NELLE COLLISIONI IL SEGRETO DEL VOLTO GIOVANE DELLA SORELLA DELLA TERRA

Vulcanico Venere, surriscaldato da antichi impatti

Un modello delle prime collisioni avvenute su Venere, messo a punto da un team guidato da Simone Marchi del Southwest Research Institute (Usa) e pubblicato su Nature Astronomy, riesce a spiegare come il pianeta gemello della Terra sia riuscito a mantenere una superficie giovane nonostante la mancanza della tettonica a placche. L’alta velocità ed energia dei primi impatti ne avrebbe surriscaldato il nucleo, favorendo così un vulcanismo diffuso

     21/07/2023

Simone Marchi, primo autore dello studio appena pubblicato su Nature Astronomy, è un esperto di grandi impatti. Crediti: Maku

Il volto di Venere ha un aspetto geologicamente giovanile, potremmo dire fresco – ovviamente non dal punto di vista termico. Eppure di tettonica a placche non vi è traccia. Cos’è dunque che rinnova la superficie della sorella della Terra? Secondo uno studio pubblicato ieri su Nature Astronomy, guidato dal Southwest Research Institute (Swri) di Boulder, in Colorado, la risposta sta in una successione di “massaggi violenti” prodotti da antichi impatti ad alta velocità – un’iniezione di energia che potrebbe aver surriscaldato il nucleo del pianeta, alimentando così un vulcanismo intenso e favorendo il rimescolamento della superficie.

«Uno dei misteri del Sistema solare interno», osserva a questo proposito il primo autore dello studio, l’italiano Simone Marchi, originario di Lucca ma da anni negli Usa al Swri, «è che, nonostante abbiano dimensioni e densità simili, la Terra e Venere si comportano in modi sorprendentemente diversi, in particolare per quanto riguarda i processi che spostano le masse lungo un pianeta».

Sulla Terra l’azione dominante è quella delle placche, che galleggiando come iceberg sulle rocce semiliquide del mantello rimodellano incessantemente la superficie del pianeta, dando origine a catene montuose quando si scontrano e favorendo la comparsa di vulcani, che non a caso si trovano soprattutto lungo i bordi delle placche. Su Venere, al contrario, i vulcani tendono a essere – semplificando un po’ – molto più causa che effetto. Essendo la sua superficie formata da un’unica placca senza soluzione di continuità, dunque senza possibilità di movimento, a rinnovarne l’aspetto sono state – e forse sono ancora oggi – principalmente le inondazioni di lava prodotte dai vulcani. Vulcani presenti in modo massiccio: sono oltre 80mila, dunque 60 volte più numerosi che qui sulla Terra.

Questa simulazione ad alta risoluzione (un milione di particelle) realizzata al computer mostra l’impatto frontale con Venere di un proiettile da tremila chilometri di diametro che viaggia a 30 km/s. A sinistra, i colori indicano i diversi materiali: marrone per il nucleo di Venere, bianco per il nucleo del proiettile e verde per il mantello di silicato di entrambi gli oggetti. I colori a destra indicano la temperatura dei materiali. Crediti: Swri

Ma cosa può aver reso Venere un pianeta così vulcanico? «La massiccia attività vulcanica», spiega Jun Korenaga della Yale University, fra i coautori dello studio, «è alimentata da un nucleo surriscaldato, che provoca una vigorosa fusione interna». E all’origine del surriscaldamento del nucleo ci sarebbe, appunto, una storia di intensi impatti primordiali. «I nostri ultimi modelli», continua infatti Korenaga, «dimostrano che il vulcanismo di lunga durata indotto da collisioni precoci ed energetiche offre una spiegazione convincente per la giovane età superficiale di Venere». Uno scenario, questo, nel quale un ruolo importante è giocato dalla maggiore vicinanza di Venere dal Sole rispetto alla Terra. Percorrendo un’orbita più stretta, si muove a velocità maggiore, e di conseguenza gli impatti sono più energetici. Non solo: gli autori dello studio sottolineano come a intersecare un’orbita interna qual è quella di Venere siano di solito impattatori con orbite più eccentriche di quelle richieste per colpire la Terra. E anche questo significa impatti di energia maggiore.

Rappresentazione artistica di Venere in epoca primordiale. Crediti: Southwest Research Institute

«Velocità d’impatto più elevate fondono una maggiore quantità di silicato, arrivando a sciogliere fino all’82 per cento del mantello di Venere», aggiunge a completare il quadro un’altra coautrice dello studio, Raluca Rufu, dell’SwRI. «Questo produce un mantello misto di materiali fusi ridistribuiti a livello globale e un nucleo surriscaldato».

L’occasione per confermare la validità di questi modelli dovrebbe presentarsi a breve. Per i prossimi anni sono infatti già in programma ben tre missioni spaziali verso Venere: Veritas, Davinci e l’europea EnVision. «In questo periodo l’interesse per Venere è alto, e ci sono sinergie fra questi ultimi risultati e le prossime missioni», conclude Marchi. «I dati che verranno raccolti potrebbero aiutare ad avere conferme».

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