TRASCRIZIONE DELL’UNDICESIMA PUNTATA DI “HOUSTON”

Hubble, un telescopio miope alla nascita

Il telescopio che ha portato le immensità e le bellezze del cosmo agli occhi di tutti. Che ha fatto brillare il buio più profondo trovando luci, stelle e galassie ovunque. Che ha immortalato le esplosioni più estreme e le nebulose più colorate. Il tutto, con uno specchio della forma sbagliata. Come ci è riuscito? Grazie a un gruppo di coraggiosi astronauti che sono andati fin lassù, in orbita a 500km sopra la Terra, a portargli un paio di occhiali per correggere l’imprevisto difetto di fabbricazione. Così Hubble, invece di finire come un flop tecnologico è diventato lo strumento più prezioso di sempre. Con Antonella Nota

     19/08/2025

Quella che segue è la trascrizione dell’undicesimo episodio di Houston, un podcast di Media Inaf che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali. Ideato, realizzato e condotto da Valentina Guglielmo, quest’episodio – pubblicato per la prima volta il primo dicembre 2024  – è dedicato al telescopio spaziale Hubble e ha come ospite Antonella Nota, astronoma all’International Space Science Institute. Potete ascoltarlo su Apple Podcasts, su Spotify e su YouTube. Oppure direttamente da qui.


Crediti per l’immagine di Hubble: Nasa; Askeuhd/Wikimedia Commons

Antonella Nota
“Tra l’altro la cosa interessante è che se uno adesso fa una ricerca sul web di queste immagini, non si trovano così facilmente. È come se la memoria collettiva sia stata completamente cancellata. Erano talmente orrende che nessuno le ha più volute vedere”

[inizio musica]

Valentina Guglielmo
Vi è mai capitato di vedere qualche bella immagine di una galassia, di un ammasso di stelle, o di una nebulosa? Se la risposta è sì, c’è una probabilità non trascurabile che l’autore fosse il telescopio spaziale Hubble. Soprattutto se davanti a quella immagine avete sgranato gli occhi, o vi siete chiesti se fosse vera o finzione. Quelle di Hubble sono immagini che sembrano tridimensionali anche se stanno sullo schermo, o su una cartolina, immagini in cui ci si può tuffare dentro, e che se le guardi dieci volte ancora non hai finito di scoprire tutto quello che c’è dentro. Allora cosa c’entra quello che abbiamo ascoltato all’inizio con le meraviglie catturate dal telescopio spaziale più pop mai esistito? C’entra per come è cominciata. Nel 1990, pochi mesi dopo il lancio, dopo la pubblicazione delle prime immagini di Hubble, le sue agenzie proprietarie, Nasa ed Esa, hanno dichiarato che il telescopio aveva un problema: la forma dello specchio era sbagliata, e le immagini che raccoglieva soffrivano di un difetto noto come “aberrazione sferica”. In altre parole, il telescopio era inutilizzabile. E l’unica soluzione possibile era andare lì. Lì, in orbita, 500km sopra la superficie terrestre.

A raccontarci questa storia, l’avete sentita all’inizio, Antonella Nota, astrofisica veneziana che all’epoca dei fatti era una giovane ricercatrice allo Space telescope science institute di Baltimora. La sua carriera, da quel momento, si è indissolubilmente legata a quella di Hubble, per il quale ha poi assunto il ruolo di project scientist.

Io sono Valentina Guglielmo e questo è un podcast di Media Inaf che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali. Si chiama Houston.

[fine musica]

Valentina Guglielmo
Sapevo che sarebbe arrivato questo momento. Che la vicenda del telescopio spaziale Hubble rientrasse di diritto fra gli episodi di Houston lo sapevo sin dall’inizio, e da subito mi ha investita una sorta di timore reverenziale nei confronti di questo telescopio, della sua fama e della sua storia. Perché lanciare Hubble è stato un po’ come costruire una terrazza sul mondo delle meraviglie, un enorme belvedere capace di accogliere chiunque voglia guardare, e capace di rendere – agli occhi di chiunque – un po’ meno ignota l’immensità e la varietà dell’universo.

Per qualche ragione, chi ha progettato e costruito questo telescopio aveva già immaginato e diffuso l’idea di questo destino, tanto che già al momento del lancio le aspettative erano altissime. Un po’ come è successo per il telescopio spaziale Webb – che non a caso è da sempre stato definito, anche impropriam \n\nente, il successore di Hubble – ma trent’anni prima. Il che rende l’enorme risonanza di questa storia ancora più incredibile.

[Audio del lancio di Hubble]

Valentina Guglielmo
Il telescopio spaziale Hubble è stato lanciato a bordo dello Space Shuttle Discovery il 24 aprile 1990. L’America era ancora spiazzata dall’incidente dello Space Shuttle Challenger, avvenuto nel gennaio 1986. Era stato quello l’ultimo volo di uno Shuttle prima di Hubble, ed era esploso tragicamente dopo soli 73 secondi di volo, causando la morte di tutti e sette i membri dell’equipaggio.

Antonella Nota
Ci è esploso di fronte agli occhi, eravamo lì nell’auditorio a guardare perché la prossima missione era la nostra. Quindi siamo rimasti spiazzati per circa tre anni e alla fine il lancio è avvenuto in aprile del 1990.

Valentina Guglielmo
All’epoca dell’esplosione dello Space Shuttle Challenger Antonella Nota era appena arrivata a Baltimora per lavorare come ricercatrice postdottorato dell’agenzia spaziale europea a uno degli strumenti di Hubble, la Faint object camera. Hubble, così come Webb, è un telescopio di proprietà congiunta fra Esa e Nasa, e a Baltimora, in un istituto che si chiama Space Telescope Science Institute, o Stsci, l’agenzia spaziale europea dispone di una sorta di sede distaccata sul posto, per poter lavorare da vicino a questi progetti con i colleghi americani.

Dopo il lancio del 24 aprile seguirono due mesi di messa a punto del telescopio e degli strumenti, per arrivare alle tanto attese prime immagini. Il giorno era il 27 giugno 1990. Me l’ha raccontato così, Antonella Nota, durante il nostro incontro.

Antonella Nota
Non ce ne siamo accorti proprio subito, perché – io appunto ero col team della Faint Object Camera – ci aspettavamo immagini con segnale rumore abbastanza basso, perché insomma è la prima volta. La Faint Object Camera è uno strumento molto molto sensibile e quindi eravamo rimasti molto cauti nel calcolare i tempi di esposizione eccetera. Ci interessava vedere se una volta aperto lo shutter si vedeva qualcosa. Quindi abbiamo visto qualcosa: abbiamo visto effettivamente dei puntini che erano nella posizione esatta delle stelle che volevamo vedere. E quindi in quel momento abbiamo celebrato perché le stelle si vedevano, erano esattamente dove pensavamo di vederle. Poi però in parallelo sono state prese immagini con la Wide Field Camera One, che era un Ccd. Improvvisamente c’è stata la realizzazione che qualcosa non andava, ma sembrava che le immagini fossero fuori fuoco.

Valentina Guglielmo
La prima vista di Hubble, dunque, fu miope. Proprio come quando una persona con un difetto di miopia prova a guardare, senza occhiali, un oggetto lontano, e non riesce a metterne a fuoco i dettagli, così Hubble provava a osservare ad esempio la galassia M100, una bella spirale posizionata di faccia rispetto alla Terra, senza riuscire a metterne a fuoco i bracci, le regioni luminose e quelle più polverose, e confondendo tutto come in un quadro impressionista visto da vicino. Che ci fosse un problema di messa a fuoco, era chiaro, ma non si poteva dire se la sua origine fosse temporanea o strutturale. Anche perché Hubble era il primo nel suo genere, e non vi erano altre immagini di riferimento provenienti dallo spazio con cui confrontarsi. E poi perché, già così, le immagini scattate da Hubble erano migliori rispetto a quelle prese da Terra. Per provare a risolvere, il primo tentativo fu quello di spostare manualmente il fuoco come quando si utilizza l’impostazione di messa a fuoco manuale di una macchina fotografica di tipo reflex. Una manovra che in gergo si chiama “focus sweep”, e che si rivelò ben presto inutile. Si cominciarono allora a prendere immagini più profonde, con tempi di integrazione più lunghi, e qui il problema cominciò ad emergere sempre più chiaramente. Per parlarne in dettaglio, però, dobbiamo prima vedere insieme un concetto chiave, che riguarda qualunque immagine astronomica.

[inizio musica]

Valentina Guglielmo
Nel mondo ideale un oggetto puntiforme nel cielo – una stella lontana per capirci, che appare come un punto luminoso a causa della sua distanza – dovrebbe apparire, agli occhi di un telescopio che l’osserva, come un punto; ma nel mondo reale quando la luce attraversa l’atmosfera, le ottiche di un telescopio e poi quelle di uno strumento, si modifica e assume una forma particolare e caratteristica. Si chiama in gergo “point spread function”, o Psf – e letteralmente si traduce con “funzione di diffusione del punto”. Potrebbe essere una ciambellina, o una macchia di qualunque altra forma, ma certamente non sarà un punto come la stella che vediamo a occhio nudo. Ebbene, conoscere come è fatta la Psf di un determinato telescopio o strumento – e saperla riprodurre matematicamente – è importantissimo per analizzare qualunque immagine scattata da questo, e ricavarne informazioni scientifiche. Non solo, confrontando la Psf attesa con quella reale, è possibile rendersi conto della presenza di problemi quando si punta per la prima volta uno strumento verso il cielo.

[fine musica]

Nel caso di Hubble è stato proprio così: prendendo l’immagine di una sorgente puntiforme, ci si è resi conto che la forma della Psf era quella giusta, ovvero una sorta di campana, ma la sua luminosità al picco no. La luce era molto meno concentrata e più diffusa, o se volete continuare con l’analogia, la campana era molto più bassa e allargata rispetto a quello che ci si aspettava.

Antonella Nota
E poi abbiamo cominciato a vedere che intorno a questo picco c’era un alone esteso con una struttura abbastanza terrificante, sembrava una specie di ragno, un alone esteso in pratica dove sembrava quasi – e mi ricordo le conversazioni allora – che i raggi, cioè che la luce proveniente dalla stella non si focalizzasse in un punto solo, ma si disperdesse in un’area. Uno dei nostri scienziati dell’Esa, Chris Burrows, fu il primo a dire che stavamo osservando un problema di aberrazione sferica. Immediatamente negato, “no, no, non è possibile, non è possibile”, perché tutti avevano visto che lo specchio era stato configurato con una precisione incredibile, veramente, una precisione incredibile.

Valentina Guglielmo
Qual era il segnale che, diciamo, faceva pensare alla liberazione sferica?

Antonella Nota
Questo appunto, il fatto che sembrava la luce non fosse focalizzata in un punto. E quindi gli astronomi definiscono questo strehl ratio, che è il rapporto in luminosità tra il picco centrale e il resto. Se tu sei in una situazione normale, in cui lo strumento è a fuoco e l’ottica è perfetta, hai praticamente più del 90 per cento della luce nel picco centrale. Lì c’era solamente il 10 per cento, e il restante flusso era tutto disperso in questo alone circostante. E quindi questo, per le immagini, era un disastro, perché nel momento in cui guardavi un oggetto in cui c’erano più di due o tre stelle, un ammasso globulare o un ammasso aperto, l’effetto dell’aberrazione sferica di questo alone praticamente creava una confusione e non riuscivi più a risolvere gli oggetti individuali.

Valentina Guglielmo
Per la prima volta, nelle ultime frasi di Antonella Nota, sentiamo una diagnosi. Aberrazione sferica. Di che si tratta? Il concetto, in verità, è molto semplice e forse proprio per questo all’inizio nessuno ci voleva credere. L’aberrazione sferica è un difetto ottico a causa del quale la luce, quando impatta sulla superficie di uno specchio curvo a diverse distanze dal centro, viene focalizzata in punti diversi. Invece di avere un fuoco unico per tutta la superficie dello specchio, in pratica, si ha una serie di fuochi vicini ma separati. E quel che ne risulta è che, se la camera che raccoglie la luce dagli specchi è posta sul fuoco “teorico”, alcune cose risulteranno messe a fuoco e altre no. E l’immagine sarà tutta sbrodolata e confusa. Ora, questo difetto – lo dice il nome stesso – è proprio di una superficie sferica. Ma lo specchio di Hubble non è sferico, è iperbolico. E quindi non dovrebbe essere affetto da questo problema. Per questo all’inizio non ci si credeva.

[stacco musicale]

Valentina Guglielmo
Facciamo ora un passo indietro e torniamo a quel che stava accadendo a fine giugno, a due mesi dal lancio, poco dopo la pubblicazione delle prime immagini, quando era ormai evidente che qualcosa non andava. Ho trovato negli archivi della Nasa la videoconferenza integrale nella quale si dichiara che Hubble ha un problema. Sentiamo.

[Audio della conferenza stampa della Nasa]
“One of the things we need to do of course is to figure out how this problem occurred in a first place..

[doppiaggio]
“Una delle cose prime cose da fare, naturalmente, è capire come mai sia insorto questo problema, e la Nasa seguirà una procedura molto formale per farlo. Stiamo costituendo un comitato di inchiesta del sistema ottico di Hubble, per determinare essenzialmente cosa ha causato l’aberrazione degli specchi. A breve annunceremo i membri di questa commissione e chiederemo loro di tornare indietro nella storia, perché la causa potrebbe essere avvenuta anche più di 10 anni fa, quando gli specchi sono stati sviluppati, alla fine degli anni ’70 e negli anni ’80. Ma il punto più importante che voglio sottolineare è che la Nasa è orgogliosa di rispondere a questa sfida e che la supererà. Ora, non sono sicuro di tutte le cose che faremo per far funzionare il telescopio spaziale Hubble esattamente come volevamo – che si tratti di aggiustamenti agli specchi primari, di analisi dei dati, o di sostituire uno strumento in tempi più rapidi. Ma so che ci riusciremo. E trasformeremo il telescopio spaziale Hubble, sotto tutti i punti di vista, nell’entusiasmante strumento scientifico che ci aspettiamo che sia”.

Valentina Guglielmo
Come annuncia durante la conferenza stampa Lennard Fisk, associate administrator for space science and application della Nasa, il 2 luglio 1990 viene istituita una commissione d’inchiesta per indagare l’origine dell’aberrazione sferica di Hubble. Fra le domande a cui rispondere, c’era da capire se l’errore fosse sul primo o sul secondo specchio. E come, quando, perché, era stato introdotto questo difetto. Le interviste e le indagini procedevano su vari livelli, e in pochissimo tempo si riuscì a circoscrivere il problema e il responsabile: l’azienda che aveva fabbricato e lavorato gli specchi. L’americana Perkin Elmer.

Antonella Nota
Alla fine la Nasa ha subito messo insieme un anomaly board, come sempre fanno quando ci sono questi problemi, quando qualcosa non va. E l’anomaly board ha praticamente determinato che c’era aberrazione sferica, che il problema era stato durante proprio la lavorazione dello specchio e questo per la Perkin Helmer fu un momento terribile.

[Audio della conferenza stampa della Nasa]
“What we suspect is that in the metrology used, that is the techniques that..

[doppiaggio]
“Quello che sospettiamo è che nella metrologia utilizzata, cioè nella tecnica utilizzata per misurare la figura dello specchio prima di lucidarlo, cioè da qualche parte in questa catena molto complicata di eventi, ci sia stato un errore, un errore da qualche parte. O nel primario o nel secondario. Il risultato è che lo specchio è stato realizzato in modo molto preciso, ma alla fine con una forma sbagliata”.

Valentina Guglielmo
Una cosa che abbiamo solo brevemente accennato è che c’era molto fermento e molta attesa per le immagini di Hubble. Non solo fra gli addetti ai lavori, gli investitori, e gli appassionati. Hubble era già popolare e i cittadini americani, i politici, il mondo in generale, erano in attesa.

Antonella Nota
In realtà era un momento terribile per tutti perché improvvisamente le aspettative erano talmente alte… questa era una missione che doveva rivoluzionare la nostra conoscenza dell’astronomia e la delusione era veramente terrificante. Per un attimo, per una frazione di tempo, tutti hanno pensato di avere fatto l’investimento di carriera sbagliato. Cioè io non potevo più neanche andare in ascensore perché tutti i miei vicini sapevano che io lavoravo su questo progetto e il pubblico era assolutamente arrabbiato per quanto era successo. E quindi noi venivamo fermati proprio dalla gente per la strada che diceva “ma voi lavorate su questo?” Questo è stato definito un techno-turkey dalla senatrice che aveva promosso tutti i fondi a Hubble. Veramente un periodo orribile perché le chiamiamo le Hubble Dark Ages. Sembrava effettivamente che non ci fosse un futuro.

Valentina Guglielmo
Dall’inchiesta emerge quindi che l’azienda Perkin Elmer aveva sbagliato la lavorazione dello specchio primario di 2.4 metri di diametro, e gli aveva dato una curvatura sbagliata: troppo piatto ai bordi, con un errore di curvatura 10 volte superiore alla tolleranza stabilita. Quanto, quindi? Pochissimo.

Come dicevamo, lo specchio primario di Hubble avrebbe dovuto far rimbalzare tutta la luce in arrivo verso un punto focale specifico. Poiché il bordo esterno dello specchio era più piatto di quanto specificato, la luce che rimbalzava lì veniva focalizzata in un punto diverso rispetto alle altre parti dello specchio. Questo difetto, chiamato “aberrazione sferica”, fa sì che invece di un punto focale lo specchio primario avesse un intervallo di punti focali. Distribuiti entro una distanza massima di circa 1/50 della larghezza di un capello. Una quantità difficile da immaginare per quanto è piccola, eppure sufficiente per sfuocare un’immagine e renderla pressoché inutilizzabile. Pensate quale precisione serve nelle ottiche di un telescopio.

La stessa cosa può accadere nei nostri occhi. Se ci sono irregolarità nella curva del cristallino o della cornea dell’occhio, la luce che entra nella pupilla può avere più punti focali, rendendo la nostra visione sfocata. Noi correggiamo queste irregolarità con occhiali, lenti a contatto o chirurgia laser. E Hubble? Non potendo portare in orbita un altro specchio, la soluzione fu simile.

Antonella Nota
Come sempre, la creatività degli ingegneri è prevalso. Hubble era stato progettato per fare manutenzione nello spazio, una cosa che non era mai stata fatta, pensata per cose abbastanza di routine. Improvvisamente questa è diventata una cosa importante, perché si doveva effettivamente salvare il telescopio. Intanto gli ingegneri e gli scienziati hanno cominciato a lavorare su una soluzione. E la soluzione è molto semplice, bisogna correggere le ottiche, nel senso che il bello, l’unica parte positiva di tutta questa cosa, è che l’aberrazione sferica dal punto di vista proprio della costruzione ottica, una volta che hai capito cos’è, è facile da correggere, è ben conosciuta, non è un fenomeno strano, si conosce bene. E quindi si sa cosa fare. Allora, quello che hanno fatto è, hanno subito pensato di preparare una missione dopo poco tempo, infatti la servicing mission one è andata su nel 1993, tre anni dopo.

Valentina Guglielmo
Per riparare il problema, quindi, bisognava andare al telescopio con una squadra di astronauti addestrati. Non è una cosa comune, per i telescopi spaziali, anzi: Hubble è praticamente un unicum in questo senso. In parte per l’enorme investimento fatto, che richiedeva che il telescopio rimanesse operativo e al passo coi tempi negli anni, e in parte per il fatto che la sua orbita attorno alla terra, appena cento chilometri più su della stazione spaziale internazionale, poteva essere raggiunta abbastanza facilmente. Come mi ha detto Antonella Nota, infatti, si vedeva che Hubble era stato progettato perché si potessero cambiare dei pezzi, per vecchiaia o guasto. Negli anni furono cinque le missioni di servizio – o servicing mission – che operarono su Hubble, dal 1993 al 2009. La prima, quella del 93 però, fu un’emergenza. E un conto è prepararsi per una servicing mission programmata con molto margine, un altro è metterne in piedi una eccezionale per risolvere un problema che ostacola l’attività scientifica del telescopio. Per di più appena dopo il lancio.

Antonella Nota
Quindi in tre anni, in pratica, hanno costruito gli strumenti per correggere l’ottica, hanno fatto il training degli astronauti perché potessero sostituire questi strumenti, che non era banale perché nel 1990 le camminate nello spazio non è che fossero così frequenti come sono adesso, quelle sono state proprio tra le prime mai fatte. Quindi la complessità di tutta l’avventura non era trascurabile e infatti il rischio era estremamente alto. Il rischio che la correzione non funzionasse, che gli astronauti magari avrebbero trovato qualche problema durante il loro tentativo di installare gli strumenti, cioè ennemila cose potevano andare storte.

Valentina Guglielmo
L’aberrazione sferica, in quanto difetto ottico sulla forma dello specchio, coinvolgeva tutti gli strumenti di cui disponeva Hubble. Che, al lancio, erano cinque. Di questi, solo la Wide field planetary camera 1, la camera ottica ad alta risoluzione, fu sostituita in toto con la Wide field planetary camera 2, sulla quale erano state applicate delle ottiche correttive. E gli altri? Non si poteva certo costruire una versione nuova per tutti gli strumenti. Ecco la strategia ideata dalla squadra di Hubble alla Nasa e all’Esa.

Antonella Nota
Il problema era cosa facciamo con quelli, perché non possiamo sostituirli tutti e rimetterli corretti, non si poteva costruire una faint object camera in tre anni. E quindi uno degli ingegneri della Nasa ha pensato a questo strumento Costar, e l’ispirazione – questi sono urban myths, ma no, in realtà lo dice proprio lui, Jim Crocker – che l’ispirazione gli è venuta una mattina sotto la doccia, guardando il braccio della doccia che si estendeva con un paio di sorgenti che uscivano dallo stesso braccio. Quindi ha pensato di sviluppare una cosa simile. Quindi lo strumento Costar aveva un braccio con tre o quattro specchietti che uscivano fuori, ognuno dei quali veniva posizionato di fronte alle aperture dei tre strumenti con le ottiche correttive progettate proprio per correggere quell’aberrazione di quello strumento. E quindi la faint object camera aveva il suo, il faint object spectrograph aveva il suo, e lo high-speed photometer purtroppo è lo strumento che è stato tolto per inserire Costar.

Valentina Guglielmo
Riassumendo, dunque, gli astronauti avrebbero dovuto installare uno strumento nuovo, toglierne uno e al suo posto inserire una sorta di frigorifero contenente una serie di specchi correttivi per gli altri strumenti. Questo frigorifero si chiamava Costar.

[stacco musicale]

Valentina Guglielmo
La servicing mission 1, sviluppata alla svelta in tre anni per risolvere il problema alla vista di Hubble, ebbe luogo dal 2 al 13 dicembre 1993.

Alle 4:27 del mattino del 2 dicembre 1993, lo Space Shuttle Endeavour è partito dal Kennedy Space Center in Florida con sette astronauti addestrati per il rendez-vous e la riparazione del telescopio spaziale Hubble. Due giorni dopo, il 4 dicembre, Hubble è stato catturato dalla sua orbita e agganciato a una piattaforma di lavoro montata sulla stiva di carico dello Shuttle, che era stata aperta. Da quel momento, gli astronauti potevano operare al telescopio rimanendo ancorati con le gambe allo Shuttle attraverso un braccio meccanico.  Nei giorni successivi sono quindi cominciate le prime passeggiate spaziali per risolvere altri problemi del telescopio, mentre la riparazione delle ottiche cominciò il 6 dicembre, due giorni dopo.

Quel giorno, il compito dei due astronauti Story Musgrave e Jeff Hoffman era sostituire la camera primaria di Hubble, la wide field planetary camera 1, con una versione più avanzata che includeva specchi correttivi per risolvere la visione sfocata di Hubble. Il giorno dopo, fu il turno degli astronauti Kathy Thornton e Tom Akers, che dovevano installare Costar.

Antonella Nota
Questa era la prima volta in cui gli astronauti toglievano degli strumenti. Quindi, togliere uno strumento non è banale, perché questi strumenti hanno praticamente la dimensione di un frigorifero. E quindi, sì, c’è l’assenza di gravità che aiuta perché effettivamente… Allora, lo shuttle aveva questo braccio meccanico, robotico, costruito dall’Agenzia spaziale canadese, che veniva manovrato da uno degli astronauti dentro la cabina. E l’astronauta fuori stava praticamente in piedi, bloccato, con i piedi proprio chiusi nella piattaforma di questo braccio meccanico e veniva posizionato. Quindi lo shuttle, nella cargo bay aveva questi strumenti nei loro contenitori. Quindi dovevano aprire i contenitori, tirare fuori lo strumento e poi operare… Ovviamente avrebbero già dovuto togliere quello che c’era. Quindi aprire i portelloni, anche quello mai fatto dopo il lancio… quindi tutto un sacco di incognite. Adesso sono la norma.

Siamo abituati a vedere gli astronauti che si muovono nello spazio. Allora era assolutamente una novità. Era come guardare un thriller in slow motion, a rallentatore, perché i movimenti sono estremamente lenti. Però tutti erano lì con il fiato sospeso, guardando lo schermo enorme per vedere se le cose continuavano ad andare bene: proprio un thriller a rallentatore durato una settimana. Quindi quello è stato veramente uno dei momenti che non dimenticherò mai, perché la tensione era palpabile, l’auditorium era pieno, ma non si sentiva volare una mosca. Gli astronauti sono veramente per me degli eroi, nel senso che sono persone che hanno una marcia in più, c’è poco da dire.

L’altra cosa che ricordo vividamente è il fatto che tutto sembrava così semplice. Cioè queste sono attività che sembrano simili alle attività che uno può fare nel proprio giardino con i guanti di giardinaggio: tagliare una cosa, aprirne un’altra, chiudere una porta, aprirne un’altra, portare un secchio da una parte all’altra, avere tutti i propri tools appesi al grembiale, sembrava così semplice… Però uno deve pensare a 350 miglia nautiche con dei guanti che hanno praticamente uno spessore di… non so se avete mai avuto la possibilità di vedere i guanti degli astronauti, ma non sono certamente sottili… non è facile, diciamo, lavorare con quei guanti.

Valentina Guglielmo
Il 10 dicembre 1993, dopo sei passeggiate spaziali, e al termine di tutte le operazioni, gli astronauti sono rientrati nello Shuttle. L’astronauta Claude Nicollier ha inviato il comando al braccio robotico dello Space Shuttle Endeavour per rilasciare Hubble in orbita. Dopo giorni di lavoro intenso, il telescopio spaziale Hubble era pronto per guardare di nuovo il cielo.

Antonella Nota
Allora gli astronauti hanno abbandonato il telescopio…

Valentina Guglielmo
Ma si sono rimasti nei paraggi, diciamo, nel momento in cui è stata fatta la prova?

Antonella Nota
Ma non avrebbero più potuto fare nulla. Non avrebbero più potuto fare nulla.

Valentina Guglielmo
Quindi non c’era la possibilità di verificare che il lavoro fosse stato diciamo preciso, e poi…

Antonella Nota
No, no, perché quando il telescopio è calato nella Shuttle Cargo bay, il portellone chiuso e il telescopio non è attivo perché è attaccato al cordone ombelicale dello shuttle. Poi dopo viene lasciato, riapre il portellone e comincia a lavorare. Quindi…

[Audio della conferenza stampa 1994, dopo la riparazione]
Senatrice Barbara Mikulski: “And I’m happy to announce today that after its launch now in 1990, the trouble with Hubble is over. The pictures are remarkable. The science that will come from the picture is of historical significance. We will now because of the Hubble fix, will be able to do 21st century science, that will enable us to go back in the Universe”

Valentina Guglielmo
A parlare, qui, è la senatrice Barbara Mikulski, che con un irrefrenabile entusiasmo durante la conferenza stampa della Nasa mostra – una dopo l’altra- le immagini del prima e del dopo. Dice che è un momento storico, e che Hubble cambierà la scienza. Barbara Mikulski, la stessa che tre anni prima, alla scoperta del difetto alle ottiche del telescopio, aveva definito Hubble un “techno turkey”, un flop tecnologico.

Antonella Nota
Comunque, leggevo ieri, quando a Jeff Hoffmann che era il comandante della missione è arrivata la telefonata a casa quando hanno preso le prime immagini gli hanno detto “Hai lo champagne in frigorifero?” e lui ha detto “mah, ne ho una mezza bottiglia”. “Allora vai a prenderla perché ti serve”. E quindi gli hanno fatto vedere queste immagini della galassia M100 che avevamo osservato proprio prima con l’aberrazione sferica, e voglio dire quando si conosceva solo quella sembrava anche bella, nel senso che uno non si rende conto di quanto era blurry,  quanto era fuori fuoco. Era anche un’immagine di una bella galassia, certamente migliore comunque delle immagini che si vedevano da terra. Quindi alla fine però quando è stata presa l’immagine con la Wide field camera 2 ed è stata messa vicino c’è stato un momento di “Wow” perché la differenza adesso sì che si vedeva. Siamo passati dal tecno turkey alla meraviglia delle meraviglie, e dopodiché il resto insomma a questo punto, come si dice, è storia nel senso che le immagini poi adesso sono dappertutto. Nonostante il James Webb Space Telescope stia producendo risultati incredibili le immagini di Hubble rimangono ancora le immagini di Hubble.

[inizio musica]

Valentina Guglielmo
Pannelli solari, magnetometri, due unità di controllo dei giroscopi, sensori di velocità, processori per il computer di volo, kit di ridondanza dello spettrografo ad alta risoluzione, Wide field planetary camera 1, Costar. Questo l’elenco di tutte le cose sostituite durante la Servicing mission 1. Con un totale di cinque missioni di servizio, Hubble si piazza di diritto fra le missioni più costose della storia. Ma proprio grazie a questo, sta ancora lì, dopo 34 anni, a farla, la storia. Con il suo piccolo specchio da 2.4 metri di diametro, e pure con la forma sbagliata, è stato in grado di seguire l’evoluzione della scienza per ben tre decenni, di rimanere attuale e di competere sempre con tutti i nuovi strumenti che venivano via via ideati, costruiti, lanciati. Le prossime due puntate non avranno un solo protagonista, ma raccoglieranno brevi storie di una serie guasti apparentemente irrisolvibili, a cui l’ingegno umano è riuscito a trovare soluzioni, per così dire, acrobatiche. Io sono Valentina Guglielmo e vi aspetto nel prossimo episodio di Houston, un podcast di Media Inaf che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali.

[fine musica]

Ascolta Houston sul canale YouTube di MediaInaf Tv: