ELEMENTO CHIAVE PER LA RICERCA DI CIVILTÀ ALIENE

La stretta dell’ossigeno sulle tecnovite

La percentuale di ossigeno in atmosfera potrebbe essere il collo di bottiglia per l'ascesa di civiltà in grado di produrre segni rivelatori di intelligenza extraterrestre. È quanto suggerisce uno studio pubblicato su Nature Astronomy. «Se non si supera la strettoia dell'ossigeno, la vita, anche intelligente, non può iniziare a salire i gradini dello sviluppo tecnologico», dice a Media Inaf Amedeo Balbi, uno dei due autori della ricerca

     08/01/2024

Coniato dagli astrofisici Amedeo Balbi e Adam Frank, il “collo di bottiglia dell’ossigeno” descrive la concentrazione atmosferica della molecola sotto la quale è improbabile che una specie diventi tecnologica. Crediti: University of Rochester / Michael Osadciw

Se oggi il nostro pianeta pullula di forme di vita complesse e intelligenti lo dobbiamo senz’ombra di dubbio all’ossigeno, la molecola della vita per antonomasia. Dai livelli di ossigeno nell’atmosfera terrestre è dipeso infatti l’emergere della multi-cellularità e la comparsa e lo sviluppo della vita animale. C’è, dunque, un legame diretto tra ossigeno e vita.

L’ossigeno sulla Terra è stato fondamentale però anche per un altro motivo, forse meno ovvio ma altrettanto importante, che ha portato all’affermazione stessa della civiltà: la comparsa della tecnologia. L’ossigeno è indispensabile per la combustione. La sua disponibilità ha permesso ai nostri antenati di accendere fuochi e di utilizzarli come fonte di energia, fino alla rivoluzione industriale e oltre, attraverso lo sviluppo di nuove tecnologie.

Oltre che un legame tra ossigeno e vita, esiste dunque un legame tra ossigeno e sviluppo ed evoluzione di specie tecnologiche. E poiché dalla produzione di tecnologie, come ad esempio i radiotelescopi, dipende anche la nostra capacità di comunicare a distanze interstellari, ne consegue che, per estensione, esiste un legame tra l’ossigeno e la nostra capacità di inviare segnali altrove nell’universo.

Proprio la relazione tra ossigeno, sviluppo di tecnologie avanzate e capacità di produrre tecnofirme è l’oggetto di uno studio pubblicato il 28 dicembre scorso su Nature Astronomy. Gli autori della pubblicazione sono due. Uno è Adam Frank, professore di fisica e astronomia all’Università di Rochester, negli Usa. L’altro è Amedeo Balbi, professore associato all’Università di Roma Tor Vergata, scrittore e divulgatore scientifico. Lo abbiamo intervistato.

Prima di entrare nel merito della pubblicazione,  chiariamo il significato di due termini ricorrenti, utili a comprendere l’essenza dello studio: tecnofirme e tecnosfere. Di cosa si tratta?

«Le tecnofirme, come suggerisce il nome, sono tracce prodotte da forme di vita in grado di alterare l’ambiente planetario attraverso la tecnologia. Un esempio ovvio sono i segnali radio usati per le telecomunicazioni, ma l’insieme delle possibilità è molto più ampio e include, ad esempio, l’inquinamento atmosferico, l’illuminazione artificiale nell’emisfero notturno di un pianeta, e così via. L’insieme di tutte queste alterazioni costituisce la tecnosfera, che in pratica è un’estensione del concetto di biosfera».

Amedeo Balbi, professore associato di astronomia e astrofisica al Dipartimento di fisica dell’Università di Roma “Tor Vergata”, co-autore dello studio pubblicato su Nature Astronomy. Crediti: A. Balbi

Il protagonista del vostro studio è l’ossigeno. Nei primi paragrafi della pubblicazione parlate della storia della molecola nell’atmosfera. Successivamente, passate in rassegna i suoi ruoli nella biologia, arrivando a mettere in relazione i livelli di ossigeno atmosferico, le dimensioni degli organismi viventi e l’ascesa di specie tecnologiche. È davvero così importante, l’ossigeno?

«Nel nostro articolo partiamo da un’idea ampiamente condivisa in astrobiologia, ovvero che la disponibilità di ossigeno sia un ingrediente essenziale per lo sviluppo della vita complessa. La respirazione aerobica, cioè basata sull’ossigeno, è stata determinante per apportare l’energia indispensabile all’evoluzione degli organismi multicellulari sul nostro pianeta. La chimica ci dice che questo meccanismo sarebbe il più efficiente anche su altri pianeti, perché nella tavola periodica non esistono elementi altrettanto vantaggiosi dell’ossigeno, in termini energetici, nelle reazioni di interesse biologico. Inoltre, l’aumento della concentrazione di ossigeno nell’atmosfera si è accompagnato allo sviluppo di organismi sempre più grandi. Di fatto, la vita animale così come la conosciamo non sarebbe possibile senza alti livelli di ossigeno atmosferico. L’uso di strumenti tecnologici, inoltre, richiede non solo cervelli sufficientemente grandi ma anche una certa taglia fisica: entrambe le cose necessitano di alte concentrazioni di ossigeno».

Quali sono le concentrazioni d’ossigeno utili a raggiungere le dimensioni minime necessarie allo sviluppo di organismi capaci di produrre tecnologie sofisticate?

«Si possono avere singole cellule anche a concentrazioni inferiori all’1 per cento, ma per avere un sistema circolatorio vascolarizzato bisogna salire al di sopra del 2 per cento. Se poi parliamo di mammiferi, anche i più piccoli esistenti (grandi pochi centimetri), i livelli minimi di ossigeno devono essere almeno del 12 per cento circa».

Nell’ultima parte prendete in esame un aspetto precedentemente inesplorato nella ricerca cosmica della vita intelligente: il ruolo dell’ossigeno nello sviluppo della tecnologia su scala planetaria. Qual è la chiave di lettura per comprendere l’importanza del binomio ossigeno/tecnologia? E cosa s’intende per oxygen bottleneck, ovvero collo di bottiglia dell’ossigeno, termine che avete coniato per l’occasione?

«Naturalmente la capacità tecnologica non è legata semplicemente alla taglia degli organismi. In teoria, potremmo immaginare specie viventi in grado di utilizzare strumenti e di iniziare l’ascesa verso tecnologie via via più sofisticate. Ma c’è una “strettoia” da superare, un “collo di bottiglia” che, di nuovo, ha a che fare semplicemente con la chimica, e in particolare con la combustione. È impossibile accendere e mantenere una fiamma se non c’è sufficiente ossigeno nell’atmosfera. Ed è difficile che una specie intelligente possa fare grandi progressi tecnologici senza poter utilizzare il fuoco, almeno inizialmente, come fonte di energia facilmente accessibile. Proviamo a immaginare la storia dell’umanità senza la conquista e il controllo del fuoco. Praticamente nulla di quello che abbiamo ottenuto come civiltà sarebbe possibile».

Grafici che mettono in relazione i livelli di ossigeno nell’atmosfera e i principali eventi che hanno portato all’evoluzione della vita. Crediti: A. Balbi e A. Frank, Nature Astronomy, 2023

Anche in questo caso parlate di limiti inferiori di concentrazione d’ossigeno sotto i quali è improbabile che una specie diventi tecnologica. Quali sono?

«Sulla Terra, la concentrazione minima di ossigeno per poter sostenere le reazioni di combustione è attorno al 18 per cento. Noi oggi viviamo in un’atmosfera che ha circa il 21 per cento di ossigeno molecolare, quindi siamo di poco al di sopra di questa soglia».

Dunque i livelli di ossigeno richiesti per sostenere la vita sono diversi da quelli necessari per sviluppare tecnologie?

«Questo è uno dei punti fondamentali che evidenziamo nel nostro studio. I livelli minimi di ossigeno necessari per avere vita complessa sono più bassi di quelli necessari alla combustione. Questo significa che esiste un intervallo di valori entro cui è possibile l’esistenza di specie viventi anche molto sofisticate, ma che non avrebbero accesso al fuoco. In effetti, la ricostruzione dell’evoluzione della concentrazione di ossigeno sulla Terra mostra che ci sono stati periodi anche recenti, successivi alla comparsa della vita complessa e degli animali, in cui i livelli erano più bassi della soglia di combustione, e non sarebbe stato possibile usare il fuoco».

Parliamo adesso della parte secondo me più intrigante dello studio, quella cioè in cui generalizzate le vostre conclusioni alle miriadi di pianeti extrasolari scoperti sino ad oggi nell’universo…

«Se usiamo il nostro pianeta come tipico esemplare di mondo abitabile, possiamo concludere che anche su altri pianeti bisognerebbe superare livelli simili a quelli terrestri per fare sì che un’eventuale specie intelligente possa usare il fuoco come fonte di energia e come mezzo per plasmare il proprio ambiente e la propria civiltà. Se non si supera la strettoia dell’ossigeno, la vita, anche intelligente, non può iniziare a salire i gradini dello sviluppo tecnologico».

Quali implicazioni ha tutto questo per le future ricerche in campo esoplanetario e più nello specifico in campo astrobiologico?

«Le implicazioni sono molte, noi ne sottolineiamo soprattutto due. Intanto, la presenza di alti livelli di ossigeno nell’atmosfera di altri pianeti dovrebbe essere ritenuta un’informazione di contesto per giudicare la plausibilità dell’eventuale rivelazione di tecnofirme. In sostanza, dovremmo essere molto scettici se un’osservazione dovesse suggerire la presenza di tecnologia su un pianeta che non abbia ossigeno sufficiente a garantire la combustione. La seconda implicazione è che questa “strettoia dell’ossigeno” potrebbe rappresentare una sorta di filtro, un fattore in grado di impedire lo sviluppo di specie tecnologiche su altri pianeti».

La frazione dei pianeti extraterrestri in cui specie intelligenti sviluppano tecnologie è uno dei sette fattori dell’equazione di Drake. Il vostro studio può in qualche modo aiutare a comprendere meglio la famosa equazione?

«In effetti, questa è una direzione che suggeriamo nel nostro articolo. L’ascesa della concentrazione di ossigeno in un pianeta simile alla Terra dipende da tanti fattori, sia biologici (pensiamo al ruolo della fotosintesi ossigenica) sia geologici. Non c’è un modello in grado di prevedere in modo completamente affidabile questa evoluzione, ma lavorare su questo problema potrebbe servire a chiarire se la presenza di alte concentrazioni di ossigeno sia qualcosa di comune su altri pianeti, o se sia invece un evento molto raro. In questo secondo caso, il nostro lavoro suggerirebbe che il fattore dell’equazione di Drake che indica la frazione di mondi in cui si sviluppa la vita tecnologica potrebbe essere davvero molto piccolo».

Strettoia dell’ossigeno e paradosso di Fermi… Potremo finalmente dare una risposta alla domanda “dove sono tutti quanti?”

«Se la strettoia dell’ossigeno fosse difficile da superare, scoprire il fuoco sarebbe una fortuna che capita a pochi. In questo caso, la risposta al paradosso di Fermi sarebbe ovvia: forse ci sono altre specie intelligenti su altri pianeti, ma senza poter accendere la prima fiamma non vanno molto lontane, in termini tecnologici».


Per saperne di più:

Guarda il video di Amedeo Balbi: