CON UNA “BOLLA” AL POSTO DELLA SINGOLARITÀ

Non il solito buco nero: ecco il solitone topologico

L’oggetto emerso dalle simulazioni di tre ricercatori della Johns Hopkins è un’ipotetica costruzione matematica basata sulla teoria delle stringhe, e mostra come in teoria potrebbero esserci corpi celesti che “copiano” i buchi neri. Ne parliamo con uno dei tre autori dello studio pubblicato questa settimana su Physical Review D, il fisico teorico Emanuele Berti, della Johns Hopkins University

     27/04/2023

In questa sequenza animata, ecco gli effetti di lente gravitazionale in assenza di oggetti lungo la linea di vista dell’osservatore, in presenza di un buco nero e, infine, in presenza di un solitone topologico. Crediti: Pierre Heidmann/Johns Hopkins University

“Corre come una lucertola, si arrampica come una lucertola, si comporta come una lucertola. Chi è? È la lucertola!”, diceva l’ineffabile Vulvia di Rieducational Channel. Ebbene, qualcosa di simile potremmo dire dell’oggetto matematico emerso da una serie di simulazioni condotte da tre scienziati della Johns Hopkins University e descritte in un articolo pubblicato questa settimana su Physical Review D: piega la luce come un buco nero, deforma lo spazio-tempo come un buco nero, sembra identico a un buco nero. Chi è? In questo caso, però, la risposta è un po’ più complicata: è un solitone topologico.

Ciò che le simulazioni mostrano è un oggetto che da lontano sembra la foto un po’ sfocata di un buco nero. Da vicino però, a ben guardare, questa strana creatura – discesa direttamente dalla teoria delle stringhe – si rivela di natura assai differente. In particolare, non ha un orizzonte degli eventi oltre il quale nemmeno la luce può uscire: dunque la luce non sparisce del tutto, diventa solo molto sbiadita nei pressi del centro dell’oggetto. «Siamo rimasti assai sorpresi», dice a questo proposito il primo autore dello studio, il fisico Pierre Heidmann. «L’oggetto sembra identico a un buco nero, ma dalla sua regione oscura esce della luce». Insomma, non si comporta come un buco nero.

Emanuele Berti, fisico teorico e coautore dello studio pubblicato su Physical Review D, ha conseguito il dottorato alla Sapienza nel 2002 e oggi è professore alla Johns Hopkins University

Per sgomberare il campo da possibili equivoci, visto che si è accennato al fatto che emette luce, va subito detto che non stiamo parlando di buchi bianchi. «I solitoni topologici e i buchi bianchi sono cose diverse», spiega infatti a Media Inaf uno dei coautori dello studio, il fisico teorico della Johns Hopkins University Emanuele Berti. «I white holes – o “buchi bianchi” – sono un completamento matematico dello spazio-tempo che descrive un buco nero nel vuoto nella relatività generale (tecnicamente, “un’estensione del manifold”). Nella relatività generale, apparentemente lo spazio-tempo ha una singolarità all’orizzonte, ma questa singolarità non è reale, c’è solo perché si usano cattive coordinate – la singolarità vera è solo al centro del buco nero, dove la curvatura dello spazio-tempo è infinita. In coordinate “migliori” si può vedere che la soluzione delle equazioni della relatività generale ammette una “copia” del buco nero che è identica all’originale… a parte il fatto che il tempo scorre al contrario: tutto ne esce e niente può entrarvi. I “buchi bianchi” non hanno – fino a prova contraria – nulla a che fare con quello che succede nel nostro universo. Si può pensare che debbano esistere perché le equazioni di Einstein, come anche il secondo principio della dinamica (F=ma), sono invarianti per inversione temporale: quindi se esiste un buco nero in cui tutto entra, deve esistere anche una soluzione che corrisponde al suo “inverso temporale”, da cui tutto esce».

«Nel caso dei solitoni topologici», continua Berti, «l’idea è diversa. Non si parte dalla teoria di Einstein, ma da teorie delle stringhe in più dimensioni. Ciò è interessante perché permette di risolvere il problema della singolarità vera che esiste al centro di un buco nero. Nelle soluzioni del nostro articolo, la singolarità centrale viene sostituita da una soluzione con topologia speciale: non c’è alcuna singolarità fisica, e il punto a curvatura infinita al centro del buco nero viene sostituito da una “bolla” che si estende nelle dimensioni extra (invisibili)».

Nelle soluzioni trovate dai tre fisici della Johns Hopkins University la singolarità del buco nero viene sostituita da una soluzione con topologia speciale: non c’è più alcuna singolarità fisica, ma il punto a curvatura infinita al centro del buco nero viene sostituito da una “bolla” che si estende nelle dimensioni extra (invisibili). Una “bolla topologica” senza carica, che può essere considerata come la superficie del solitone. Crediti: Pierre Heidmann et al., Physical Review D, 2023

Va detto che, fra i tanti modelli messi a punto dai fisici teorici per capire cos’altro – oltre a un buco nero vero e proprio – potrebbe manifestarsi come un buco nero, i solitoni topologici risultano in buona compagnia: ci sono le stelle di bosoni, per esempio, ci sono le gravastar, e ci sono altri oggetti ipotetici che, con forme esotiche di materia, potrebbero esercitare effetti gravitazionali simili a quelli di un buco nero. I solitoni topologici proposti dallo studio ora pubblicato su Physical Review D, sostengono i tre autori, derivando dalla teoria delle stringhe avrebbero il non trascurabile vantaggio di riconciliare la meccanica quantistica con la teoria della gravità di Einstein.

Certo, almeno per ora è tutto confinato alla pura teoria: i solitoni topologici sono oggetti matematici, non oggetti astrofisici. «Nell’articolo non facciamo alcun riferimento al fatto che queste soluzioni esistano davvero in astrofisica, questo è importante», sottolinea Berti. «Il fatto che queste soluzioni si possono trovare non vuole dire che esistano in natura».

«Però le soluzioni sono teoricamente interessanti perché, almeno in linea di principio, il lavoro dei miei colleghi, Ibou Bah e Pierre Heidmann, ha dimostrato che alcune di queste “bolle” possono essere costruite nelle teorie di stringa e non hanno carica. Tutte le soluzioni precedenti erano cariche, ma ci aspettiamo che i buchi neri astrofisici non abbiano carica. Quindi ora siamo più vicini a costruire cose che “somigliano” a un buco nero astrofisico e sono motivate dalla teoria delle stringhe», conclude Berti. «E con l’Event Horizon Telescope, o con gli interferometri per onde gravitazionali Ligo/Virgo, possiamo verificare – entro una certa precisione – se stiamo osservando un buco nero o qualcosa di diverso».

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