mentre si muoveva con una velocità e un’orbita, a quel punto, sconosciute. Ci vollero diversi giorni per capire che cosa fosse successo, e anche che direzione avesse preso la sonda.

Comunque, non è normale che durate la propulsione si raggiunga una temperatura tale da rompere l’ugello di fuoriuscita, e per capire bene com’è andata bisogna prima conoscere come funzionava il sistema di propulsione della sonda.

[inizio musica]

Valentina Guglielmo
Come molte sonde spaziali, Akatsuki era dotata di un motore principale e di altri piccoli propulsori per il controllo dell’altitudine e per cambiare l’orientamento nello spazio. Il motore principale funzionava con un sistema di propulsione chimico, basato su due componenti: un carburante, che è l’idrazina, e un ossidante. I propulsori più piccoli – che in gergo si chiamano altitude control thrusters – funzionano invece solamente con l’idrazina. La spinta che questi piccoli propulsori riescono a fornire a una sonda, però, è molto inferiore rispetto al motore principale e la loro efficienza non è molto alta. Per questo, per fare manovre importanti come l’inserimento in orbita, l’idrazina viene mischiata a un ossidante in una camera di combustione e il gas prodotto viene espulso attraverso un ugello, fornendo così molta più spinta al satellite. In questo processo a due componenti, però, c’è un terzo fondamentale partecipante: l’elio. Man mano che l’idrazina fluisce verso la camera di combustione, la pressione all’interno del serbatoio che la contiene cala e, di conseguenza, anche il flusso stesso di idrazina verso l’esterno tende a calare. Per mantenere il serbatoio a una pressione costante e mantenere costante anche il flusso di idrazina in uscita, si pompa al suo interno dell’elio, che essendo un gas inerte non si mischia all’idrazina ma funge solo da riempitivo. Più idrazina viene usata, più elio sarà pompato nel serbatoio. E questo garantisce anche che il miscuglio di idrazina e ossidante nella camera di combustione rimanga sempre ben bilanciato.

[fine musica]

Valentina Guglielmo
Ora che abbiamo ben chiaro come sia fatto e come funzioni la propulsione chimica nei satelliti, torniamo ad Akatsuki. Il passaggio di elio nel serbatoio dell’idrazina era regolato con una valvola, che durante la manovra di inserimento in orbita per qualche ragione non ha funzionato a dovere. L’ipotesi è che, rimanendo inutilizzata durante tutto il viaggio da Terra a Venere, si sia ghiacciata o sia rimasta ostruita da depositi di sale e ghiaccio. Un problema che non era emerso prima perché il sistema di propulsione principale non era mai stato usato durante la fase di crociera. Il risultato forse l’avrete già capito: con la valvola chiusa l’elio non poteva entrare nel serbatoio dell’idrazina e mantenere la pressione costante mentre questa veniva richiamata verso la camera di combustione. Con la pressione in calo nel serbatoio, l’idrazina faticava ad uscire e il miscuglio finale nella camera di combustione risultava molto più carico in ossidante del dovuto. Di conseguenza, dopo circa 152 secondi dall’accensione del motore la temperatura nella camera di combustione è aumentata moltissimo, tanto che come raccontava Sanjay Limaye il calore ha rotto una parte dell’ugello e il gas ha iniziato a fuoriuscire lateralmente, cambiando la direzione del satellite e facendo scattare il safe mode. Ormai lo sapete: safe mode significa spegnere tutto, puntare i pannelli al Sole e le antenne verso Terra. A quel punto, soltanto il 10 per cento della manovra di inserimento in orbita era stata completata, e Akatsuki non era riuscita a rimanere legata alla gravità di Venere.

[stacco musicale]

Valentina Guglielmo
Sfortuna o disastro annunciato? L’ugello di Akatsuki non era un convenzionale ugello in metallo, ma era stato fatto in ceramica. Ci sono quindi state speculazioni – e mi riferisco ad esempio a un articolo uscito nel 2015, subito prima del secondo tentativo di inserimento in orbita, nella testata The space review – sul fatto che, se l’ugello fosse stato come al solito di metallo, probabilmente si sarebbe solo parzialmente bruciato; che il degrado sarebbe stato più lento, mentre invece il materiale ceramico si è rotto all’improvviso a causa dello stress termico, provocando una variazione molto brusca della spinta. La conseguenza sarebbe stata comunque una spinta laterale, o un calo di spinta, e quindi il risultato finale non sarebbe cambiato.

Pare poi che la Jaxa avesse già avuto una simile esperienza in passato: nel 1998 la sua sonda Nozomi aveva subito un guasto alla propulsione che le aveva fatto impiegare quattro anni in più per raggiungere Marte. Ed era stata ancora più sfortunata di Akatsuki, perché durante il tragitto era stata colpita da un intenso brillamento solare che aveva guastato alcuni componenti elettronici, e nel 2003 aveva concluso il suo viaggio fallendo l’inserimento in orbita attorno Marte. Infine, anche il problema stesso della valvola aveva avuto un precedente. Sanjay Limaye.

Sanjay Limaye
At that was a common known problem, that had occurred…

[Doppiaggio Sanjay Limaye]
A quei tempi si trattava di un problema noto, che si era verificato in precedenza e che aveva, ad esempio, distrutto la sonda Mars Observer nel 1992, quasi 18 anni prima [21’18”]. [21’56] Ma con Akatsuki c’è voluto molto tempo per scoprirlo ed è stato necessario ricreare la situazione in laboratorio.

Valentina Guglielmo
Ci volle del tempo per capire cos’era successo e, soprattutto, cosa ne sarebbe stato di Akatsuki. Avrebbe continuato a vagare per lo spazio? Con quale orbita? Mentre tutta la squadra della missione era impegnata fra commissione di inchiesta, press report e varie formalità conseguenti a un fallimento, in Giappone era appena arrivato un ragazzo italiano fresco di dottorato e di esperienze in altre agenzie spaziali. Stefano Campagnola.

Stefano Campagnola
Io sono andato alla Jaxa, in quel periodo, per fare un postdoc. Il mio post-doc era su un topic completamente diverso, su una missione che poi la Jaxa non ha mai fatto, che doveva andare in orbita attorno a Giove e fare una serie di fly-by con Callisto. E doveva accompagnare le due missioni Juice, quella dell’ESA che è stata appena lanciata per Ganimede, ed Europa Clipper che è stata appena lanciata per Europa. Sono andato lì per fare quello, perché io non facevo parte di Akatsuki. Sono arrivato, se non mi sbaglio, proprio durante il lancio, e per cui ero lì qualche mese dopo, a dicembre, quando doveva esserci l’orbit insertion.

Valentina Guglielmo
Stefano Campagnola, da alcuni anni mission designer al Jpl della Nasa, è un esperto di dinamica del volo. Si occupa sostanzialmente di disegnare le orbite e le traiettorie delle missioni spaziali, sia per soddisfare i requisiti scientifici che motivano la costruzione di un nuovo satellite, sia per trovare vie d’uscita in caso di problemi o scenari d’emergenza. Nella sua carriera ha girato praticamente tutte le agenzie spaziali più grandi, dall’Esa alla Nasa alla Jaxa.

Stefano Campagnola
Per cui niente quello che è successo è che io ero lì alla Jaxa, ho sentito di questo fallimento, ho sentito che il satellite stava tornando a orbitare il Sole ed era un’orbita che ci avrebbe messo 8 anni a tornare su Venere. A quel punto c’erano due problemi grandi. Il primo è che 8 anni era molto di più del tempo di vita per cui il satellite fosse stato pianificato. (18:53) Il satellite era stato pianificato per 5-6 anni di vita. Per cui dopo 7 anni non sapevamo neanche se tutte le componenti avrebbero resistito. E poi il secondo problema era che anche se dopo 7 anni torni indietro, se il motore principale si è rotto, comunque non puoi fare la manovra per entrare in orbita. Si potrebbero utilizzare razzetti piccoli, ma i razzetti piccoli hanno una spinta molto più bassa, per cui non sarebbero riusciti a dare tutta la spinta necessaria per entrare in orbita. Praticamente quando ti avvicini a Venere hai soltanto un certo numero di minuti per eseguire questa manovra perché dopo te ne scappi di nuovo. Per cui c’erano questi problemi. Il mio aneddoto, perché io non facevo parte della missione, è che stavo parlando con un’amica al telefono e le stavo dicendo “ma sai che è successa sta cosa, così…” e poi le ho detto “ma sai quel lavoro che ho fatto con Nathan, il mio amico dei Jpl, su Encelado, che non c’entra niente, però credo che posso facilmente riadattare lo stesso codice e calcolare una traiettoria per tornare a Venere prima e spendendo molto meno propellente, soprattutto la cattura”.

Valentina Guglielmo
Ricapitolando, quindi, abbiamo una sonda che dopo il fallimento dell’inserimento in orbita attorno a Venere ha preso a vagare nello spazio senza possibilità di usare il motore principale. E abbiamo un giovane che con quella missione non c’entrava nulla, ma seguiva da vicino la vicenda perché da pochi mesi lavorava alla Jaxa.

Dopo alcuni giorni si riuscì a determinare che Akatsuki si trovava in un’orbita eliocentrica poco interna a quella di Venere, in risonanza con il pianeta. In altre parole, la sua orbita girava attorno al Sole con un periodo di 203 giorni, appena inferiore ai 225 giorni del periodo di Venere. Le due orbite, dicevamo, erano risonanti, che significa che i loro periodi avevano un rapporto fisso: mentre Akatsuki completava nove giri intorno al Sole, Venere ne faceva otto, e la Terra cinque. Per questo la sonda avrebbe incontrato di nuovo il pianeta dopo 8 anni, un tempo maggiore alle sue aspettative di vita.

E c’era anche un altro problema. L’orbita in cui si trovava Akatsuki la portava a meno di 0,6 unità astronomiche del Sole, molto più vicino delle 0,7 per cui era stato progettato, con il rischio che i suoi sistemi si cucinassero a causa del calore. Un decimo di unità astronomica non sembra molto, sono circa 15 milioni di chilometri, ma quello che cambia è l’irraggiamento sulla sonda, che aumentava da circa 2,65 kW/m2 a 3,6 kW/m2. Come uscirne?

Stefano Campagnola mi racconta che durante il suo dottorato all’Esa aveva proprio lavorato a un progetto che riguardava le orbite risonanti, e in particolare aveva sviluppato un metodo per riuscire a manipolare i rapporti di risonanza delle orbite per ridurre il tempo di incontro fra due corpi. Per farlo, occorreva fare delle manovre particolari e abbastanza costose in termini di propellente, ma che permettevano da un lato di non dover usare a tutti i costi il motore principale e dall’altro di ridurre appunto i tempi.

Stefano Campagnola
E la stessa idea è quella che ho usato per Akatsuki: invece di tornare indietro dopo sei o sette anni si può dividere questa manovra in due parti. Una parte si fa lontani, molto lontani da Venere, che ha due vantaggi, uno che si ritorna prima e il secondo che quando torni a Venere arrivi molto più lento e per cui a questo punto i piccoli motori che servono per il controllo d’assetto sono stati utilizzati di fatto per entrare in orbita. Però mi ricordo che era sera tardi e ho detto “però io non c’entro in niente con questa missione, i giapponesi tendono ad essere un pochettino diciamo chiusi, no? Poi non vorrei insomma interferire, mi chiedono ma tu cosa c’entri, cosa fai?” Invece lei mi ha detto “ma no, ma no, prova”, e io “ma è sera tardi, poi c’è il weekend”. “No, prova, prova”. E allora ho detto vabbè, proviamo. Quindi mi sono messo lì e in poco tempo sono riuscito effettivamente a farlo. È stato proprio un caso di serendipity, come si dice, una coincidenza assoluta. Avevo appena finito il dottorato su una cosa molto simile, avevo un codice fatto esattamente per questo tipo di problema, cioè non era proprio per questo problema, però per calcolare lo stesso tipo di traiettoria e dovevo semplicemente cambiare due cose e mi sono subito reso conto che c’era una possibilità per tornare indietro.

Valentina Guglielmo
La nuova orbita di Akatsuki attorno a Venere non era proprio quella pensata all’inizio della missione. La sonda era stata programmata per essere immessa in un’orbita quasi equatoriale con un periodo di circa 30 ore, un’apoapsi (il punto più lontano dal pianeta) di circa 79 mila km e una periapsi (il punto più vicino) molto bassa, ad appena 300 km dalla superficie. La nuova orbita, invece, sarebbe durata circa 10 giorni con un’apoapsi di 360 mila km, e una periapsi tra i mille e i 10 mila km di altitudine. Questo cambio significava anche riadattare le operazioni scientifiche, cambiando un po’ le modalità osservative della sonda su Venere, ma comunque nulla rispetto allo spettro di perdere la missione.

Ma com’era andato l’incontro di Stefano con il team di Akatsuki, che nella concitazione di quei giorni certo non aveva certo pensato di trovarsi a valutare la richiesta di un giovane, appena arrivato, e per giunta estraneo alla missione?

Stefano Campagnola
Per cui, diciamo, mi sono ritrovato in questa situazione un po’ strana in cui non essendo parte del team ho avuto il lusso, se vuoi, di pensare a una soluzione di recupero e quando l’ho trovata l’ho fatto vedere il mio capo di allora. Lui era contento e mi ha chiesto di fare qualche modifica per avere un argomento un po’ più convincente, perché tu puoi immaginare questi del team di Akatsuki che si vedono arrivare questo italiano, appena finito il dottorato, che arriva lì e gli dice “salvo la missione”, non sarebbero proprio contentissimi, diciamo, giustamente. Per cui ho fatto un po’ di controlli e poi piano piano l’abbiamo presentata al progetto e alla fine di fatto hanno implementato la mia strategia.

Valentina Guglielmo
Ma, senti, è stato semplice far accogliere la tua idea al team?

Stefano Campagnola
Sì, nel senso che il mio capo ha visto subito che non è che avevano tante alternative. Le persone del team all’inizio penso che fossero un pochino più resistenti, più che altro perché giustamente gli ho un po’ rubato il lavoro, capito? Cioè sono sicuro che loro avrebbero trovato la stessa cosa solo che loro erano presi, io ero lì che stavo facendo un postdoc, nel weekend, non conoscevo nessuno, non avevo niente da fare, mi sono messo a fare sta cosa qui, capito? Per cui, beh, alcune persone ovviamente erano molto contente perché comunque gli ho dato una soluzione per recuperare le satellite. Però non so quanto erano contenti tutti, diciamo alcuni sicuramente sì, altri non lo so poi non lo so perché è molto difficile capire i giapponesi; sono abbastanza criptici e io non potevo parlare giapponese con loro – il mio giapponese era terribile.

Valentina Guglielmo
Quindi avevi appena finito il dottorato, e immagino che questo codice a cui hai lavorato durante il dottorato era un codice ipotetico, tu non l’avevi ancora visto applicato veramente a una sonda, giusto? Non avevi ancora visto una manovra in atto che utilizzasse il tuo codice, giusto?

Stefano Campagnola
Sì, allora, esatto, qui tocchi un tasto interessante perché la maggior parte delle cose che noi studiamo sono le traiettorie più complicate, più interessanti solitamente, e solitamente sono per le missioni molto costose che vengono progettate con anni e anni di anticipo. Tipo questa traiettoria per Europa Clipper, ho fatto la mia prima traiettoria per Europa nel 2002 e ho fatto anche quella che abbiamo lanciato 23 anni dopo. Perché ci vuole un sacco di tempo per cui più del 90% delle cose che fai non vengono mai lanciate perché sono tutti studi di fattibilità. Tipo le missioni della JAXA che ti dicevo che devono andare su Jupiter o tipo le missioni su Encelado, la maggior parte non vengono fatte. Quelle che vengono fatte come Europa Clipper vengono fatte 15 anni dopo che tu le studiate, per cui a quei tempi non c’era ancora nessuna traiettoria che io avessi fatto che volava. Perché appunto la maggior parte era molto lontana da essere lanciata, per cui mi sono preso la soddisfazione di dire “incredibilmente una traiettoria su cui ho lavorato vola, per cui ho messo un check, accomplished, capito.

Valentina Guglielmo
E non avevi paura? Eri così giovane, appena finito il dottorato, non avevi paura che non funzionasse? Nel momento in cui hanno deciso “ok, la facciamo”.

Stefano Campagnola
Allora, c’è da dire che non ero giovanissimo ai tempi, perché io prima di fare il dottorato sono andato a lavorare all’ESA per tre anni, ho fatto il master a Milano e poi sono andato all’ESA; poi sono andato al Caltech, ho fatto un dottorato per cui nel 2010 avevo già 34 anni. Non ero proprio giovanissimo, avevo un po’ di esperienza e sapevo già che quando calcoli queste traiettorie ci sono diversi livelli. Prima lo calcoli con il codice che ho fatto io, che utilizza dei modelli semplificati e ti dice soltanto se esiste una soluzione. Ma la traiettoria non è abbastanza accurata per farla volare, cioè non è la traiettoria che segui quando voli perché utilizza dei modelli dinamici semplificati che ti dicono se c’è una soluzion lì vicino. Poi c’è un secondo processo in cui questa traiettoria viene rifinita un pochettino. Ad esempio io avevo calcolato una manovra sola lontano da Venere e loro invece hanno deciso di dividerla in tre manovre più piccole e hanno utilizzato il loro codice per calcolare come dividere questa manovra singola in tre manovre; per cui diciamo che prima che la mia traiettoria venisse implementata c’è sempre qualcuno che la ricalcola per cui non c’è quel rischio. Poi avendolo fatto già diverse volte questo passaggio di calcolare la traiettoria e avere qualcuno che la ricalcola, insomma, sono abbastanza confident che i miei modelli funzionano. Però è vero che quando ho iniziato questo lavoro mi ero chiesto proprio questa cosa qua, mi sono detto

“Ma certo che se io calcolo traiettoria questi qui li implementano su una missione da 3 miliardi di euro e poi non funziona perché ho sbagliato un numero, ho messo un più invece che un meno”. Invece no, c’è tutta una serie di persone che prima di implementare la manovra deve comunque ricalcolarla e facendo questo verifica anche che i calcoli tuoi sono giusti. Lo fanno perché quando devono implementarlo c’è tutta una serie di vincoli operazionali che devono implementare, però se avessi fatto un errore loro se ne accorgerebbero subito. Non mi è mai capitato che qualcuno torni e dica “guarda che la tua traiettoria è completamente sbagliata, c’è qualcosa che non va”. Però diciamo che se succedesse qualcuno lo scoprirebbe.

Valentina Guglielmo
Nei cinque anni che trascorsero dal 7 dicembre 2010 al 7 dicembre 2015 la squadra di Akatsuki preparò il nuovo incontro con Venere nei minimi dettagli. Dopo aver fatto un’ulteriore prova di accensione del motore principale e aver capito, senza più riserve, che non sarebbe più stato possibile usarlo, si decise di svuotare il serbatoio dell’ossidante per perdere un po’ di peso. Come abbiamo detto, infatti, per usare i propulsori più piccoli bastava l’idrazina. Al nuovo appuntamento con Venere il team di Akatsuki, come abbiamo sentito all’inizio, ci è arrivato molto sicuro e positivo. E infatti, sia le manovre preparatorie che la manovra di inserimento in orbita andarono molto bene. Cinque anni dopo, i giapponesi avevano la loro missione.

[Inizio musica]

Valentina Guglielmo
Dopo la manovra del 7 dicembre 2015 seguirono 5 mesi di check, e finalmente nel maggio 2016 è cominciata la missione scientifica di Akatsuki. Dopo pochi mesi, il 9 dicembre 2016, le telecamere che osservavano Venere nel vicino infrarosso si sono guastate. Nell’aprile 2018, Akatsuki ha terminato la sua missione scientifica nominale ed è entrata nella cosiddetta “fase di missione estesa”. La sonda ha continuato a funzionare e a inviare dati a fino alla perdita di contatto, avvenuta poco più di un anno fa, a fine aprile 2024. Diversamente dalla missione venusiana dell’Agenzia spaziale europea, Venus Express, che ha terminato la sua vita tuffandosi nell’atmosfera di Venere per poi cadere sul pianeta, Il destino di Akatsuki sarà quello di rimanere nell’orbita tanto cercata ancora a lungo. Ma c’è un’altra sonda, ben più famosa, che ha rischiato di perdersi nello spazio, con un epilogo a dir poco disastroso per la Nasa. È successo circa mezzo secolo fa, la sonda è Voyager 2 e a raccontarlo sarà Paolo Ferri nella prossima puntata di Houston, un podcast di Media Inaf che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali.

[fine musica]


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