ERA GIÀ STATA VINCITRICE DI UN ERC CONSOLIDATOR GRANT

Michela Imblack, per studiare i buchi neri intermedi

Intervista a Michela Mapelli, professoressa di fisica computazionale all'Istituto di astrofisica teorica dell’Università di Heidelberg, ex-ricercatrice Inaf, che ha vinto uno dei finanziamenti più prestigiosi nel mondo della ricerca: l’Erc advanced grant, con 2.5 milioni di euro per studiare come si formano e che caratteristiche hanno i buchi neri di massa intermedia

     03/07/2025

Michela Mapelli è stata ricercatrice presso l’Inaf dal 2011 al 2017, poi prof.ssa ordinaria a tempo determinato presso l’Università di Innsbruck (2017-2018) e prof.ssa associata presso l’Università di Padova (2018-2023). Dal 2023 è prof.ssa di Fisica Computazionale nel programma d’eccellenza tedesco Structures e fa parte dell’Istituto di Astrofisica Teorica dell’Università di Heidelberg e dell’Interdisciplinary Center for Scientific Computing.

Si può dire che sia cresciuta a pane e buchi neri Michela Mapelli, l’astrofisica italiana che da poco ha vinto l’Erc Advanced Grant, il finanziamento più cospicuo e importante della categoria Erc. Dopo aver vinto il premio Merac come miglior ricercatrice all’inizio della carriera nel 2015 e un Erc Consolidator Grant sui buchi neri nel 2017, la scienziata del nero ne ha fatto quasi uno stile di vita: «Una volta ho ricevuto questo commento: “ti vesti sempre di nero, studi buchi neri, sei quasi sempre di umore nero… ma un po’ di colori nella vita no?”. In realtà il mio colore preferito è il rosso, ma da ex-pittrice dilettante so che va usato con parsimonia. La camicia bianca della foto è perché per le interview (Erc, o altre) e gli eventi ufficiali il dress code consiglia il bianco».

Media Inaf l’ha raggiunta in bilico fra un trasloco e una conferenza, per intervistarla sul suo nuovo progetto Imblack, che vuole studiare i buchi neri di massa intermedia per colmare un vero e proprio “buco” di conoscenze nel mondo astrofisico.

Per tanti anni i buchi neri di massa intermedia – Imbh, più massicci di quelli stellari, meno di quelli supermassicci al centro delle galassie – sono stati “inafferrabili” per le survey elettromagnetiche, con candidati incerti e controversi. Il 21 maggio 2019 gli interferometri Ligo e Virgo hanno rilevato il primo Imbh tramite osservazioni di onde gravitazionali: GW190521, un evento di fusione tra due buchi neri in cui il prodotto della fusione ha una massa di circa 142 masse solari, superando così la soglia critica oltre la quale un buco nero viene classificato come di massa intermedia. A questo evento ne sono seguiti altri, e anche gli osservatori elettromagnetici stanno finalmente vedendo nuovi candidati – come, ad esempio, il buco nero di più di 8mila masse solari al centro dell’ammasso globulare Omega Centauri.

Gli astrofisici sostengono che nel prossimo decennio la nostra conoscenza dei buchi neri di massa intermedia farà un salto di qualità: questi oggetti sono infatti fra gli obiettivi principali degli osservatori di onde gravitazionali di prossima generazione, terrestri (Einstein Telescope, Cosmic Explorer) e spaziali (Lisa, TianQin). Dal punto di vista della conoscenza teorica, invece, arriva il progetto Imblack.

«Ho saputo del finanziamento il 2 giugno, molto tardi rispetto all’interview (che è stata il 19 marzo)», racconta la ricercatrice . «Non sono riuscita a festeggiare perché ero troppo su di giri: tipo Forrest Gump, sono dovuta andare a farmi una lunga corsa/camminata per scaricare la tensione. Ho festeggiato con alcuni amici colleghi il giorno della press release (il 17 giugno) in un deposito degli autobus prima e poi in un ristorante indiano a Seoul».

Mapelli, i complimenti, per lei, sono doppi: è il secondo ERC che vince. Se lo aspettava?

«No, per niente. Tanto è stata spensierata e leggera la vittoria del primo Erc (di tipo consolidator, nel 2017), quanto sono state sofferte la scrittura e la preparazione dell’interview questa volta. Penso che nel 2017 ero semplicemente giovane e stupida. Questa volta per farmi coraggio mi sono stampata e appesa in ufficio una copia del diagramma di Dunning-Kruger. Ho anche sofferto di sindrome dell’impostore recentemente. Penso sia importante scriverlo per tutti i colleghi, giovani e meno giovani, che stanno vivendo la stessa esperienza: la sindrome dell’impostore è terribile ma si può superare e ci siamo passati in tanti. È importante parlare di salute mentale in un lavoro competitivo e stressante come il nostro».

Da quanto tempo stava lavorando a questo progetto, e soprattutto a questa richiesta di finanziamento?

«Sui buchi neri di massa intermedia ci lavoro letteralmente da 22 anni, dai tempi della mia tesi di laurea. Quanto a questa richiesta di finanziamento, il primo schema del progetto l’ho buttato giù di getto sulla whiteboard dell’ufficio durante le vacanze di natale 2023, quindi circa 8 mesi prima della sottomissione».

Il progetto che lei ha proposto si chiama Imblack e riguarda i buchi neri di massa intermedia. Perché?

«I buchi neri di massa intermedia tra quelli di origine stellare e i buchi neri supermassicci sono fondamentali per capire la formazione di questi ultimi. Pressoché tutti i modelli di formazione dei buchi neri supermassicci passano attraverso la fase di massa intermedia, ma pochissimo sappiamo su questa fase. Finalmente abbiamo qualche riscontro osservativo, sia elettromagnetico che di onde gravitazionali. Il progetto farà leva su entrambi. Nel futuro gli osservatori di terza generazione per le onde gravitazionali ci daranno praticamente tutti i dati che vogliamo sui buchi neri di massa intermedia. Ma anche se avessi questi dati domani, non riuscirei a dare un’interpretazione teorica perché i modelli sono abbondantemente indietro rispetto ai dati. Imblack si propone di cambiare la situazione e di darci modelli che possano essere veramente predittivi. Genereremo un set di modelli di evoluzione di stelle molto massicce, di collisioni stellari a catena e di fusioni gerarchiche di buchi neri in ammassi stellari densi lungo la storia cosmica. Confronteremo i nuovi modelli con i dati di Ligo-Virgo-Kagra e i candidati elettromagnetici. Questo ci permetterà di porre dei limiti ai modelli e di fare predizioni per gli osservatori gravitazionali di terza generazione».

Si tratta di modelli “nuovi” nel senso che non sono mai stati proposti né esplorati?

«Ovviamente i modelli non vengono mai fuori dal nulla, siamo sempre seduti sulle spalle di giganti, che hanno costruito la teoria passo dopo passo. Però ci sono tante cose che facciamo ancora in modo veramente approssimato, al limite dell’accettabile. Per esempio le collisioni stellari. Nelle simulazioni a N-corpi di ammassi stellari le collisioni tra stelle sono simulate così: quando due particelle stellari sono troppo vicine tra di loro, le rimpiazziamo con una particella sola di massa pari più o meno alla massa totale delle due particelle, assumendo che questo sia il risultato della collisione. Non possiamo calcolare in maniera autoconsistente né la perdita di massa durante il processo di fusione né la struttura della collisione. Questo approccio, detto delle sticky sphere è veramente una semplificazione estrema e su questo approccio si basano tutti (o quasi tutti) i modelli di formazione di buchi neri di massa intermedia. Imblack farà i primi modelli idrodinamici di collisioni a catena e li completerà con modelli idrostatici intelligenti».

Il progetto Imblack mira ad acquisire informazioni sulla formazione dei buchi neri di massa intermedia. Visualizzazione artistica, realizzata con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, utilizzando GPT4o. Crediti: Sebastian Stapelberg

Come si farà a capire quale modello di formazione è il più probabile? È possibile che ce ne sia più di uno ugualmente valido?

«È molto probabile che più di un canale sia all’opera. Per capirlo useremo modelli di statistica Bayesiana di popolazione che ci permettono di analizzare i dati combinando più modelli e cercando di capire quali sono assolutamente necessari e in che proporzioni. È un lavoro certosino, ma è tempo di farlo e abbiamo gli strumenti per farlo, grazie al lavoro del mio gruppo e dei nostri collaboratori in questi ultimi anni».

Quali sono i piani per i prossimi anni, quindi? Dove fonderà questo nuovo gruppo di ricerca per lo studio dei buchi neri di massa intermedia e quante persone verranno coinvolte?

«Dove troveremo le condizioni migliori per lavorare in un ambiente positivo e inclusivo. Dopo aver cercato di rimanere in Italia per tanti anni (anche in Inaf), ho accettato un lavoro all’Università di Heidelberg, in Germania. Qui ad Heidelberg ho avuto molti riconoscimenti per il mio lavoro e mi sento veramente welcome. Ma chissà, l’Erc è un grant che garantisce portabilità completa, e non è ancora tempo di fare piani sul dove, ma piuttosto sul chi e sul come. La mia esperienza con il consolidator grant Demoblack è che trovare le persone giuste è una chiave fondamentale per il successo: sono stata generalmente molto fortunata a trovare le persone giuste. E mando un ringraziamento allo staff dell’Inaf di Padova e dell’Università di Padova che mi hanno permesso di lavorare così bene e con tanto entusiasmo in questi anni, nonostante il covid. E ovviamente ringrazio i miei giovani collaboratori scientifici».

Dopo essere stata ricercatrice all’Inaf è diventata professoressa ad Heidelberg. Come vede il suo futuro accademico? Pensa mai di rientrare in Italia?

«Boh, per il momento sono un po’ pessimista sulla situazione italiana, purtroppo. Abbiamo sparso una frazione notevole dei nostri talenti in giro per il mondo senza prendere in cambio i talenti degli altri paesi. Se facciamo eccezione per alcuni (importanti) programmi speciali, non c’è un vero piano per creare eccellenze. Facciamo ancora leva (dirò una cosa impopolare) su misure del tipo “stabilizzazioni a pioggia” invece di puntare all’eccellenza scientifica. In confronto ad altri paesi, non abbiamo una robusta politica per il Dei (diversity, equity, inclusion) e non abbiamo una fondazione scientifica nazionale tipo la Dfg tedesca o la Fwf austriaca. Per chiudere però con una nota positiva, sono molto contenta di come si stanno muovendo i miei colleghi italiani su progetti tipo Einstein Telescope».