Queste che a prima vista possono sembrare dettagli di tele di Pollock, o nubi di Turner virate al fucsia, sono protuberanze solari – getti di plasma che spesso appaiono come archi o anse che si estendono verso l’esterno della superficie del Sole.
A sinistra, un fotogramma del timelapse prodotto con il nuovo sistema di ottica adattiva coronale Cona del Goode Solar Telescope. Mostra come il plasma di una protuberanza solare “danzi” e si contorca con il campo magnetico del Sole. A destra un altro fotogramma che evidenzia il fenomeno della “pioggia coronale”, che si forma quando il plasma più caldo della corona del Sole si raffredda e diventa più denso. Come le gocce di pioggia sulla Terra, la pioggia coronale viene trascinata verso la superficie del Sole dalla gravità. Poiché il plasma è elettricamente carico, invece di cadere in linea retta segue le linee del campo magnetico, che formano enormi archi o anelli. Il timelapse dal quale è tratto il fotogramma è composto dalle immagini a più alta risoluzione mai realizzate della pioggia coronale, e ha consentito agli autori dello studio di dimostrare che i filamenti possono avere uno spessore inferiore a 20 km. Entrambe le immagini sono ottenute osservando il plasma solare in H-alpha e colorate successivamente, con il colore più scuro là dove la luce è più intensa. Crediti: Schmidt et al./Njit/Nsoi/Aura/Nsf
Presentate martedì scorso su Nature Astronomy in uno studio guidato da Dirk Schmidt del National Solar Observatory, Boulder, Colorado (Usa), sono le immagini più nitide mai ottenute della struttura fine della corona solare. A renderle così affascinanti è proprio il livello di dettaglio, quasi incredibile pensando che sono state acquisite da un telescopio terrestre nemmeno troppo grande, il Goode Solar Telescope (Gst), un telescopio solare da 1.7 metri che si trova in California, al Big Bear Solar Observatory, ed è gestito dal Center for Solar-Terrestrial Research (Cstr) dell’Njit, il New Jersey Institute of Technology.
A consentire al Gst di raggiungere a una risoluzione così spinta – quasi al limite di diffrazione teorico del telescopio – è stato un nuovo sistema di ottica adattiva, ovvero la tecnologia che, correggendo le distorsioni introdotte dalla turbolenza atmosferica, consente ai grandi telescopi terrestri di produrre immagini astronomiche con una definizione paragonabile a quelle acquisite dallo spazio. In particolare, Gst si avvale di un sistema di ottica adattiva chiamato Cona in grado di modificare in continuazione, 2200 volte al secondo, la forma di uno specchio così da annullare – o quasi – la distorsione dell’immagine dovuta, appunto, alla turbolenza dell’aria.
Altro fotogramma tratto da un timelapse prodotto garzie al sistema Cona che mostra la rapida, fine e turbolenta ristrutturazione di una protuberanza solare con un dettaglio senza precedenti. La superficie del Sole, dall’aspetto soffice, è costellata da “spicole”: getti di plasma di breve durata, la cui creazione è ancora oggetto di dibattito scientifico. Le striature sulla destra sono piogge coronali che cadono sulla superficie del Sole. Crediti: Schmidt et al./Njit/Nsoi/Aura/Nsf
«L’ottica adattiva è come un autofocus potenziato e una stabilizzazione ottica dell’immagine analoghi a quelli presenti nella fotocamera del vostro smartphone, solo che invece di contrastare il tremolio delle mani corregge gli errori dell’atmosfera», spiega uno dei coautori dello studio, Nicolas Gorceix, ingegnere ottico e osservatore capo al Big Bear Solar Observatory.
I grandi telescopi solari terrestri si avvalgono delle ottiche adattive dall’inizio degli anni Duemila, e questo ha consentito di rivoluzionare l’osservazione della superficie del Sole, ma ancora non avevano avuto particolare impatto sulle osservazioni della corona, le cui caratteristiche erano fino a oggi inchiodate a una risoluzione nell’ordine dei mille chilometri se non peggio – livelli rimasti pressoché immutati per un’ottantina d’anni.
«Il nuovo sistema di ottiche adattive coronali colma questa lacuna decennale e fornisce immagini delle caratteristiche coronali con una risoluzione di 63 chilometri, il limite teorico del Goode Solar Telescope da 1.6 metri», conclude un altro coautore dello studio, Thomas Rimmele, il chief technologist del National Solar Observatory che ha costruito le prime ottiche adattive operative per la superficie del Sole e ne ha promosso lo sviluppo.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Observations of fine coronal structures with high-order solar adaptive optics”, di Dirk Schmidt, Thomas A. Schad, Vasyl Yurchyshyn, Nicolas Gorceix, Thomas R. Rimmele e Philip R. Goode
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