LO STUDIO SU ASTRONOMY & ASTROPHYSICS

Gn-z11, l’azoto e il buco nero extralarge

Uno studio tutto italiano cerca di fare chiarezza su Gn-z11, una galassia giovane, compatta e molto lontana da noi, che mostra una serie di anomalie, tra cui una peculiare abbondanza di azoto e la presenza di un buco nero un po’ troppo massiccio. L’intervista a Francesca D’Antona dell’Inaf di Roma, prima firmataria dell’articolo

     19/01/2024

Questa immagine mostra Gn-Z11 (nell’inserto): la galassia più distante scoperta fino ad ora. Crediti: Nasa, Esa, e P. Oesch (Yale University)

Scoperta nel 2015 grazie al telescopio spaziale Hubble, Gn-z11 ha catturato subito l’attenzione degli scienziati attestandosi come la galassia più lontana – e quindi giovane – a noi nota: alla sua distanza l’universo ha circa 430 milioni di anni. L’attenzione su di lei si è riaccesa poi lo scorso anno, quando il James Webb Space Telescope ha permesso di scoprire che Gn-z11 ospita una grande quantità di azoto, cosa piuttosto insolita in epoche così lontane da noi, in cui le galassie hanno avuto poco tempo per “arricchirsi” di elementi chimici così pesanti.

Negli ultimi mesi sono molti i gruppi di ricerca che sono andati a caccia di una spiegazione per questa insolita composizione chimica, chiamando in causa ammassi globulari, prime e seconde generazioni di stelle e addirittura un buco nero molto massiccio (oltre un milione di volte la massa del Sole) al centro della galassia. Qui entra in gioco Francesca D’Antona, ricercatrice associata all’Inaf di Roma, e il suo team tutto italiano, che in un lavoro pubblicato recentemente sulla rivista Astronomy & Astrophysics propone un modello in grado di spiegare sia l’abbondanza di azoto, sia la formazione di un buco nero massiccio in un’epoca così giovane per l’universo. Abbiamo raggiunto D’Antona e le abbiamo fatto un po’ di domande per capire meglio cosa sappiamo di questa galassia.

Come è nata l’idea del vostro studio? Se non ho capito male c’è di mezzo una conferenza scientifica…

«È vero: molti di noi si sono trovati assieme a Sesto, alla conferenza “A multiwavelength view on Globular Clusters near and far”, organizzata da Francesco Calura, Antonino Milone (due dei coautori del nostro studio) e Anita Zanella. L’attenzione era puntata soprattutto sugli ammassi globulari a grandi distanze da noi, per i quali il telescopio spaziale James Webb ha recentemente cominciato a mostrare affascinanti risultati».

Ora veniamo alla scienza. Come si spiega, secondo il vostro modello, la formazione stellare di questa galassia così peculiare?

«Il problema principale dal punto di vista “stellare”, che è la nostra specializzazione di ricerca, sembrava quello di capire come mai ci fosse una così alta presenza di azoto nello spettro, venti volte o più maggiore di quello delle stelle povere di metalli come in questo caso, e comunque anche ben più alta dell’azoto solare. D’altro canto, certe abbondanze così alte sono tipiche delle stelle di cosiddetta “seconda generazione”, che si è scoperto costituire la maggioranza delle stelle negli ammassi globulari della nostra galassia. Quindi molti hanno cominciato a ragionare sulla possibilità che ci si trovi in presenza del gas che negli ammassi è presente all’atto della nascita di questa seconda generazione, concentrandosi soprattutto sui modelli che ne prevedono la formazione entro pochi milioni di anni da quando è nato l’ammasso, e quindi compatibili con l’intensa formazione stellare ottenuta interpretando con i modelli le caratteristiche dello spettro di Gn-z11.

Francesca D’Antona ed Enrico Vesperini alla conferenza “A multiwavelength view on Globular Clusters near and far” a Sesto, nel luglio 2023

D’altro canto noi abbiamo lavorato per moltissimi anni su un modello di formazione della “seconda generazione” molto complesso, basato sull’evoluzione delle stelle cosiddette di “ramo asintotico” (Asymptotic giant branch, Agb), giganti nelle quali la base dell’inviluppo convettivo raggiunge temperature così alte da dar luogo a reazioni nucleari di cattura dell’idrogeno, così che la materia processata viene distribuita su tutta la stella. Queste stelle perdono tutta la loro massa esterna per vento stellare, lasciando solo un nucleo inerte di “nana bianca”, e questo materiale ha le segnature caratteristiche delle ”seconde generazioni” degli ammassi globulari, delle quali la più banale è l’alta abbondanza di azoto. La seconda generazione si formerebbe nel gas che si concentra al centro dell’ammasso globulare e contiene anche il gas processato negli inviluppi delle stelle Agb. Questo modello opera su tempi scala lunghi (decine di milioni di anni), in contrasto con alcune interpretazioni dello spettro di Gn-z11 secondo le quali il tempo scala di formazione sarebbe di qualche milione di anni; siccome un’alta abbondanza di azoto può essere ottenuta con molti sistemi nell’ambito delle stelle massicce, sono stati inizialmente proposti vari modelli basati su tali stelle».

Una possibile svolta arriva proprio lo scorso anno, giusto?

«Esatto, a metà del 2023, nella fioritura di analisi delle caratteristiche di Gn-z11, è stata pubblicata come preprint un’importante analisi di Roberto Maiolino e colleghi che elaborava la proposta che l’emissione centrale di Gn-z11 sia, in realtà, quella di un nucleo galattico attivo (Agn), cioè sia dovuta ad accrescimento su un buco nero, al quale i dati permettono di assegnare una massa un po’ superiore al milione di masse solari. Malgrado questa massa sia ben inferiore a quella dei buchi neri al centro di molte galassie ben conosciute, anche mille volte superiori, è comunque una massa molto alta per un oggetto di soli 430 milioni di anni, per cui c’è da chiedersi come esso possa essersi formato o evoluto così velocemente.

E qui torna in ballo il nostro modello, che lavora su tempi “lunghi” e successivi alla formazione di un primo ammasso globulare (la “prima generazione”). Nel lavoro mostriamo che questo tempo di un centinaio di milioni di anni può essere proprio quello che ha permesso a buchi neri “normali” nati dalla prima generazione di accrescere gas fino a raggiungere oggi la massa richiesta».

Ma quindi il buco nero al centro della galassia è un vantaggio, per Gn-z11?

«Insomma… se c’è il buco nero cambia completamente l’interpretazione dello spettro dell’oggetto. Infatti spettri molto simili possono risultare sia dall’emissione di un Agn che dall’emissione delle stelle in una regione di formazione stellare. Se in Gn-z11 lo spettro include il contributo di accrescimento su un buco nero (l’Agn, appunto), sia la sua giovanissima età che i tassi enormi di formazione stellare trovati con le analisi che non includono il buco nero sono da rivedere completamente: un problema ben noto alle persone che lavorano nel campo».

Mi diceva che rimangono aperti vari problemi rispetto a questa sorgente: quali sono? Che approfondimenti farete in futuro?

«I problemi aperti sono tantissimi, tra cui quello di capire se lo spettro è dovuto alla sola componente Agn oppure a una combinazione di emissione dall’Agn e formazione stellare. Tantissimi ricercatori specializzati lavorano su questo e noi siamo nella fortunata condizione di aspettare i loro risultati. Per quello che ci riguarda invece, è molto chiaro per noi che alla fine Gn-z11 non rappresenta la formazione di un tipico ammasso globulare, anche se sosteniamo che stiamo osservando la fase dei venti Agb, e che l’alto azoto nello spettro è dovuto a questo gas. E anche se è possibile che si stiano formando stelle di seconda generazione nelle zone dell’Agn “protette” dal disco di accrescimento intorno al buco nero, gli ammassi non contengono buchi neri massicci. Questo pertanto può essere un tipico nuclear star cluster, gli ammassi che si trovano intorno ai buchi neri massicci al centro delle galassie. Se fosse vera la nostra ipotesi sulla crescita del buco nero di Gn-z11, allora ci chiediamo che cosa discrimina tra la formazione di un ammasso globulare, nel quale restano solo alcuni buchi neri stellari, dall’evoluzione tipo Gn-z11 in cui i buchi neri centrali invece evolvono verso un buco nero supermassiccio?»


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