È un buco nero supermassiccio, datato a soli 500 milioni di anni dopo il Big Bang. Ed è il più antico mai confermato studiando l’emissione dell’idrogeno. L’oggetto in cui è stato identificato si chiama Capers-Lrd-z9 e lo ha trovato il James Webb Space Telescope (in breve, Jwst). Ce ne sono potrebbero essere altri, di possibili buchi neri supermassicci, a epoche addirittura più remote. Ma quello di Capers-Lrd-z9 è il più antico attualmente confermato grazie alle caratteristiche dell’emissione dell’idrogeno. Che vortica a 3500 chilometri al secondo. Decisamente troppi per essere spiegati in assenza di un buco nero supermassiccio.
«Non ci sono molte altre cose che creano questa firma, e questa galassia ce l’ha!», esulta Anthony Taylor, del Cosmic Frontier Center dell’Università di Austin, in Texas, ricercatore che ha guidato la scoperta. «Quando si cercano buchi neri, questo è praticamente il massimo a cui si possa arrivare. Stiamo davvero spingendo i limiti di ciò che la tecnologia attuale può rilevare».
Lo studio di Taylor e collaboratori è uscito questa settimana su The Astrophysical Journal. Lo spettro di Capers-Lrd-z9 è stato ottenuto da NirSpec, spettrografo che osserva nel vicino infrarosso. Solitamente, quando pensiamo ad un oggetto astronomico, ci vengono in mente le immagini che lo hanno immortalato. Gli spettri, a prima vista decisamente meno accattivanti, a uno sguardo attento si mostrano particolarmente prodighi di informazioni. La luce, scomposta nelle sue lunghezze d’onda, ci consente infatti di accedere agli elementi chimici che compongono il gas e, in alcuni casi, le atmosfere stellari e di studiare i moti che caratterizzano il gas. Ed è stato così che ciò che sembrava solo un allettante sospetto degli scienziati, quello dell’esistenza di un buco nero supermassiccio in Capers-Lrd-z9, si è tramutato in una ragionevole certezza.

Lo spettro di Capers-Lrd-z9 ottenuto con lo spettrografo NirSpec del James Webb Space Telescope. La larghezza della riga dell’H-beta ha consentito agli astronomi di stimare la velocità con cui il gas ruota attorno al buco nero supermassiccio, che è dell’odine di 3500 km/s. Crediti: Taylor et al.
«Sebbene gli astronomi abbiano trovato alcuni candidati più distanti, devono ancora trovare la firma spettroscopica distinta associata a un buco nero», commenta Steven Finkelstein, tra i coautori della ricerca, riferendosi alle righe larghe di idrogeno rivelate in Capers-Lrd-z9. In particolare, la riga corrispondente all’emissione dell’H-beta rivela una velocità del gas pari a 3500 chilometri al secondo, generata dalla vertiginosa rotazione attorno al buco nero.
Il programma scientifico che ha consentito la scoperta si chiama Capers (“Candels-Area Prism Epoch of Reionization Survey”) ed è guidato dall’astrofisico Mark Dickinson, anche lui co-firmatario dello studio. «Il primo obiettivo di Capers è confermare e studiare le galassie più distanti. La spettroscopia di Jwst è la chiave per confermare le loro distanze e comprenderne le proprietà fisiche.»
Capers-Lrd-z9 si trova a 13.3 miliardi di anni luce dalla Terra, ovvero a redshift z = 9.288, per definirla in termini di spostamento verso il rosso. Questa sorgente fa parte di un’accattivante quanto elusiva nuova popolazione di oggetti chiamati Little Red Dots (tradotto, “puntini rossi” o “piccoli punti rossi”) di cui ignoravamo l’esistenza prima dei dati di Webb e che stanno creando fermento nella comunità astronomica internazionale. Stavolta è dalle sorprendenti immagini di Webb che è partita la scoperta. Immagini che hanno rivelato queste sorgenti particolarmente brillanti nel rosso e dall’aspetto compatto. La Nasa ha inserito i misteriosi puntini rossi fra le dieci sorprese che proprio non ci aspettavamo nei primi tre anni di attività di Webb.

Esempi di Little Red Dots (“puntini rossi”), nuova classe di oggetti scopetta da Webb, dalla forma compatta e che emettono molta luce nel rosso. Crediti: Nasa, Esa, Csa, StScI, D. Kocevski (Colby College)
Il dibattito su cosa siano questi piccoli punti rossi che costellano le immagini di Webb è attualmente in corso. Nella maggior parte di essi sono state rinvenute delle righe larghe prodotte dal gas, indicative di moti ad alta velocità come quelli osservati in Capers-Lrd-z9. Gli scienziati ritengono dunque che almeno una parte dei Little Red Dots sia alimentata dall’accrescimento di materiale su un buco nero supermassiccio, che spiegherebbe i moti osservati e la luminosità di questi oggetti.
«La scoperta dei Little Red Dots è stata una grande sorpresa dai primi dati di Jwst, poiché non assomigliavano per niente alle galassie osservate dal telescopio spaziale Hubble», spiega Finkelstein. «Ora stiamo cercando di capire come sono fatti e come si sono formati.»
Sembrerebbe inoltre che i buchi neri nei puntini rossi siano ricoperti da delle fitte coltri di idrogeno, che spiegherebbero alcune delle proprietà riscontrate dagli scienziati. Compreso il colore rosso. «Abbiamo già visto queste nubi in altre galassie», commenta Taylor. «Quando abbiamo confrontato questo oggetto con quelle altre sorgenti, ci siamo resi conto che era identico.»

Illustrazione che rappresenta Capers-Lrd-z9. Il buco nero supermassiccio è avvolto da una fitta coltre di gas che assorbe parte della radiazione prodotta nelle regioni centrali. Questo spiegherebbe diverse caratteristiche osservate nei Little Red Dots, tra cui il colore rosso. Crediti: Erik Zumalt, The University of Texas at Austin
Il buco nero supermassiccio di Capers-Lrd-z9 ha una massa pari a circa 30 milioni di volte quella del Sole. Trovare un buco nero di questa stazza nell’universo di oggi non ci sorprenderebbe. I ricercatori devono però spiegare come abbia fatto il buco nero in questione a raggiungere tale massa avendo a disposizione solo 500 milioni di anni. Spiegare le prime fasi di vita dei buchi neri supermassici è una delle faccende più ostiche con cui l’astrofisica prova a cimentarsi.
Per il futuro, Taylor spera di ottenere dei dati a più alta risoluzione di Capers-Lrd-z9, riosservandolo con Webb. Sperando di capire qualcosa in più su questi sfuggenti puntini rossi. «Questo è un ottimo oggetto di prova per noi», ha detto Taylor. «Siamo riusciti a studiare le prime fasi dell’evoluzione dei buchi neri supermassicci solo di recente e non vediamo l’ora di scoprire cosa possiamo imparare da questo oggetto unico».
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “CAPERS-LRD-z9: A Gas-enshrouded Little Red Dot Hosting a Broad-line Active Galactic Nucleus at z = 9.288” di Anthony J. Taylor, Vasily Kokorev, Dale D. Kocevski, Hollis B. Akins, Fergus Cullen, Mark Dickinson, Steven L. Finkelstein, Pablo Arrabal Haro, Volker Bromm, Mauro Giavalisco






