LO STUDIO È PUBBLICATO SU NATURE

Nanodispositivi solari per la mesosfera

Un gruppo internazionale di ricercatori ha realizzato un dispositivo ultraleggero che sfruttando la fotoforesi è in grado di levitare nell’alta atmosfera, dove la pressione è estremamente bassa. Questi dispositivi possono raccogliere dati su vento, pressione e temperatura, migliorando modelli climatici e previsioni meteorologiche. Potenziali applicazioni includono telecomunicazioni, difesa ed esplorazione di Marte

     13/08/2025

Tra i 50 e i 100 chilometri sopra la superficie terrestre si estende la mesosfera, uno strato dell’atmosfera in gran parte inesplorato. È troppo alta per gli aerei e i palloni sonda, troppo bassa per i satelliti e quasi impossibile da monitorare con le tecnologie attuali. Tuttavia, comprenderne le dinamiche potrebbe migliorare l’accuratezza delle previsioni meteorologiche e dei modelli climatici.

Un nuovo studio pubblicato su Nature guidato da ricercatori della Harvard John A. Paulson School of Engineering and Applied Sciences (Seas), introduce un modo innovativo per raggiungere questa zona inesplorata: strutture leggere che possono fluttuare sfruttando nient’altro che la luce solare. «Stiamo studiando questo strano meccanismo fisico chiamato fotoforesi e la sua capacità di far levitare oggetti molto leggeri quando vengono illuminati», riferisce Ben Schafer, primo autore dell’articolo.

Un’illustrazione dei casi d’uso dei dispositivi. Crediti: Ben Schafer and Jong-Hyoung Kim

La fotoforesi si verifica quando le molecole di gas “rimbalzano” con maggiore forza sul lato caldo di un oggetto rispetto a quello freddo, generando una spinta continua. Questo fenomeno si manifesta solo in ambienti a pressione estremamente bassa, come quelli presenti nella mesosfera.

I ricercatori hanno realizzato sottili membrane in allumina ceramica, grandi pochi centimetri, con uno strato di cromo sul lato inferiore per assorbire la luce solare. Quando la luce colpisce la struttura, la differenza di temperatura tra la superficie superiore e quella inferiore innesca una forza di sollevamento fotoforetica capace di superare il peso stesso della membrana. «Questo fenomeno, in genere, è talmente debole rispetto alle dimensioni e alla massa dell’oggetto su cui agisce da passare inosservato», spiega Schafer. «Noi, però, siamo riusciti a rendere le nostre strutture così leggere che la forza fotoforetica diventa superiore al loro peso, permettendo loro di volare».

L’idea risale a oltre dieci anni fa, quando David Keith, dell’Università di Chicago, ipotizzò diversi possibili usi delle particelle fotoforetiche, incluso il loro potenziale per mitigare il riscaldamento climatico. Da questa intuizione nacque una collaborazione con Schafer e Joost Vlassak, specialista in nanofabbricazione e meccanica sperimentale, per trasformare il concetto in realtà. Il progetto è diventato concretamente realizzabile solo grazie ai recenti progressi nella tecnologia di nanofabbricazione, che consentono di costruire dispositivi nanometrici a bassa massa con una precisione senza precedenti.

«Abbiamo sviluppato un processo di nanofabbricazione che può essere scalato fino a decine di centimetri», afferma Vlassak. «Questi dispositivi sono piuttosto resistenti e presentano un comportamento meccanico insolito per le strutture a sandwich. Attualmente stiamo lavorando su metodi per incorporare carichi utili funzionali nei dispositivi».

Dispositivi che levitano nell’atmosfera. Il sollevamento è prodotto da un flusso d’aria generato dalla differenza di temperatura tra le due facce della membrana: l’aria passa attraverso minuscoli fori nella struttura, spingendola verso l’alto. L’aria di ritorno scorre più lontano dal dispositivo, permettendo così la levitazione. Crediti: Schafer et al., Nature (2025)

Grazie a questi metodi di fabbricazione, i ricercatori hanno realizzato strutture su scala centimetrica e ne hanno misurato direttamente le forze fotoforetiche all’interno di una camera a bassa pressione, progettata da Schafer e Jong-hyoung Kim nel laboratorio di Vlassak. I dati ottenuti sono stati poi confrontati con le previsioni sul comportamento di tali strutture nell’alta atmosfera. La progettazione e la fabbricazione dei dispositivi sono state guidate da Kim, oggi professore all’Università Nazionale di Pukyong, in Corea del Sud.

«Questo articolo è sia teorico che sperimentale, nel senso che abbiamo ripensato il modo in cui questa forza viene calcolata su dispositivi reali e poi abbiamo convalidato tali forze applicando misurazioni a condizioni reali», riferisce Schafer.

Un esperimento chiave descritto in dettaglio nell’articolo mostra una struttura larga 1 centimetro che levita a una pressione atmosferica di 26,7 Pascal quando esposta a una luce pari solo al 55 per cento dell’intensità della luce solare. Questa condizione di pressione riproduce quella che si trova a 60 chilometri sopra la superficie terrestre.

«È la prima volta che qualcuno dimostra che è possibile costruire strutture fotoforetiche più grandi e farle volare nell’atmosfera», sostiene Keith. «Questo apre la strada a una classe di dispositivi completamente nuova: passivi, alimentati dalla luce solare e particolarmente adatti all’esplorazione dell’alta atmosfera. In futuro potrebbero volare su Marte o su altri pianeti».

Il team intravede diverse possibili applicazioni per il nuovo dispositivo, soprattutto nel campo della scienza del clima. Equipaggiato con sensori ultraleggeri, potrebbe raccogliere dati cruciali – come velocità del vento, pressione e temperatura – da una regione dell’atmosfera rimasta finora un punto cieco. Informazioni di questo tipo sono essenziali per calibrare i modelli climatici, alla base sia delle previsioni meteorologiche sia delle proiezioni sui cambiamenti climatici.

Tra le altre potenziali applicazioni figurano le telecomunicazioni, in particolare in contesti di difesa o di risposta alle emergenze. Una flotta di questi dispositivi potrebbe formare un array fluttuante di antenne, in grado di offrire capacità di trasmissione dati paragonabili a quelle dei satelliti in orbita bassa, come Starlink, ma con una latenza inferiore grazie alla loro maggiore vicinanza al suolo.

Poiché l’alta atmosfera terrestre condivide alcune caratteristiche fondamentali con la tenue atmosfera di Marte, il dispositivo potrebbe aprire la strada a nuove modalità di esplorazione planetaria e di comunicazione anche in quell’ambiente. Il prossimo obiettivo del team è integrare a bordo carichi utili per le comunicazioni, così da consentire al dispositivo di trasmettere dati in tempo reale durante il volo.

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