Quella che segue è la trascrizione del secondo episodio di Houston, un podcast di Media Inaf che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali. Ideato, realizzato e condotto da Valentina Guglielmo, quest’episodio – pubblicato per la prima volta il 31 maggio 2024 – è dedicato al lander Schiaparelli e ha come ospite il fisico Paolo Ferri. Potete ascoltarlo su Apple Podcasts, su Spotify e su YouTube. Oppure direttamente da qui.
[Paolo Ferri nel servizio video di MediaInaf Tv del 19 ottobre 2016]
«Da parte del lander Schiaparelli, abbiamo alcune cattive notizie sicuramente perché abbiamo visto il segnale interrompersi a un certo punto durante la discesa»
[Inizio musica]
Valentina Guglielmo
Il 19 ottobre 2016, alle 16:42 ora italiana, il lander Schiaparelli entra nell’atmosfera marziana; dopo 5 minuti e 53 secondi dovrebbe toccare la superficie del Pianeta rosso. Per l’Europa è il secondo tentativo di atterraggio su Marte, dopo il fallimento del lander britannico Beagle 2 alla fine del 2003. Al centro controllo missioni dell’agenzia spaziale europea a Darmstadt, in Germania, col fiato sospeso, si sta a guardare. In un piccolo schermo, secondo dopo secondo, si delinea la traccia bianca del segnale radio inviato da Schiaparelli e intercettato dal radiotelescopio indiano di Pune, che permette di seguire in diretta tutte le fasi della discesa. Prima il rilascio dello scudo termico, che serve a proteggere il veicolo dall’attrito con l’atmosfera di Marte, poi l’apertura del paracadute e infine l’accensione dei retrorazzi per la frenata finale. Schiaparelli deve passare da una velocità iniziale di 21 mila chilometri all’ora, a zero, in meno di sei minuti. Ma qualcosa non sta andando secondo i piani. Di quel che accadrà, se ne parlerà a lungo, e ne parleranno tutti.
[Da Radio 2, Caterpillar] “quando parti per una grande impresa e poi in quanto, sei minuti?…Schiapa ha tentato di passare in sei minuti da 21 mila chilometri all’ora a zero. Schiapa, comincia a rallentare un po’ prima…con tutto il rispetto, sei coglione?”
Valentina Guglielmo
Ma quando inizia a rallentare Schiaparelli? Quella traccia bianca sullo schermo indica proprio a che velocità sta cadendo verso la superficie marziana, se accelera o decelera. Mancano solo 43 secondi al momento stabilito per il touchdown, quando il segnale si interrompe. È Schiaparelli che ha smesso di trasmettere o il radiotelescopio indiano che non riesce più a captarlo? Poche ore più tardi, i dati della discesa di Schiaparelli arrivano anche dalla sonda Exomars Tgo, il Trace Gas Orbiter, che ha trasportato Schiaparelli dalla Terra fino a Marte e che ha appena completato il suo inserimento in orbita attorno al pianeta. La traccia che descrive la discesa del lander è uguale a quella del radiotelescopio. È la prima conferma che qualcosa è andato storto. La voce che avete ascoltato all’inizio è di Paolo Ferri, all’epoca capo dipartimento delle operazioni all’Esa. È parte di un’intervista che Ferri ha rilasciato quel giorno, dopo aver visto il segnale del lander italiano interrompersi, in diretta.
Sono Valentina Guglielmo e questo è un podcast di Media Inaf che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali. Si chiama Houston.
[Fine musica]
Valentina Guglielmo
Il 19 ottobre 2016 era un mercoledì, e quel pomeriggio nella sala principale del centro controllo missioni dell’agenzia spaziale europea erano due gli eventi da seguire su Marte: l’entrata in orbita di ExoMars Tgo, lanciato il 14 marzo dello stesso anno e che aveva viaggiato per sette mesi per raggiungere Marte, e l’atterraggio del suo passeggero, l’italiano Schiaparelli. Come nel caso di Beagle 2, il lander trasportato a Marte da Mars Express di cui vi ho parlato nella prima puntata di Houston, anche qui abbiamo due veicoli che coprono gli stessi ruoli: ExoMars Tgo, è l’orbiter, cioè il satellite che orbita attorno al pianeta, e Schiaparelli il lander, la sonda destinata a scendere al suolo. Il giorno dell’atterraggio la sala stampa al centro controllo missioni dell’Esa a Darmstadt, era piena di giornalisti che seguivano l’evento e aspettavano informazioni. Attendevano soprattutto l’atterraggio del lander italiano, perché finalmente, più di 12 anni dopo il fallimento di Beagle 2, l’agenzia spaziale europea aveva la sua seconda occasione. L’errore commesso con Beagle 2, quello di atterrare alla cieca, senza che sulla Terra si sapesse che cosa stava accadendo, non fu ripetuto: Schiaparelli inviava la propria telemetria sia alla sua sonda madre Exomars Tgo – che, mentre Schiaparelli atterrava, era impegnata nelle sue manovre di inserimento in orbita – sia a Mars Express, la sonda che aveva trasportato Beagle 2 e che si trovava anch’essa in orbita attorno a Marte. Non solo, come abbiamo detto all’inizio, il radiotelescopio indiano di Pune era in grado di captare il segnale radio di Schiaparelli e trasmetterlo in diretta.
[Inizio musica]
In diretta, da Marte, significa con un ritardo di circa 16 minuti, il tempo impiegato dal segnale a percorrere la distanza fra la Terra e il pianeta. Le onde radio inviate da un qualunque veicolo spaziale verso la Terra si muovono infatti alla velocità della luce, ovvero a circa 300 mila chilometri al secondo, e impiegano un tempo finito – più o meno lungo in base alla distanza – a viaggiare dal trasmettitore al ricevitore. Nelle comunicazioni terrestri non ce ne accorgiamo, perché le distanze sono estremamente ridotte e la luce impiega pochissimo a percorrerle. Se però pensiamo alla luce che arriva dal Sole, che si trova in media a 150 milioni di chilometri dalla Terra, il tempo di percorrenza è di circa otto minuti. Usando questo tempo come unità di misura per definire la distanza, si dice in questo caso che il Sole dista 8 minuti luce dalla Terra. Nel caso di Marte, invece, nel giorno dell’atterraggio di Schiaparelli la distanza era di circa 16 minuti luce. Per questo, nonostante si riceva il segnale, nelle fasi di atterraggio non si può concretamente fare nulla. Con un atterraggio che dura solo sei minuti, quando il primo byte di dati arriva ai nostri schermi, è già tutto finito.
[Fine musica]
Valentina Guglielmo
In sala controllo a Darmstadt, dicevamo, il team dell’agenzia spaziale europea stava seguendo entrambe le operazioni in diretta: l’entrata in orbita di Exomars Tgo e l’atterraggio di Schiaparelli. Il racconto di Paolo Ferri.
Paolo Ferri
(6:11) «Quando ci sono fasi critiche c’è sempre molto silenzio in sala controllo. In realtà c’è sempre molto silenzio in generale, ma quando una cosa si fa critica non parla più nessuno, ciascuno si concentra. In quel caso noi seguivamo più l’entrata in orbita di TGO, quindi la manovra di TGO. Anche da TGO non avevamo molti dati, però avevamo il segnale, eccetera. Quindi noi eravamo più preoccupati di quello, però ovviamente in quei 6-7 minuti tutti guardavano lo schermo di Schiaparelli. Eravamo praticamente tutti in piedi, non c’era tanta gente, perché ci premuriamo in questi momenti critici di tenere tutti i visitatori, anche tutti i dirigenti, i capi, il più lontano possibile. Quindi eravamo nella fila posteriore delle stazioni di lavoro, dove c’è il direttore di volo, che era Michel Denis in quel momento. Io ero in piedi a fianco a lui, poi avevo a fianco un responsabile del progetto, di quelli che avevano costruito la sonda, Giacinto Gianfiglio, e basta, gli altri erano tutti gli operatori in sala controllo, quindi non più di una quindicina di persone. Durante la discesa, la mia percezione è che siano arrivati in quel momento, però probabilmente sono arrivati un minuto prima, sono arrivati il direttore dell’ESOC, che è il direttore del programma di esplorazione, e il responsabile del programma ExoMars, sono entrati in sala controllo, un attimo prima che perdessimo il segnale».
Valentina Guglielmo
«Ok, e in quel momento, quindi, cosa è successo? Non avete più visto niente?»
Paolo Ferri
«In quel momento noi seguivamo lo sviluppo di questa curva bianca sullo schermo, diciamo, quasi un segnale di neve, come sulla televisione una volta, quando non era digitale.
Il segnale è scomparso. Ora, è scomparso circa, approssimativamente 40-50 secondi prima di quello che era il tempo di atterraggio che avevamo calcolato. Ricordo che io mi sono voltato verso questi due direttori che sono entrati e ho detto non è ancora il momento di sperare, può essere successo di tutto in questo momento, quindi non possiamo dire niente. Però, certamente, tutti erano terrorizzati dal fatto di aver perso il segnale. Aspettiamo che arrivino i dati dei nostri satelliti, quelli sono garantiti, i satelliti devono averli ricevuti, sia Mars Express che TGO. Quindi quando Mars Express, adesso non ricordo quando, ma è stato un paio d’ore dopo, quando Mars Express ci ha inviato questa registrazione, è stata la prima vera conferma che era successo qualcosa. Anche lì non potevamo dire nulla perché avevamo solo questo segnale, l’unica cosa era che sicuramente aveva smesso di trasmettere Schiapparelli, non era un problema di ricezione o un problema di trasmissione. Quando abbiamo perso il segnale in tempo reale dagli indiani non ero assolutamente preoccupato perché mi sono detto “questo non vuol dire niente, era un segnale non garantito, siamo stati fortunati ad averlo fino adesso, aspettiamo di avere informazioni maggiori”. Quando è arrivato quello di Mars Express ho cominciato a orientarmi verso il pessimismo».
Valentina Guglielmo
«E quando invece è stato il momento di disperare davvero?»
Paolo Ferri
«Quando abbiamo avuto la certezza è stato quando TGO, che tra l’altro era entrato bene in orbita, tra l’altro aveva lanciato, sganciato Schiapparelli nel modo migliore, con le condizioni iniziali migliori, TGO ha fatto un lavoro perfetto. La terza cosa che doveva fare, importante, era ricevere i dati di Schiapparelli e li ha ricevuti tutti. Ha preso il segnale, ha preso la telemetria, ce l’ha mandata giù.
Con questi dati noi non solo abbiamo avuto la conferma, non era un disperare, a quel punto abbiamo avuto la conferma di quello che è successo, ma nel giro di pochissimo tempo, parlo di ore e giorni, sapevamo esattamente cosa era successo. Quindi grazie al lavoro di TGO la conferma del problema è arrivata assieme anche alla comprensione del problema, o quasi assieme. Per cui quello è stato molto importante anche per il nostro ego».
Valentina Guglielmo
«Quindi a distanza di ore, diciamo».
Paolo Ferri
«Sì, è arrivata nella notte. Io tra l’altro il mattino dopo dovevo partire, quindi molto presto al mattino ho parlato con la sala controllo e mi hanno spiegato esattamente che TGO aveva visto la perdita del segnale, aveva visto anche che troppo presto nell’atterraggio Schiaparelli aveva eseguito certe attività che doveva eseguire molto dopo; quindi, era chiaro che si era schiantato, era evidente. Dalla telemetria c’è voluto pochissimo, bastato dare un’occhiata e si è capito subito». (11:46)
[Dal servizio di Euronews]
“È finito con uno schianto il viaggio del lander Schiaparelli della missione ExoMars. La conferma è arrivata dall’Agenzia Spaziale Europea che cerca ora di capire cosa non ha funzionato e perché, il 19 ottobre durante la fase di discesa verso il pianeta rosso. A 50 secondi circa dall’arrivo previsto Schiaparelli è precipitato a una velocità superiore ai 300 km all’ora, forse per un’anomalia al software di bordo. Schiaparelli ha rilasciato il paracadute frenante troppo presto…”
Valentina Guglielmo
Il mattino successivo, Ferri era in viaggio per rientrare in Italia, mentre a Darmstadt l’analisi della telemetria aveva ormai costruito una certezza: Schiaparelli si era schiantato. Le prime indicazioni su quanto successo possiamo sentirle da Andrea Accomazzo, capo della divisione missioni interplanetarie dell’Esa, in questa intervista di Elisa Nichelli di Media Inaf del 17 ottobre 2016.
[Andrea Accomazzo, la mattina dopo, nel servizio di Media Inaf TV]
«Quello che noi osserviamo dalla telemetria è che la separazione del paracadute, e quindi il distacco del paracadute, è avvenuto è avvenuto a un tempo, non necessariamente a una quota, ma a un tempo precedente le nostre simulazioni, quindi circa 50 secondi prima di quello che noi ci aspettavamo. Questo potrebbe indicare, non necessariamente, che è stato rilasciato il paracadute a una quota più alta di quello che era previsto, però non lo sappiamo ancora. Dopo il rilascio del paracadute Schiaparelli doveva accendere i motori retrorazzi per 30 secondi per rallentare durante l’ultimo chilometro di discesa e poi atterrare. I retrorazzi sono stati accesi, sono stati accesi solo per 3 secondi e poi Schiaparelli è entrato nel modo di atterraggio.
Ora, queste due informazioni, un rilascio del paracadute molto presto e un’attuazione dei retrorazzi molto più corta del previsto, si contraddicono l’una con l’altra; quindi, dobbiamo capire perché la logica di bordo ha preso queste decisioni. Questo non siamo ancora in grado di farlo, però la cosa più importante è che abbiamo tutti i dati ingegneristici per capire perché è successa questa sequenza di decisioni e di azioni che non è in sincronia con le nostre aspettative».
[Stacco musicale]
Valentina Guglielmo
Il rapporto ufficiale dell’ESA su quanto accaduto è stato pubblicato diversi mesi dopo, il 18 maggio 2017. Si tratta di un documento di una trentina di pagine in cui lo Schiaparelli Inquiry Board –la commissione d’inchiesta istituita per analizzare quanto avvenuto al lander – descrive con precisione le circostanze nelle quali si è verificata l’anomalia, le cause che l’hanno generata, e stabilisce alcune manovre correttive affinché, imparata la lezione, non si ripeta più l’errore. Nel rapporto viene descritta la sequenza temporale delle fasi di atterraggio così come l’abbiamo sentita raccontare da Andrea Accomazzo e da Paolo Ferri: prima l’entrata in atmosfera e la prima fase di discesa con lo scudo termico; poi, dopo circa tre minuti, l’apertura del paracadute e quaranta secondi dopo, il rilascio dello scudo termico. Infine, l’accensione dei retrorazzi per la frenata finale.
Secondo quanto ricostruito, durante l’apertura del paracadute, il lander avrebbe subito degli scossoni che hanno ingannato l’unità di misura inerziale, ovvero il modulo responsabile di misurare assetto e accelerazione del veicolo – che ha fornito dati sbagliati per quasi un intero secondo. Questi dati – orientamento e accelerazione – servivano al computer di bordo per calcolare l’altitudine, che, quindi, risultava sbagliata. Il computer, in realtà, si era reso conto che qualcosa non andava, ma aveva scartato solamente i dati inviati nei primi 15 millisecondi dopo l’apertura del paracadute, mentre come abbiamo dettole misurazioni errate si erano protratte per circa un secondo. A bordo di Schiaparelli, comunque, c’era anche un secondo modo per calcolare l’altezza del lander: un altimetro radar, che a differenza del computer aveva misurato l’altitudine corretta. Peccato che questa misura non sia stata nemmeno presa in considerazione. Come mai? Perché il software di bordo era istruito per fidarsi più del computer che dell’altimetro, senza nemmeno porsi il problema se avesse senso una misura o l’altra qualora fossero diverse.
Paolo Ferri
«È stato un errore di valutazione. Ora, non so se col senno di poi sarebbe stato meglio fare l’opposto, però sicuramente sono stati scartati a priori questi valori. Mentre io, computer, che ho calcolato che sono a, che ne so io, un chilometro d’altezza, l’altimetro mi dice che sono a 4, almeno qualche domandina me la dovrei fare, no? Magari fare qualche altra verifica.
Terza cosa, molto più semplice, quando il computer ha deciso che era arrivato, aveva addirittura calcolato un’altezza che era negativa. Anche qui, un minimo di controlli di plausibilità del calcolo si potrebbero inserire».
Valentina Guglielmo
Confuso dai dati incoerenti e immaginando che Schiaparelli fosse già quasi atterrato, il software ha inviato il comando di rilascio del paracadute e del guscio posteriore, ordinato l’accensione dei retrorazzi per soli 3 secondi invece dei 30 previsti e dato l’ok all’attivazione del sistema onground, letteralmente a terra, quello cioè che doveva entrare in azione ad atterraggio avvenuto. Insomma, un po’ come aprire il portellone e far scendere i passeggeri dall’aereo mentre questo è ancora in volo. Schiaparelli, quando ha spento i retrorazzi, si trovava ancora a 3.7 km di altezza. Cominciava una caduta libera che l’avrebbe portato, in 34 secondi circa, a schiantarsi sulla superficie di Marte a 150 metri al secondo, 540 chilometri all’ora. Erano le 16:47:28 secondi ora italiana, mentre l’orario di atterraggio previsto era circa 37 secondi dopo, alle 16:48:05.
Ma come si vive un fallimento del genere dietro le quinte, fra i responsabili della missione? Ci si dà la colpa a vicenda? L’ho chiesto a Ferri.
Paolo Ferri
«No, all’interno della missione mai. Guardi, io ho vissuto 40 anni nel mondo delle operazioni, anche nei casi, non parlo adesso di fallimenti totali, ma errori operativi, ce ne sono spesso. Quando qualcuno commette un errore operativo, l’approccio non è mai chi “è il colpevole?”. L’approccio è “cosa ha portato a questo errore”. Per esempio, se un operatore, l’ultimo anello della catena, quello che alla fine schiaccia il bottone e manda un comando al satellite. Se un operatore non segue la procedura, c’è una procedura scritta, “devi fare quello”, e lui salta un passo. La reazione nostra, professionale, ma anche umana, non è mai di dire “ma guarda sto deficiente ha saltato un passo della procedura”. Al contrario, la prima cosa che diciamo è “la procedura non era abbastanza chiara, sicura, e in qualche modo ha portato l’operatore a fare un errore. Dobbiamo migliorare la procedura”.
Questo è l’approccio che abbiamo noi sempre, ed è importantissimo nel nostro lavoro, perché l’errore umano c’è sempre. Il nostro lavoro è quello di minimizzare le probabilità di errore umano, quindi colpevolizzare mai. Ora, nel caso di Schiaparelli, ricordo benissimo che ovviamente a seconda di quanto la gente era legata alla missione, ma soprattutto a Schiaparelli stesso, le reazioni erano diverse. Noi, come al solito, avevamo da preoccuparci di TGO. Chiaramente Schiaparelli stavolta era parte del nostro lavoro, era molto importante. Non potevamo farci nulla, perché noi l’abbiamo programmato, l’abbiamo sganciato nel modo giusto, abbiamo preso la telemetria, il nostro lavoro l’abbiamo fatto, quindi non potevamo salvarlo. Però, chiaramente, era parte della nostra missione. Non era più come Beagle che potevamo dire, “vabbè signori, è un passeggero, non ha comunicato, peccato, mi spiace, però non è un problema mio”. Schiaparelli era anche un problema nostro. Però avevamo tanto per la testa, anche con TGO, eccetera; quindi noi l’abbiamo sofferto parzialmente, anche se molto più pesantemente di Beagle 2. Io ricordo gente dell’industria che aveva costruito Schiaparelli che piangeva nella nostra sala controllo. Ho provato anch’io a piangere in altri momenti, ma questa gente era disperata, perché è gente che ci ha investito anni di vita. E tra l’altro erano molto ottimisti su Schiaparelli, io non lo ero, per tanti motivi. Io ero molto più pessimista rispetto alla maggior parte della gente. Erano tutti convinti che avrebbe funzionato, mentre io ero ancora conscio del fatto che era un processo complesso, che c’erano tante cose che provavamo per la prima volta. Era il motivo per cui abbiamo fatto Schiaparelli, per fare una prova, quindi le probabilità che andasse qualcosa storto per me erano molto alte; per tanta gente, soprattutto quelli che hanno costruito Schiaparelli, è stata una batosta pesantissima, li ricordo e mi dispiace moltissimo per loro, perché so cosa vuol dire, insomma».
Valentina Guglielmo
E mentre i ricercatori e l’industria si disperavano, la stampa ci andava a nozze. Sin dai primi giorni dopo lo schianto, al lander vennerò affibbiati nomi come “Schiantarelli”, vennerò disegnati fumetti satirici – uno su tutti Stefano Tartarotti per il post, con i responsabili della missione che si danno il cinque urlando “ne abbiamo fatto schiantare un altro” –, se ne parlò alla radio e in tv. Spesso, con molta ironia, come nella puntata di Caterpillar di cui abbiamo già avuto un assaggio.
[Da Radio2, Caterpillar] “Siamo molto giù, siamo molto giù a Caterpillar, avevamo creduto alla discesa su Marte di Schiaparelli, ci siamo anche molto identificati e oggi la ferale notizia: Schiaparelli si è schiantato. I retrorazzi hanno funzionato per pochi secondi e poi… Per dirla, cioè, quello che ieri era il nostro mito oggi è il minchione che ha spento i retrorazzi troppo presto. Schiapa cosa diavolo hai fatto? Primo consiglio all’agenzia spaziale, alla prossima sonda diamogli un altro nome…”
Valentina Guglielmo
E in effetti, Sara Zambotti non ha tutti i torti. Perché gli hanno dato questo nome?
[Musica]
Schiaparelli era un lander di progettazione e costruzione tutta italiana, e prendeva il nome dall’astronomo Giovanni Schiaparelli, che diventò celebre alla fine dell’Ottocento per le sue osservazioni di Marte e anche – guarda caso – per aver generato un fraintendimento globale. Per aver visto, in particolare, una fitta rete di strutture lineari sulla superficie del pianeta che, in una pubblicazione sulla rivista Natura e Arte del 1895 intitolata “La vita sul pianeta Marte”, chiamò impropriamente “canali”. Dico impropriamente perché il termine fu tradotto in inglese usando il termine canals invece di channels, che viene di solito utilizzato per riferirsi a una costruzione di tipo artificiale. Imprecisione, questa, che spalancò le porte alle più disparate ipotesi: se per decenni ci sono state speculazioni sul fatto che sul Pianeta Rosso ci fossero forme di vita intelligenti in grado di costruire questi canali, è stato proprio a causa di questo equivoco.
[Fine musica]
Valentina Guglielmo
Ma ritorniamo alla sera dell’atterraggio. Quando nessuno aveva ancora il coraggio di pronunciare la parola “schianto” e l’unico indizio a disposizione era l’interruzione del segnale da parte di Schiaparelli. Il centro controllo missioni dell’agenzia spaziale europea a Darmstadt era invaso dai giornalisti. E la persona incaricata a parlare con la stampa, soprattutto in caso di cattive notizie, era Paolo Ferri.
Paolo Ferri
«Sono abbastanza contento di come ho gestito mentalmente, e anche la comunicazione, devo dire, perché tra l’altro il mio ruolo in quel giorno era quello di portare le brutte notizie o perlomeno di spiegare le brutte notizie. L’abbiamo stabilito in quello che chiamiamo il piano di comunicazione, il piano di crisi, che se fosse andato tutto bene c’erano appunto il direttore di volo, eccetera, che avrebbero potuto uscire in certi momenti dalla sala controllo e fare comunicazione.
Se fosse andato qualcosa storto, tipo l’entrata in orbita di TGO o l’atterraggio di Schiaparelli, loro sarebbero rimasti lì a lavorare e io dovevo arrivare a proteggerli, inserirmi nel mezzo e dire “va bene, vi spiego io”. E sono abbastanza contento di come ho gestito quello perché io ho continuato a dire esattamente quello che sapevamo, che era molto poco, e a dire “con quello che sappiamo non possiamo dire niente”, però continuavo a ripetere ai giornalisti “certo che perdere il segnale non è un buon segno”. Ci sono anche titoli dei giornali a volte con quella frase, perché era quello che sentivo. Non sapevo niente, non volevo speculare, però quando Mars Express ha confermato che il segnale era stato perso chiaramente era un segno molto molto negativo. La serata è stata piuttosto concitata perché ovviamente a quel punto la pressione della stampa montava tremendamente e successe anche che in serata, qualcosa tipo alle otto di sera, non mi ricordo, quando doveva passare MRO, questa sonda americana, sopra il luogo di atterraggio di Schiaparelli e doveva ricevere il segnale, MRO ha avuto un problema. Non è facile operare a Marte uno si immagina che vabbè c’è il segnale, prendilo, portalo giù. È una cosa complessa, MRO ha avuto un problema lui per cui gli americani ci hanno detto “scusate non siamo riusciti ad ascoltare il segnale”, e quando io ho comunicato questo alla stampa molti della stampa non ci credevano. Credevano che raccontassi balle, e io ho proprio un principio: io non racconto mai balle alla stampa. Io racconto esattamente quello che so, non speculo mai neanche, non racconto neanche mie speculazioni, anche quelle in cui credo profondamente, non racconto mai quello perché queste cose restano. Se racconti una balla ai giornalisti prima o poi lo scoprono e perdi credibilità; se speculi prima o poi speculi male e perdi credibilità. Quindi io sono sempre molto coerente. Non ho mai raccontato balle e ho detto “Signori, gli americani non hanno preso segnale ma per problemi loro quindi siamo al punto di prima. Al momento siamo ancora a dire non sappiamo niente”».
Valentina Guglielmo
La conferma dello schianto, lo dicevamo prima, è arrivata alcune ore dopo, quando anche la sonda Exomars Tgo ha inviato a Terra i dati telemetrici che le aveva inviato Schiaparelli. A quel punto, si poteva dire ad alta voce: l’atterraggio è fallito.
Paolo Ferri
«Per un pelo non abbiamo avuto un atterraggio di successo. Io credo che se l’atterraggio fosse stato di successo non avremmo analizzato a fondo così come abbiamo fatto nel caso del fallimento, non avremmo analizzato a fondo tutta la situazione, cosa era andato storto, cosa era andato bene. Io credo che almeno avremmo rischiato di trascurare elementi importanti, invece col fallimento abbiamo capito tutto, abbiamo analizzato tutto. Quindi io sono quasi più contento, adesso, con il senno di poi che sia fallito piuttosto che sia andato bene, perché di errori ce ne sono stati tanti e li abbiamo scoperti tutti».
Valentina Guglielmo
In un articolo uscito alcuni anni dopo sul New York Times intitolato “How to land on Mars”, “come si atterra su Marte”, si descrivevano tutte le fasi dell’atterraggio su Marte della sonda della Nasa Insight, nel 2018, confrontandole con quelle del rover Curiosity, giunto su Marte nel 2012. La Nasa su Marte ci era arrivata ben prima, in verità, già nel 1976 con le due sonde gemelle Viking, mentre il primo atterraggio di successo su Marte fu opera dell’Unione sovietica nel 1971 con Mars 3. Almeno trent’anni prima del primo tentativo europeo. E infatti nell’articolo non manca un’intera sezione dedicata agli unici due tentativi, entrambi falliti, dell’Agenzia spaziale europea: Beagle 2 e Schiaparelli. Da alcuni anni l’Esa, si sta preparando per un nuovo atterraggio. Il terzo tentativo. Come si vive, all’agenzia spaziale europea, il ricordo di questi fallimenti? Sempre Ferri.
Paolo Ferri
«L’ESA viene sempre accusata di non di non sapere gestire i fallimenti, dicono che per noi il fallimento è una tragedia e dobbiamo sempre avere successo. L’ESA ha una tradizione grandissima di successi e i fallimenti sono stati rari, e abbiamo un problema di mentalità che quando è un fallimento è una tragedia. Per noi questo fallimento appunto è stato un fallimento dell’atterraggio ma è stato un successo del test, abbiamo imparato tutto, noi siamo felicissimi di questo e ci ha aumentato drammaticamente la fiducia in un prossimo atterraggio. Fiducia che non avevamo nel caso di Schiapparelli perché con Beagle 2 non avevamo imparato niente come dicevo all’inizio. Se uno non impara dagli errori rischia di ripeterli la volta dopo. Non sappiamo neanche se li abbiamo ripetuti perché appunto gli errori di Beagle 2 non li conosciamo. Con Schiapparelli li abbiamo identificati tutti e ce ne sono stati tanti. E tutti questi errori sicuramente non verranno ripetuti. Magari ne faremo di nuovi, eh, però è sempre una questione statistica o probabilistica. Quindi la fiducia in un futuro atterraggio più di successo è aumentata, decisamente. E poi vabbè sono intervenute tante questioni politiche che hanno ritardato di molto questo atterraggio e questa è la nostra preoccupazione. Perché se la nuova missione, quella vera, quella di portare il rover su Marte fosse avvenuta nel 2020 o nel 2022, come era previsto, sicuramente la nostra fiducia che questi errori e questi problemi di Schiaparelli fossero sempre ben chiari nella mente dei progettisti e di tutti sarebbe stata più alta. Adesso passeranno moltissimi anni, cambierà anche la tecnologia e cambieranno tante cose e quindi i rischi aumentano a quel punto. In questo momento Exomars TGO che è in orbita attorno a Marte è il ponte radio principale usato dagli americani per portare i dati dei loro rover sulla terra. Quindi ha un ruolo ancora molto importante l’Europa. Ovviamente una missione ogni 13 anni, la storia di Beagle 2 presa un po’ così e poi purtroppo i ritardi non solo tecnologici ma anche politici di Exomars e del nuovo rover non ci hanno ancora portato ad atterrare col successo però direi che alla fin fine nell’ambito del budget e dei programmi europei sicuramente il nostro posto a Marte ce lo siamo guadagnati»
[Inizio musica]
Valentina Guglielmo
La missione con la quale l’Esa si sta preparando al nuovo atterraggio è Exomars, e il rover si chiama Rosalind Franklin. Il lancio della missione è stato rimandato già almeno tre volte: nel 2018 per un problema riscontrato nei paracadute durante i test a terra, poi a luglio del 2020 per via del Covid e infine, nel 2022, a causa dell’inizio del conflitto fra Russia e Ucraina, che ha portato l’agenzia spaziale europea a interrompere la collaborazione con l’agenzia spaziale Russa Roscosmos, che doveva fornire la piattaforma e il supporto durante il lancio. Attualmente il lancio è stato riprogrammato per il 2028, e gli elementi originariamente forniti da Roscosmos saranno forniti in parte dall’industria europea e in parte da una nuova cooperazione con la Nasa.
E proprio della Nasa parleremo nel prossimo episodio. Nelle storie di Beagle 2 e Schiaparelli abbiamo infatti sentito che su Marte l’America è atterrata, con successo, più volte, ma anche che ha vissuto una prima fase molto buia, con diversi fallimenti. La causa, come vedremo, è stata soprattutto l’adozione di una politica spaziale sbagliata. Per ora, però, ci fermiamo qui. Io sono Valentina Guglielmo e questo era il secondo episodio di Houston, un podcast di Media Inaf che parla di spazio, di atterraggi falliti, di innovazioni disperate e di soluzioni geniali.
[Fine musica]
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