Infiniti mondi magari no, ma qualcuno in più da aggiungere alla già cospicua lista di pianeti extrasolari conosciuti – siamo a oltre cinquemila – potrebbe saltar fuori. È ciò che si augura un team di astronomi dell’Istituto Leibniz per l’astrofisica di Potsdam (Aip), in Germania, e della Specola Vaticana. Sono gli autori di uno studio, pubblicato questa settimana su Astronomy & Astrophysics, che raccoglie i risultati di cinque anni d’osservazioni di oltre mille stelle che potrebbero ospitare pianeti. A renderlo degno di nota è il numero di parametri spettroscopici raccolti per ciascuna stella: ben 54, scrivono gli autori, che in media hanno dedicato a ogni sorgente un’ora e mezza di osservazione. Ed è proprio questo numero senza precedenti di parametri che potrebbe aiutare a trovare collegamenti – questa la speranza del team – tra le proprietà spettrali delle stelle e i loro eventuali pianeti.
Tutte le stelle prese in esame si trovano in una regione di cielo piuttosto circoscritta: il polo nord dell’eclittica, nella costellazione del Dragone. Si tratta di una delle zone più battute dal cacciatore di esopianeti Tess della Nasa, ed è proprio per caratterizzare alcuni degli obiettivi di Tess che gli autori dello studio si sono concentrati su quest’area di cielo, grande circa quattromila volte le dimensioni della Luna piena.
In questo caso, però, le osservazioni sono state condotte da terra: con lo Stellar Activity Observatory dell’Aip a Tenerife (Isole Canarie), e con il Vatican Advanced Technology Telescope (Vatt), un telescopio da 1.83 metri del Vaticano. Il Vatt sorge in cima a Mt. Graham, in Arizona, a pochi metri da Lbt, il Large Binocular Telescope. Ed è un telescopio di tutto rispetto: la sua configurazione ottica e la sua posizione invidiabile consentono infatti di ottenere immagini particolarmente nitide. Per questo studio, poi, il Vatt è stato usato in accoppiata con Pepsi, il Potsdam Echelle Polarimetric and Spectroscopic Instrument: uno strumento eccellente per ottenere spettri ad alta precisione di stelle nane.
Ma in che modo l’analisi spettrale della luce d’una stella può dare informazioni sui suoi eventuali pianeti? «Poiché le stelle e i loro pianeti si formano insieme, ci si è chiesti se la presenza di determinati elementi chimici in un’atmosfera stellare o le loro abbondanze isotopiche possano essere indicative di un sistema planetario», spiega il primo autore dello studio, Klaus G. Strassmeier, direttore dell’Aip. L’ipotesi degli astronomi è che le diverse quantità d’elementi chimici all’interno di una stella – dunque le informazioni ottenute da misure di spettroscopia quantitativa – potrebbero suggerire la presenza di pianeti terrestri (mondi rocciosi come la Terra o Marte), nonché fornire indizi sull’età di questi pianeti e persino sull’eventualità che la stella se ne sia “mangiato” qualcuno. Per arrivare a questi risultati occorreranno ulteriori osservazioni, ma già ora qualche cosa di interessante sta emergendo. «Gli spettri hanno rivelato elementi tra i più difficili da osservare», dice infatti l’italiana Martina Baratella, oggi ricercatrice postdoc all’Iap. In particolare, rapporti di abbondanza come quello del carbonio rispetto al ferro, o il magnesio rispetto all’ossigeno, suggeriscono l’esistenza e l’età di pianeti rocciosi altrimenti invisibili.
Per saperne di più:
- Leggi su Astronomy & Astrophysics l’articolo “VPNEP: Detailed characterization of TESS targets around the Northern Ecliptic Pole”, di K. G. Strassmeier, M. Weber, D. Gruner, I. Ilyin, M. Steffen, M. Baratella, S. Järvinen, T. Granzer, S. A. Barnes, T. A. Carroll, M. Mallonn, D. Sablowski, P. Gabor, D. Brown, C. Corbally e M. Franz