Quella che segue è la trascrizione del quinto episodio di Houston, un podcast di Media Inaf che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali. Ideato, realizzato e condotto da Valentina Guglielmo, quest’episodio – pubblicato per la prima volta il 31 maggio 2024 – è dedicato al lander della missione Rosetta dell’Esa Philae e ha come ospite il fisico Paolo Ferri. Potete ascoltarlo su Apple Podcasts, su Spotify e su YouTube. Oppure direttamente da qui.
Paolo Ferri
“E c’è stato persino un giornale che diceva: ma sta roba che Philae ha toccato, non ha toccato, ha toccato due volte…ma non è che l’avete fatto apposta per tenere il pathos? Cioè questo insinuava che l’avessimo fatto apposta. Perché per gli americani è stata perfetta sta cosa. Per loro è stato come un film di hollywood. Se fosse atterrato normalmente non sarebbe stato così bello”.
[inizio musica]
Valentina Guglielmo
Goffo, impacciato, sgraziato, travagliato, atterraggio di fortuna, drammatico, epico, sicuro ma precario, azzardato, pessimo. Questi sono solo alcuni degli aggettivi con cui la stampa italiana, a differenza di quella americana, ha descritto l’atterraggio di Philae, il lander che ha viaggiato per dieci anni nella pancia di Rosetta prima di essere sganciato e atterrare – rotolare, rimbalzare – sulla cometa 67P Churyumov-Gerasimenko. Un atterraggio difficile, durante il quale non ha funzionato praticamente nessuno dei sistemi di cui era dotato il lander. Nonostante questo, o forse proprio grazie a questo, Philae è passato alla storia. Il perché cercheremo di capirlo assieme a Paolo Ferri, che all’epoca di Philae era capo del dipartimento delle missioni interplanetarie al centro di controllo dell’agenzia spaziale europea, a Darmstadt, e che in precedenza era stato anche direttore della missione Rosetta.
Io sono Valentina Guglielmo e questo è un podcast di Media Inaf che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali. Si chiama Houston.
[fine musica]
Valentina Guglielmo
Il lander Philae – che potete immaginare come una specie di lavatrice grande un metro cubo – doveva essere sganciato quando la sonda Rosetta si trovava a ridosso della cosiddetta “linea della neve”, che nel Sistema solare si trova a 450 milioni di km dal Sole, e definisce la linea immaginaria oltre la quale l’acqua ghiaccia e si trova solo allo stato solido.
Per motivi di progettazione del lander, non poteva essere lasciato andare né molto prima, poiché la temperatura e la radiazione solare sui suoi piccoli pannelli sarebbero state troppo basse, e nemmeno molto dopo, poiché il rischio che la cometa diventasse attiva e il materiale di cui era composta cominciasse a evaporare avvicinandosi al Sole aumentava di giorno in giorno.
Da programma, la missione scientifica di Philae era concentrata in poco più di 60 ore, quelle garantite dalla durata della batteria di bordo. Perché si assumeva – come spesso avviene nello spazio – lo scenario più pessimistico, ovvero che le celle solari non riuscissero a vedere la luce del Sole e ricaricare il lander.
[musica]
Il sito di atterraggio scelto sulla cometa 67P/Churyumov Gerasimenko era stato chiamato J, come la lettera dell’alfabeto, e individuava un’area di alcune centinaia di metri sulla testa del suo nucleo. Potete immaginare la cometa come una specie di paperella, in cui testa e corpo sono collegati da un restringimento, il collo appunto. J si trovava, quindi, sulla testa.
L’atterraggio di Philae era programmato per il 12 novembre 2014 dopo un volo di circa sette ore che cominciava con la separazione da dalla sua sonda madre Rosetta, che nel frattempo orbitava attorno alla cometa a una distanza di circa 22km e mezzo.
Tutto quello che sarebbe successo durante la discesa dipendeva unicamente dalla manovra di distacco, perché il lander non aveva alcuna possibilità di spostarsi in maniera autonoma. La sua traiettoria era determinata unicamente dalla dinamica di Rosetta al momento del distacco, e dalla velocità e dalla direzione che sarebbe riuscita a impartirgli. Il meccanismo di separazione di Rosetta avrebbe dovuto dare al lander una velocità iniziale di appena 18 centimetri al secondo, che sono 0.65 chilometri all’ora circa, e una direzione che scongiurasse la collisione fra i due veicoli. Il rischio più grande, per Rosetta e per Philae, era proprio quello di scontrarsi.
[fine musica]
Paolo Ferri
Philae non era un atterraggio controllato, è stato come tirare un sasso. È stato tirare un sasso da 22km di altezza, è caduto per sette ore. E tra l’altro programmato a una distanza di 500 milioni e passa di km. Io tante volte faccio questo paragone, che uno si deve immaginare.
L’atterraggio di Philae è stato così: c’è un aereo che vola ad un’altezza che è doppia rispetto a quella degli aerei civili, 22km, mentre gli aerei civili di solito volano sui 10-11km. Deve raggiungere un oggetto che è grande come il Monte Bianco e tirare giù uno scatolone che è grosso come una lavatrice, buttarlo da 22km di altezza al momento giusto in modo che cada entro un cerchio di circa 1 km sul Monte Bianco. Tutto questo non pilotato a bordo dell’aereo, ma pilotato sedendosi su Giove. Questo è l’atterraggio di Philae.
Valentina Guglielmo
Dopo essere stata rilasciata da Rosetta nel migliore dei modi, Philae sarebbe potuto atterrare in un’area grande quanto una circonferenza di un chilometro di raggio. Ma un posto non valeva l’altro, perché la cometa 67P-Churyumov Gerasimenko era costellata di ostacoli.
Paolo Ferri
Seconda cosa, Philae era una macchina costruita per l’ignoto. Non avevamo idea. Certo non la forma, quella forma lì orrenda non ce la saremmo mai neanche immaginata. Gli scienziati ci hanno dato un’idea della densità, stime della durezza della superficie, ma tutte cose assolutamente sconosciute, per cui chi ha costruito Philae – lo posso dire perché io non ho costruito Philae, quindi posso sprecare aggettivi – ha fatto una macchina per l’ignoto e quindi ha dovuto mettergli un sacco di accorgimenti dicendo “Boh se la superficie è morbida gli arpioni funzionano, se è troppo dura magari non funzionano, però magari funziona l’ammortizzatore, se affonda nella polvere…Noi il giorno in cui l’abbiamo buttato giù non sapevamo se in quella zona piana dove noi volevamo buttarlo c’era semplicemente uno strato di polvere o se magari era un lago di polvere e questo entrava e spariva nella polvere. Quindi se sparisce nella polvere magari gli metto una batteria così funziona, però se invece resta fuori gli metto le celle solari… Quindi, chi ha costruito Philae ha costruito una macchina complessa per funzionare in un ambiente totalmente sconosciuto, a parte la gravità che era stimata ed è l’unica cosa che sapevano. Io racconto spesso che quando siamo partiti Io ho fatto un calcolo mio personale delle probabilità che avevamo di un atterraggio di Philae di successo e sono arrivato a 2 per cento. Questa è stata una mia stima personale che ovviamente non ho mai detto a nessuno perché sennò quelli dell’Esa mi ammazzavano. L’Esa ufficialmente il giorno prima dell’atterraggio disse “abbiamo un 50% di probabilità”. Quindi anche L’Esa negli anni si è resa conto che era una roba veramente rischiosa. Di solito l’Esa non fa missioni col 50% di successo, di solito andiamo al 95 per cento noi, quindi restava veramente un salto nel buio.
Valentina Guglielmo
Il 12 novembre 2014 era un mercoledì. Al centro controllo missioni dell’Esa a Darmstadt, la tensione era palpabile e l’attenzione era al massimo. Il team responsabile delle operazioni di Rosetta e Philae si era trasferito dalla sala di controllo routinaria a quella principale – la main control room – che viene impiegata solo durante le operazioni più importanti e delicate. Sin dal giorno prima e per tutta la settimana, la sala sarebbe stata presidiata 24 ore su 24 da due team che si alternavano ogni 12 ore. Rosetta si trovava a circa 500 milioni di chilometri dalla Terra e il segnale – viaggiando alla velocità della luce – impiegava 28 minuti e 20 secondi per compiere il tragitto e raggiungere la sonda, dalla terra, e viceversa.
[musica]
Come dicevamo, le foto del sito di atterraggio scattate nelle ultime settimane da Rosetta non lasciavano capire fino in fondo che tipo di terreno avrebbe trovato Philae al suo arrivo, né quali rischi correva. Con la stessa probabilità poteva trovare un mare di polvere in cui sprofondare, un crepaccio in cui incastrarsi, o un masso su cui inciampare. Insomma, gli scenari possibili erano tanti e totalmente fuori controllo. La forza di gravità della cometa, inoltre, era bassissima e rimanervi gravitazionalmente legati era tutt’altro che scontato. Per dare un’idea, mentre sulla Terra Philae pesava un centinaio di chili, sulla cometa il suo peso si riduceva ad appena un grammo. Per questo il lander era dotato di arpioni, per ancorarsi al terreno, e di una valvola che sparava azoto in pressione verso l’alto, in modo da spingerlo il più possibile verso il basso e fargli mantenere il contatto con la superficie della cometa. Questi due sistemi – arpioni e azoto – avrebbero dovuto lavorare di concerto. Il test di apertura della valvola del serbatoio di azoto eseguito la sera precedente, però, non aveva dato esito positivo e non era chiaro se il sistema avrebbe funzionato.
[fine musica]
[stacco musicale]
La mattina del 12 novembre, poco dopo le 6 del mattino, Rosetta eseguì l’ultima manovra orbitale in preparazione al rilascio di Philae. Le criticità, quella mattina, erano due: la prima, la manovra orbitale di Rosetta: farla al meglio significava ridurre al minimo l’incertezza sul luogo dell’atterraggio di Philae. La seconda, la separazione: dopo più di dieci anni nello spazio e nella pancia di Rosetta, in un punto che, rispetto all’orientamento di crociera della sonda, si trovava quasi sempre all’ombra e quindi a temperature molto basse, era verosimile che qualche meccanismo o qualche ingranaggio non funzionasse al meglio. Infine, come dicevamo, durante la separazione era fondamentale impartire una precisa velocità iniziale a Philae affinché questo si dirigesse correttamente verso il suo luogo di atterraggio sulla cometa.
Dopo il rischio di scontro con la sonda Rosetta, il timore principale del team era perdere Philae nello spazio.
Paolo Ferri
Nella notte sono state delle cose molto importanti. La manovra che era fondamentale per la precisione dell’atterraggio era la manovra iniziale di Rosetta perché la precisione di atterraggio di Philae era dovuta solo alle condizioni iniziali, che erano velocità e posizione di Rosetta. Quindi era importante che Rosetta fosse nel posto giusto al momento giusto, e Rosetta ha fatto la manovra più precisa di tutta la sua vita orbitale in quel momento lì. Quindi Rosetta era consapevole dell’importanza di quella manovra, sicuramente. Lei sa che le macchine pensano. Quindi Rosetta ha fatto una manovra perfetta, ed era il team della notte che si è occupato di quello. Quando io sono arrivato lì al mattino, un paio d’ore dopo abbiamo avuto la conferma che era tutto a posto, Abbiamo dato il go per sganciare, Lì è stato un momento di grande tensione perché avevamo mezz’ora di segnale per raggiungerci e mezz’ora di segnale per mandarlo e c’erano due ore tra la manovra e lo sganciamento, quindi la Dinamica del volo ha ricevuto le indicazioni della manovra mezz’ora dopo, mancava un’ora e mezza, ha dovuto rapidamente valutare com’era andata e dirci “Sì va bene”, e poi noi dovevamo farlo entro un’ora perché ci metteva mezz’ora a raggiungerlo. Quindi lì è stato un momento di tensione, abbiamo mandato sto comando e quando si è sganciato – ovviamente l’abbiamo visto mezz’ora dopo perché il segnale arrivava mezz’ora dopo – è già stato per me un momento di grande felicità, perché mi ero liberato di Philae. Nel senso che avevamo sti 100 kg sul groppone da 10 anni. Se Philae non si fosse sganciato per qualsiasi motivo, poteva esserci, erano meccanismi complessi, noi non avremmo potuto fare la nostra missione orbitale che era quella più importante anche scientificamente: erano 2 anni intorno alla cometa non erano i tre giorni di Philae. Quindi già il fatto di averlo sganciato voleva dire che, a quel punto, eravamo arrivati alla cometa, c’eravamo liberati di Philae, e avevamo 2 anni davanti di operazioni che erano garantite a questo punto. Mitico. Quindi lì grande gioia, mi ricordo che scherzavo anche col capoprogetto di Philae perché io per anni l’ho minacciato di sganciare Philae durante il viaggio perché non ne potevo più e quindi gli ho detto “finalmente, guarda il momento più bello della missione: mi sono liberato di Philae. Quindi quello è stato un bel momento.
Valentina Guglielmo
Ma in quelle mezz’ore, fra un segnale e l’altro, cosa facevate?
[Paolo Ferri]
Beh, oddio… interessante la domanda. Avevamo ovviamente la pressione di quelli delle comunicazioni: c’era tutto il mondo che guardava, l’Esoc invaso dai camion della televisione, centinaia di giornalisti. Quindi appena avevamo un momento libero andavamo lì a farci intervistare e a raccontare com’era. Sul palco c’era un evento quindi ogni tanto andavamo sul palco andavo io, andava Andrea, eccetera. Il team comunque aveva da fare perché Rosetta andava controllata. Philae stava cadendo ma Rosetta aveva altre manovre da fare per portarla in un punto in cui ricevesse il segnale radio nel modo giusto. Quindi il team comunque era molto impegnato, e niente noi andavamo avanti e indietro tra la sala controllo quando avevamo un quarto d’ora qua, un quarto d’ora là andavamo a raccontare cosa stava succedendo.
[dal servizio video del New York Times sulla separazione]
“The first ever Landing of a man-made probe on a comet, comet Churyumov,…We leaved, …”[doppiaggio in italiano]
“Ci siamo lasciati. Siamo stati insieme per dieci anni ma era giunto il momento di separarsi. E ci siamo separati con successo. Ora il lander è da solo ed è accompagnato dalla forza di gravità che lo porterà ad atterrare in circa sette ore da adesso”
Valentina Guglielmo
La separazione di Philae dalla sonda madre Rosetta avvenne quindi alle 10:03 del mattino del 12 novembre 2014. Tutto funzionò alla perfezione e anche Rosetta reagì molto bene al nuovo assetto e alla nuova situazione, scongiurando il rischio di safe mode causato dai possibili scossoni del rilascio di Philae. Una situazione che sarebbe stata davvero drammatica, sia per Rosetta che doveva manovrare a breve per portarsi in un’orbita da cui poteva seguire l’atterraggio, sia per Philae che senza Rosetta non poteva comunicare. Invece, alle 10:28 i dati di telemetria di Philae cominciarono a scorrere sugli schermi della sala di controllo a Darmstadt. Non restava che attendere le 17:03, l’orario previsto per l’atterraggio, sette ore dopo il distacco.
Paolo Ferri
Alla fine, c’è il momento in cui doveva toccare terra ed era stato calcolato con grande precisione. Credo che sia atterrato entro sicuramente meno di 30 secondi dal momento calcolato sulle 7 ore di caduta. E lì eravamo lì semplicemente con gli occhi fissi sugli schermi a guardare quelle poche indicazioni che ci confermavano che Philae aveva toccato. Io ero a sinistra, in centro c’era il direttore di volo, Andrea, e a destra c’erano quelli lander, Stefan Ulamec e un suo collega di cui adesso non ricordo il nome. Quando loro hanno confermato che aveva toccato, io vedevo che la telemetria c’era ancora, ed è stata una grande gioia, ci siamo abbracciati tutti eccetera…
[dal video dell’Esa: applausi, festeggiamenti e prime parole di Andrea Accomazzo]
“We confirm that the lander is on the surface and I leave it to Stefano, I think it’s up to him”[altra voce maschile]
“Ok. So we are there, Philae is talking to us…”
Valentina Guglielmo
Cosa si è visto sullo schermo quando è atterrato?
Paolo Ferri
Allora, loro hanno visto qualche parametro perché avevano certi sensori che indicavano che aveva toccato e avevano anche visto che il cilindro centrale che collegava il corpo alle tre zampe si era abbassato. Almeno questo han detto. Io non li ho visti perché erano a destra rispetto a me mentre io guardavo la telemetria che arrivava, i pacchetti che arrivavano, e per me era il flusso che era importante. Loro hanno detto che han visto questo, quindi, era una conferma che c’era stato il contatto. Io guardavo il flusso che arrivava e che non si è interrotto, la telemetria da Philae arrivava. Quindi tutti felici, abbracci, pianti, eccetera. A quel punto quelli di Colonia – che era il centro di controllo di Philae – avevano tutta la telemetria a disposizione, e secondo me hanno capito quasi subito nel giro di pochi minuti, pochi secondi forse, che qualcosa non andava perché noi avevamo una cosa che abbiamo visto ma l’abbiamo vista dopo. La potenza generata dai pannelli solari di Philae non era stabile, oscillava. Era una specie di sinusoide più o meno, e non c’è altra spiegazione: il coso si sta muovendo. Però all’inizio non abbiamo guardato questi parametri, invece loro che avevano tutta la telemetria a disposizione sicuramente se ne sono resi conto. Io sono uscito dalla sala controllo un paio di minuti dopo l’atterraggio perché dovevo andare a riportare sul palco e quando sono arrivato nella zona dei giornalisti mi hanno aggredito tutti e non mi lasciavano andare. Io come dicevo sono sempre molto cauto e dicevo, ancora mi riguardo le interviste di allora, dicevo “Signori non so niente. Dobbiamo prima stabilizzare la situazione, vediamo, adesso non mi chiedete le cose. Vi posso dire che siamo atterrati e poi vediamo. Continuavo a dire questo finché a un certo punto comincio sentire che girano voci che non è atterrato e fra me e me dico “cos’è successo”. Allora torno in sala controllo, sarà stato 20 minuti dopo l’atterraggio, e Andrea mi dice “Guarda, sì è atterrato ma sta volando ancora, sta rimbalzando”.
A quel punto cosa faccio, sto lì e speriamo che si fermi prima o poi. Non sapevamo dove stesse andando ovviamente vedevamo soltanto che era in movimento e vedevamo questi parametri della potenza che oscillavano e sapevamo che con la rotazione della cometa Rosetta stava per scendere sotto l’orizzonte di Philae e quindi presto il segnale radio si sarebbe interrotto. Io dovevo andare alle 7:30 sul palco ad annunciare l’atterraggio e quelli delle pubbliche relazioni premevano, erano disperati e volevano farlo alle 7:30 a tutti i costi perché poi alle 8:00 arrivavano tutti i telegiornali del mondo e dovevano annunciarlo. Io a quel punto ho detto “signori io cosa vi racconto alle 7:30, che stiamo ancora rimbalzando? Io non vengo. Rimandate alle 8:00, che alle 8:00 so che comunque scendiamo sotto l’orizzonte. Vengo alle 8:00. Ah, qui è stato un dramma quello, ma io mi sono rifiutato di andare sul palco alle 7:30 a raccontare cosa, a dire “boh non so niente stiamo ancora rimbalzando”. Anzi, non sapevo che stavamo rimbalzando, stavamo ancora volando fondamentalmente. Quindi abbiamo rimandato di mezz’ora e questo rimandare di mezz’ora ha scatenato tutte le speculazioni. Questo è un classico alla stampa: se non gli dici cosa sta succedendo se lo inventano e quindi noi quel giorno non ce ne siamo resi conto perché eravamo totalmente concentrati sulla cosa, e tra l’altro alle 7:30 finalmente si è fermato Philae e mancavano circa 20 minuti alla discesa sotto l’orizzonte. Quindi abbiamo avuto la fortuna di vedere che si era fermato il segnale, che non l’avevamo perso ed è stata la cosa più importante e quindi abbiamo detto “benissimo, adesso Rosetta scende sotto l’orizzonte abbiamo una dozzina di ore senza segnale poi tornerà su domani mattina, e vediamo, ma intanto è lì è fermo non sappiamo esattamente dove però è comunque in contatto con Rosetta e domani probabilmente sarà in contatto ancora, magari non proprio preciso quando abbiamo calcolato era le 7 del mattino”. A quel punto eravamo entusiasti, per noi era un successo strepitoso però non avevamo ancora fatto niente. Cioè Philae si era semplicemente fermato lì tutte le foto che aveva scattato automaticamente in quelle fasi sono andate perse perché erano tutte mosse e doveva venire il mattino dopo la parte importante, però ormai la stampa era contenta eravamo atterrati c’era stato il pathos e quindi poi se ne sono andati tutti e il mattino dopo eravamo lì da soli. Non gliene fregava più niente a nessuno invece per noi cominciava lì la cosa.
[servizio video del New York Times, doppiaggio]
“Come abbiamo detto ieri: volevamo atterrare e siamo atterrati. Poi siamo rimbalzati, anche più di quanto pensavamo ieri. Dai dati che abbiamo raccolto fino a ieri sera abbiamo capito che siamo rimbalzati due volte in un posto che non sappiamo esattamente localizzare, ma in qualche modo pensiamo di essere vicini al posto in cui pensiamo di essere atterrati. Che non è esattamente vicino a dove volevamo ma nemmeno così lontano”
Valentina Guglielmo
La confusione non manca, come si sente in questo servizio del New York Times. Proviamo a ricapitolare cos’è successo dopo le sette ore di caduta di Philae. Il lander è atterrato una prima volta, dopodiché ha preso a rimbalzare, almeno due volte, rimanendo però – per fortuna – gravitazionalmente legato alla cometa e non saltando di nuovo nello spazio, e soprattutto non perdendo mai il segnale di comunicazione con Rosetta. Dopo un paio d’ore, si è fermato. Gli arpioni non hanno funzionato, né ha funzionato la valvola con l’azoto a pressione.
Almeno secondo quanto ricostruito. Non c’erano telecamere a riprendere la scena e gli addetti ai lavori hanno cercato di capire quanto successo dalla telemetria e da poche altre informazioni, come per esempio l’oscillazione del segnale sui pannelli solari. Soprattutto perché Philae si riceveva – attraverso il contatto radio con Rosetta, ma non si riusciva a vedere.
La sera del 12 novembre – il giorno dell’atterraggio – Rosetta è scesa sotto l’orizzonte di Philae alle otto circa, interrompendo le comunicazioni con il piccolo lander. Per fortuna alle 19:32 il centro di controllo di Philae a Colonia aveva notato che le oscillazioni si erano interrotte, cosa che poteva significare solo che il lander si era finalmente fermato.
Ma dove? Rosetta l’avrebbe ritrovato il giorno dopo?
[servizio video della Bbc sul landing di Philae, doppiaggio]
“È stata una grande notizia: il segnale è stato ristabilito con la cometa, e mostra che Philae sta funzionando. Non sappiamo ancora dov’è Philae ma il fatto che ci sia contatto radio significa che tutti i sistemi sembrano essere a posto…”
Valentina Guglielmo
Come si sente in questo servizio girato proprio al centro di controllo dell’Esa a Darmstadt, alle 7:01 del mattino seguente, il 13 novembre, puntuale come se non fosse a più di 500 milioni di chilometri di distanza, Rosetta riceve il segnale di Philae. Il piccolo lander funzionava, ma non si sapeva dov’era finito né come era messo. Ci vollero anni per trovarlo. Nonostante questo, stava facendo il suo lavoro e aveva anche cominciato a mandare alcune immagini.
Paolo Ferri
Fra l’altro io sono arrivato dopo del momento in cui abbiamo ricevuto il segnale. C’era praticamente Andrea col team da solo perché io avevo un’intervista alle 7:00 e il segnale era alle 7:00, quindi io ho fatto prima questa intervista alla radio poi sono venuto in sala controllo e lì nel giro di poche ore gli scienziati che erano in un’altra sala hanno ricevuto le prime foto e io sono andato su e mi hanno detto “vai vai, vai su a vedere, vai su a vedere” e lì sono stati pianti, sono state emozioni tremende vedere le prime immagini. Mi commuovo ancora adesso, momenti incredibili, questi scienziati, tutta gente come me con i capelli grigi e 40 anni di esperienza che piangevano come i bambini. Bello.
Valentina Guglielmo
Ci vollero anni per trovarlo, dicevamo. E nonostante l’emozione delle prime immagini, nonostante il sollievo di vedere che il lander, dopo i rimbalzi, funzionava, sapere dove fosse finito era la priorità assoluta del team dell’Esa.
Inizialmente, l’unica indicazione era che la luce del Sole colpiva i suoi pannelli per un’ora e mezza circa in un “giorno” della cometa, che durava 12.4 ore. Se fosse atterrato dove previsto, invece, avrebbe ricevuto luce per circa 6 ore ogni giorno. Le batterie, lo dicevamo prima, in assenza di ricarica duravano 60 ore. Poco meno di tre giorni: ed era solo quello il tempo a disposizione, perché la luce in arrivo non consentiva nemmeno di scaldare a sufficienza il lander e mantenerlo sopra gli zero gradi.
L’ultimo giorno per Philae sarebbe stato quindi il 14 novembre. Nell’ora locale di Darmstadt, in Germania, l’ultimo contatto avvenne poco dopo la mezzanotte del 15 novembre. Pur in condizioni precarie, comunque, il lander ha svolto stoicamente le operazioni e gli esperimenti per cui era stato programmato, mentre ancora si cercava di capire dove fosse, in quale posizione, e soprattutto in quale condizione di equilibrio. L’ultimo comando inviato a Philae prima di perdere il segnale, comunque, l’aveva fatto girare in una posizione – secondo gli addetti ai lavori – che avrebbe facilitato la ricarica dei pannelli solari e lasciato aperta la speranza che il lander, autonomamente, riprovasse a mettersi in contatto in futuro. Per il momento però, Philae aveva terminato il suo tempo.
[suono di un sms in arrivo]
[voce maschile]
Ancora da confermare, ma sembra che Philae sia tornato. Circa due minuti di contatto. Informazione da trattare con cautela.
Valentina Guglielmo
Questo messaggio – riportato nel libro “il cacciatore di comete” – arrivò al cellulare di Ferri la sera di sabato 13 giugno 2015, molti mesi dopo l’ultimo segnale di metà novembre. Ne seguirono altri, a intermittenza, fino al 24 giugno, ma i periodi di contatto erano sempre molto brevi. Poi, di nuovo silenzio fino al 10 luglio. La cometa Churyumov-Gerasimenko si trovava quasi al perielio – il punto dell’orbita in cui la distanza dal Sole è minima e l’attività superficiale della cometa è massima. L’avrebbe raggiunto il 13 agosto 2015. La distanza dal Sole era di 186 milioni di chilometri. In questa fase la cometa perse lo 0.1 per cento della propria massa, che potrà sembrare poco, ma considerando il suo peso iniziale corrisponde a circa 10 milioni di tonnellate. Quando l’attività prese a calare di nuovo lo scenario, sulla sua superficie, era radicalmente diverso.
Nel febbraio e marzo 2016, usando la sua camera di bordo Osiris, Rosetta intraprese una nuova campagna di ricerca di Philae. In agosto la sonda doveva cominciare a effettuare una serie di sorvoli sempre più ravvicinati in vista della sua eroica fine, che l’avrebbe portata ad atterrare sulla cometa inseguita per anni. E proprio durante uno di questi sorvoli, nella notte fra il 2 e 3 settembre 2016, Rosetta scattò le foto tanto desiderate. Philae se ne stava steso su un fianco, con una delle tre zampe perfettamente visibile e irrimediabilmente incastrato sotto un grande masso. Se ne stava lì, immobile, da quasi due anni. Da quel 12 novembre 2014. Furono le prime e ultime immagini del lander che Rosetta riuscì a scattare, prima che la fine arrivasse anche per lei, dopo meno di un mese.
[stacco sonoro]
Torniamo quindi, con il senno di poi, di nuovo al giorno dell’atterraggio. Steso sul fianco, e incastrato nel crepaccio, possiamo ora immaginare come mai Philae non ricevesse luce a sufficienza sui pannelli solari, e non potesse ricaricare le batterie. E anche come mai alcune attività scientifiche non portarono alcun risultato. Il lander, ad esempio, era dotato di un trapano che avrebbe dovuto perforare la superficie della cometa e prelevare dei campioni da analizzare. Il meccanismo funzionò bene, ma perforò il vuoto, visto che Philae se ne stava gambe all’aria.
E mentre il mondo fuori da Esa, e la stampa, avevano ormai l’immagine di un lander agonizzante e perso chissà dove dopo una serie di rimbalzi e cadute, gli addetti ai lavori festeggiavano il successo. Il commento di Ferri.
Paolo Ferri
“Non ha mai perso il segnale. Pur rimbalzando grazie ad alcuni accorgimenti che questa gente che l’ha progettato ha messo, è riuscito comunque ad attutire l’urto e quindi a non rimbalzare nello spazio, ma a restare legato gravitazionalmente alla cometa. Con la sua batteria – sì è vero essendo finito in un crepaccio al buio non abbiamo ricaricato le batterie, ma questo ricaricare le batterie era un po’ sovrastimato se vogliamo. Certo, sì, noi volevamo farlo, ma questo aveva delle Celle da 6 W, c’era una batteria secondaria da ricaricare, non la primaria. Ci avrebbe messo un tempo enorme per ricaricarla, per poi fare un paio di attività. Insomma, era un prolungarne non la vita, ma l’agonia, per qualche settimana. Non era una cosa così straordinaria come noi speravamo. Aveva sto batterione grande ed è riuscito a fare tutte le sue operazioni. Purtroppo, e questo è stato diciamo l’aspetto più negativo, è che non essendosi ancorato ed essendo finito in quel crepaccio lì alcune operazioni – che hanno funzionato, anche lì un miracolo, questo trapano italiano con tutto sto carosello di cose, meccanismi nello spazio da 10 anni, ha funzionato tutto.
Magnifico. Purtroppo non ha toccato il terreno. Vabbè alla fine Philae ha fatto un 70 per cento delle sue attività scientifiche previste. Per una situazione così, quando son partito 2% di successo di atterraggio, lei capisce che io per me è stato un successo ma drammaticamente al di là delle mie migliori previsioni. Ripeto, il mio obiettivo e lo dicevo anche ai ragazzi prima di atterrare, dicevo “signori noi dobbiamo metterlo nel posto giusto e non perdere la telemetria, questo è il nostro lavoro. Il resto, tutto quello che viene, è un di più.
Valentina Guglielmo
Goffo, impacciato, sgraziato, travagliato, atterraggio di fortuna, drammatico, epico, sicuro ma precario, azzardato, pessimo. Concludiamo come abbiamo iniziato: con questa lista di aggettivi che hanno descritto, agli occhi della stampa, la breve impresa di Philae. Di nuovo Ferri:
Paolo Ferri
Sono d’accordo con tutti tranne atterraggio di fortuna e pessimo. Tutti gli altri secondo me sono validi come aggettivi. Sicuramente goffo, impacciato, sgraziato valgono, perché l’idea per Philae era che atterrasse in luogo preciso, bello, illuminato, piatto, possibilmente senza crepacci – ma non avevamo nessuna garanzia – tocca terra, attutisce l’impatto coi suoi ammortizzatori e intanto spara degli arpioni sotto la superficie e apre una valvola con l’azoto sul soffitto per tenersi schiacciato. Poi si ancora e comincia a funzionare. Era quello che doveva fare. Niente di questo è successo. La valvola d’azoto non si è aperta, gli arpioni non hanno sparato fatto. Il fatto che Philae, alla fine, non hanno funzionato gli arpioni, non ha funzionato la valvola, ha fatto un atterraggio goffo perché ha toccato nel posto proprio che volevamo, era a 100 m di distanza dal punto, mitico, un posto magnifico, la polvere non era profonda era solo qualche centimetro… però non essendosi ancorato ha cominciato a saltare di qua e di là. Quindi goffo impacciato sgraziato, benissimo, drammatico perché ci abbiamo messo un po’ a capirlo, quelli del centro di controllo di Philae avevano tutta la telemetria, noi no, noi in Esoc avevamo solo qualche parametro per cui io ero felicissimo che avesse toccato terra e fosse ancora vivo. Per me il fatto di avere toccato nel momento giusto, quindi nel posto giusto, e di trasmettere ancora, per me era un successo strepitoso.
[inizio musica]
Valentina Guglielmo
Rosetta e Philae, per chi ci ha lavorato, sono state le esperienze lavorative che hanno segnato un prima e un dopo. Un po’ come l’atterraggio sulla Luna per i primi astronauti della missione Apollo 11, dopo l’inseguimento e l’arrivo sulla cometa Chruryumov-Gerasimenko nessuna missione sembrava più poter dare tanto. Nel prossimo episodio torniamo sul Pianeta Rosso, o meglio, ci mettiamo in viaggio verso Marte assieme alla prima sonda che ha lasciato la Terra verso lo spazio interplanetario, Mars Express. Una missione che deve tanto a Rosetta, visto che è stata costruita riutilizzando molto della sua tecnologia, e che si è trovata a ripagarla facendole da apripista sulla rampa di lancio, circa sei mesi prima. La stessa sonda che ha portato Beagle 2, il lander britannico di cui abbiamo parlato nel primo episodio di questo podcast. Io sono Valentina Guglielmo e vi aspetto al prossimo episodio di Houston, un podcast di Media Inaf che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali.
[fine musica]
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