LO STUDIO SU PHYSICAL REVIEW LETTERS

Prevedere il vento solare con le onde magnetiche

Utilizzando dati raccolti con la missione Hinode e il telescopio Dst, un gruppo di ricerca guidato da Inaf e Asi ha scoperto che attraverso l’osservazione dei moti e delle riflessioni di un particolare tipo di onde magnetiche che si propagano negli strati più esterni dell’atmosfera del Sole è possibile risalire alle regioni da cui si è originato il vento solare, migliorando così le informazioni sul suo percorso nello spazio

     22/05/2024

Immagine corona del Sole a disco intero, acquisita dallo strumento Aia a bordo della missione spaziale Solar Dynamic Observatory della Nasa, raffigurante la regione studiata nel lavoro pubblicato su PrL. Crediti: Adattata da Murabito et al. 2024

Capire appieno i processi fisici che governano l’attività del Sole, la nostra stella, è uno dei principali modi per migliorare la capacità di prevedere i fenomeni solari che possono produrre effetti nello spazio interplanetario e sui pianeti, in particolar modo la Terra, nell’ambito della cosiddetta meteorologia dello spazio (o space weather). Un nuovo passo in questa direzione arriva dal lavoro di un gruppo di ricercatrici e ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) pubblicato oggi sulla rivista Physical Review Letters. Lo studio suggerisce che, attraverso l’osservazione dei moti e delle riflessioni di un particolare tipo di onde magnetiche che si propagano negli strati più esterni dell’atmosfera del Sole sia possibile risalire alle regioni da cui si è originato il vento solare che possiamo osservare e analizzare quando raggiunge l’ambiente terrestre, migliorando così le informazioni sul suo percorso nello spazio e, quindi, le previsioni dei suoi potenziali effetti sul nostro pianeta.

Il lavoro, guidato dalla ricercatrice Inaf Mariarita Murabito, ha utilizzato i dati acquisiti dallo spettrografo ad alta risoluzione Eis a bordo della missione Hinode dell’agenzia spaziale giapponese Jaxa e dallo spettropolarimetro italiano ad alta risoluzione Ibis realizzato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica e installato fino al 2019 al telescopio Dst (New Mexico, Usa) per studiare le onde di Alfvén. Queste, sono onde magnetiche prodotte nello strato visibile di colore rossastro dell’atmosfera solare, che prende il nome di cromosfera. Le onde di Alfvén possono trasportare quantità significative di energia lungo le linee del campo magnetico fino alla porzione più esterna dell’atmosfera solare, la corona, dove è stata osservata la presenza di un elevato flusso di questo tipo di onde. Infatti, nella corona, il campo magnetico gioca un ruolo fondamentale ed è responsabile di tutta l’attività solare che osserviamo: brillamenti, espulsioni di massa coronale, vento solare ed emissione di particelle energetiche.

Studi precedenti hanno rilevato che la composizione chimica della cromosfera e corona solare differiscono da quella della fotosfera. La teoria proposta nel 2004 da Laming per spiegare questo inatteso comportamento, attribuisce la variazione nella composizione chimica alla forza che agisce sulle particelle cariche quando esse si muovono nel campo elettromagnetico del Sole. Questo nuovo studio dimostra la connessione tra le onde di Alfvén e le anomalie di abbondanza degli elementi chimici presenti nella corona, misurando la direzione di propagazione delle onde stesse. Questa connessione è dovuta proprio all’azione di questa forza sul plasma della cromosfera.

«Le onde magnetiche e il loro legame con le anomalie chimiche erano state già rilevate nel 2021. Con il nostro studio abbiamo messo in evidenza, per la prima volta, la direzione di propagazione, ovvero la riflessione, di queste onde. Usando lo stesso modello teorico proposto e modificato negli ultimi 20 anni l’accordo con i dati è sorprendente», commenta l’autrice dell’articolo, Mariarita Murabito, ricercatrice dell’Inaf.

Questa connessione tra le onde di Alfvén e le proprietà del vento solare offre uno sguardo innovativo su come le interazioni magnetiche nel Sole possano influenzare l’ambiente spaziale circostante, portando a una maggiore comprensione dei processi che governano la fisica solare e dell’influenza dell’attività solare sui pianeti e corpi minori del Sistema solare.

«Le proprietà̀ chimiche del plasma solare restano invariate attraversando lo spazio interplanetario e possono essere utilizzate come tracciante delle sorgenti del vento solare e delle perturbazioni che in esso si propagano. Capire l’origine di questo tracciante ci offre uno strumento nuovo per comprendere in prospettiva in che modo il Sole governi le condizioni fisiche dello spazio interplanetario e quindi progredire anche nella comprensione dei fenomeni space weather», spiega Marco Stangalini, ricercatore dell’Asi e coautore dell’articolo. «Questi risultati, inoltre, ci permetteranno di sfruttare al meglio i dati ottenuti dalla missione Solar Orbiter dell’Esa e dalle future missioni Solar-C e Muse, alle quali l’Italia contribuisce, e che si focalizzeranno sullo studio della dinamica dell’atmosfera solare».

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