INTERVISTA AL PRIMO AUTORE ALDO BONOMO

A caccia di giganti freddi con Harps-N

Sfruttando le potenzialità dello spettrografo Harps-N al Tng, un gruppo di esperti a guida Inaf ha scovato cinque gioviani freddi in tre sistemi planetari: due di questi erano già noti, mentre tre sono nuove scoperte. Il gruppo ha utilizzato il metodo delle velocità radiali per cercare pianeti giganti gassosi freddi in quasi quaranta sistemi già noti per ospitare super-Terre e sub-Nettuniani. A cosa serve questa survey? Anche a studiare l'origine dei pianeti del Sistema solare

     06/07/2023

Rappresentazione artistica di un pianeta di tipo gioviano freddo.
Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/Penn State University

Come la vedete una battuta di caccia al gioviano freddo, dalle Canarie? Appassionante, soprattutto per i ricercatori dell’Inaf che da anni si occupano della ricerca e della caratterizzazione degli esopianeti, i pianeti fuori dal Sistema solare. Un gruppo di esperti guidati da Aldo Bonomo, ricercatore dell’Inaf di Torino, ha quindi scandagliato il cielo alla ricerca di gioviani freddi (pianeti analoghi a Giove) in circa quaranta sistemi di piccola taglia osservati con la tecnica dei transiti dalle missioni Kepler e K2 (quest’ultima è un’estensione delle osservazioni del telescopio spaziale Keplero). La survey, realizzata con lo strumento Harps-N montato al Telescopio Nazionale Galileo (Tng) dell’Inaf alle Canarie, dura da circa dieci anni e ha come obiettivo quello di comprendere la formazione dei pianeti di piccola taglia e quella del nostro vicinato planetario. «Non abbiamo ancora una risposta alla domanda “perché il Sistema solare non contiene pianeti di piccola taglia (super-Terre e mini-Nettuni) in orbite relativamente strette?”», dice Bonomo, primo autore dell’articolo accettato per la pubblicazione su Astronomy & Astrophysics. Lo abbiamo intervistato per capire meglio l’argomento della sua ricerca.

Di cosa si tratta? 

«È un lavoro che è durato diversi anni, a guida Inaf, all’interno del consorzio che ha costruito e montato lo spettrografo ad alta risoluzione Harps-N al Tng. Il consorzio include l’Università di Ginevra, tre istituti di astrofisica di Harvard fra cui lo Smithsonian Astrophysical Observatory, e tre università del Regno Unito fra cui l’Università di St Andrews. Con il metodo delle velocità radiali abbiamo cercato analoghi di Giove, ovvero pianeti giganti gassosi freddi (o gioviani freddi), in quasi quaranta sistemi che erano già noti per avere super-Terre e sub-Nettuniani, ovvero pianeti con raggi compresi fra il raggio della terra e quello di Nettuno, a distanze orbitali dalle loro stelle più piccole di quella di Mercurio dal Sole. Questi pianeti sono fra i più abbondanti nella nostra galassia: circa il 50% delle stelle simili al Sole ne ha almeno uno, ma non esistono nel Sistema Solare».

Perché non si sono formati nel Sistema Solare?

«Non lo sappiamo. Alcuni studi teorici hanno però ipotizzato che possa essere stato Giove ad aver impedito la formazione di super-Terre e sub-Nettuniani nel Sistema Solare, essenzialmente per due ragioni: Giove avrebbe agito come barriera dinamica all’eventuale migrazione dei nuclei di Saturno, Urano e Nettuno verso il Sole, che avrebbero altrimenti potuto formare uno dei tanti sistemi di super-Terre e sub-Nettuniani caldi, come quelli scoperti dalle missioni spaziali Kepler, K2 e Tess; in alternativa, la formazione di Giove avrebbe prodotto un gap nel disco protosolare, impedendo così al materiale solido delle regioni esterne di migrare verso quelle interne per formare pianeti più grossi e massivi dei pianeti rocciosi del Sistema Solare. Questi studi teorici prevedono che gli analoghi extrasolari di Giove siano relativamente rari in sistemi con pianeti di piccola dimensione (super-Terre e/o sub-Nettuniani) interni. Abbiamo voluto testare questa predizione, cercando, come detto, gioviani freddi in trentotto di questi sistemi scoperti precedentemente dalla missione spaziale Kepler (poi K2) con il metodo dei transiti, e osservati successivamente con lo spettrografo HARPS-N per determinare le masse e le densità dei pianeti transitanti».

Cosa avete scoperto?

«Abbiamo scoperto cinque gioviani freddi in tre sistemi planetari, due nel sistema Kepler-68 (Kepler-68d e Kepler-68e con periodi P=1,7 e 9,4 anni), due in Kepler-454 (Kepler-454c e Kepler-454d con P=1,4 e 11,1 anni) e un pianeta in un’orbita molto eccentrica (o ellittica) K2-312c (e=0,85, P=2,5 anni). Solo due di questi pianeti erano già noti (Kepler-68d e Kepler-454c), quindi ne abbiamo trovati tre nuovi. Una grande sorpresa è stata l’eccentricità del gigante gassoso esterno nel sistema K2-312 (alias HD80653c), che era già noto per avere un pianeta transitante roccioso con periodo ultra-breve, inferiore a un giorno. Studi futuri cercheranno di capire come si sia formato questo sistema eccezionale. Siamo riusciti a determinare bene i parametri orbitali dei pianeti Kepler-68e e Kepler-454d solo con gli ultimi dati presi nell’estate del 2022 prima di cominciare a scrivere l’articolo, quasi al fotofinish… visti i lunghi periodi orbitali di 9 e 11 anni».

Qual è l’elemento di novità in questo articolo rispetto allo stato dell’arte?

«Oltre alla scoperta dei tre nuovi gioviani freddi, il nostro lavoro non ha confermato un risultato precedente della letteratura scientifica, secondo cui ci sarebbe un eccesso di gioviani freddi attorno a stelle con pianeti di piccola dimensione e breve periodo, come se la formazione di super-Terre e sub-Nettuniani fosse in qualche modo “facilitata” dai fratelli maggiori, analoghi di Giove. L’analisi del nostro campione di stelle non mostra tale eccesso, ma al contrario indicherebbe una possibile anticorrelazione, come previsto da alcuni lavori teorici. Tuttavia, l’incertezza sulla frequenza dei gioviani freddi del nostro campione, dovuta alla sua dimensione inevitabilmente limitata, non ci ha permesso di trarre una conclusione definitiva sull’esistenza o meno di tale anticorrelazione. Servirà dunque estendere il campione ad altre stelle con pianeti di piccola dimensione interni, ad esempio includendo i sistemi Tess osservati con Harps-N dal nostro consorzio, e sistemi K2 e Tess osservati dall’emisfero sud con altri spettrografi quali Harps ed Espresso».

Perché il vostro lavoro è così importante per la comunità dei “cacciatori di pianeti”?

«Direi per tre ragioni: la prima è aver mostrato, come detto, che non c’è una correlazione fra pianeti di piccola taglia interni e gioviani esterni. Ciò rappresenta un importante vincolo osservativo per i modelli di formazione e migrazione di super-Terre e sub-Nettuniani. La seconda consiste nell’aver determinato in modo omogeneo le masse e densità di 64 pianeti di piccola taglia nei 38 sistemi considerati (una quindicina dei quali sono sistemi multipli), migliorandone in diversi casi la precisione; grazie a queste misure è possibile determinare la loro composizione e stabilire, ad esempio, se questi pianeti siano super-terre rocciose come la Terra, in caso di elevate densità, oppure siano sub-Nettuniani che hanno densità più basse perché contengono grandi quantità di ghiaccio di acqua e/o possiedono un’atmosfera di idrogeno ed elio. Diverse composizioni corrispondono a diverse storie di formazione ed evoluzione planetarie: è dunque possibile che l’impatto dei gioviani freddi sulla formazione dei pianeti piccoli interni sia diverso per i pianeti rocciosi e non-rocciosi, cosa che potrà essere investigata con studi futuri. Infine, ma non meno importante, con questo lavoro rilasciamo a tutta la comunità scientifica le oltre 3600 misure di velocità radiale che abbiamo preso dal 2012 con Harps-N perché altri gruppi di ricerca possano utilizzarle per nuovi studi. La misurazione delle velocità radiali è stata migliorata negli ultimi anni per correggere alcuni effetti strumentali. Noi italiani, in particolare, abbiamo contribuito in modo importante a testare vari aggiornamenti del software per la misura delle velocità radiali sviluppato dai colleghi svizzeri».

Lo studio è stato possibile grazie al Tng. Cosa rende speciale questo telescopio e i suoi strumenti come Harps-N?

«È uno dei migliori spettrografi al mondo, in termini di precisione delle misure e stabilità sul lungo termine, per cercare nuovi pianeti con il metodo delle velocità radiali e per determinare le masse e le densità di pianeti precedentemente scoperti con il metodo dei transiti, come quelli delle missioni spaziali Kepler, K2 e Tess. Solo lo spettrografo Espresso all’osservatorio Very Large Telescope in Cile ottiene al momento una precisione/accuratezza delle misure di velocità radiali migliore di Harps-N, grazie soprattutto alla maggiore dimensione dello specchio del telescopio (8.2 m contro i 3.6 m del Tng). Tuttavia, trovandosi appunto nell’emisfero sud, Espresso non può osservare le stelle più a Nord, per cui i due spettrografi sono certamente complementari».

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