HARPS, GAIA E IL VLTI: TRE STRUMENTI PER TRE CORPI CELESTI

Restare pianeta pur bruciando deuterio

Già riuscire a vedere direttamente un esopianeta a 150 anni luce di distanza è un’impresa notevole. Ma arrivare addirittura a caratterizzarne l’atmosfera e a intuire che al suo interno sono in atto processi di fusione nucleare è un risultato che solo con strumenti eccezionali come lo spettrografo Gravity, abbinato al Very large Telescope in modalità interferometrica, è stato possibile ottenere

     12/01/2023

Veduta aerea dei quattro telescopi del Vlt dell’Eso, a Paranal, in Cile. Crediti: Eso

Il primo ad accorgersi che c’era qualcosa di anomalo, là attorno alla stella Hd 206893, a 125 anni luce da noi, è stato lo spettrografo Harps dell’Eso. Già si sapeva che le orbitava attorno una nana bruna, Hd 206893B, dove il maiuscolo della lettera ‘B’ sta proprio a sottolineare che – vista la considerevole massa, quasi trenta volte quella di Giove – non possiamo più parlare di pianeta. Ma i dati di Harps suggerivano la presenza di un terzo oggetto. Sospetto rafforzato – utilizzando anche in questo caso il metodo delle velocità radiali – da successive osservazioni compiute con il telescopio spaziale Gaia dell’Esa. Ora arriva la conferma definitiva: lì c’è anche un pianeta. Un gigante gassoso da a 12.7 masse gioviane il cui nome, a questo punto, non può essere altro che Hd 206893c.

A firmarla, questa conferma, è lo strumento Gravity, che grazie all’imaging diretto e alla tecnica interferometrica, sfruttando il segnale combinato acquisito dai quattro telescopi del Vlt dell’Eso, in Cile, consente di misurare la posizione orbitale d’un pianeta in modo estremamente preciso.

Il pianeta ‘c’ e la nana bruna ‘B’ nel grafico luminosità/massa. La regione evidenziata è quella in cui può avvenire la fusione del deuterio. Crediti: S. Hinkley et al., A&A, 2023

Sempre grazie a Gravity è stato anche possibile ottenere lo spettro della luce emessa dall’atmosfera del pianeta, permettendo così di caratterizzarne l’atmosfera. Non solo: analizzando i dati di Gravity gli astronomi del team guidato da Sasha Hinkley, dell’Università di Exeter (Regno Unito), si sono accorti che quel grosso pianetone “fa luce”.

Nulla di sorprendente, a dire il vero. La sua massa, attorno alle 13 masse gioviane, lo colloca proprio in quella zona di transizione in cui ancora si è un pianeta ma già si riesce a esercitare una pressione tale da avviare processi di fusione nucleare. Non dell’idrogeno, intendiamoci, altrimenti si sarebbe una stella a tutti gli effetti, ma del deuterio: un processo che richiede temperature e pressioni molto inferiori a quelle necessarie alla fusione di nuclei di idrogeno.

In blu l’orbita della nana bruna ‘B’, in rosso quella del pianeta ‘c’. Crediti: S. Hinkley et al., A&A, 2023

«La scoperta di Hd 206893c rappresenta un passo importante nello studio degli esopianeti, in quanto potrebbe trattarsi del primo rilevamento diretto di uno degli esopianeti di Gaia», osserva Hinkley. Sottolineando anche come il fatto che Hd 206893c orbiti a circa 500 milioni di km dalla sua stella, dunque a una distanza grosso modo a metà strada fra le orbite di Marte e di Giove rispetto al Sole, confermi le eccellenti potenzialità di strumenti come Gravity nell’individuare pianeti in sistemi con scale orbitali paragonabili a quelle del Sistema solare e nel caratterizzarne le atmosfere. «È una scoperta molto significativa, perché mostra che ora possiamo caratterizzare direttamente le atmosfere di questi esopianeti anche lì dove sappiamo, da studi precedenti, che risiedono più comunemente, lungo orbite da due a quattro volte la distanza Terra-Sole».

Per saperne di più:

  • Leggi il preprint dell’articolo in uscita su Astronomy & AstrophysicsDirect Discovery of the Inner Exoplanet in the HD206893 System”, di S. Hinkley, S. Lacour, G.-D. Marleau, A. M. Lagrange, J. J. Wang, J. Kammerer, A. Cumming, M. Nowak, L. Rodet, T. Stolker, W.-O. Balmer, S. Ray, M. Bonnefoy, P. Mollière, C. Lazzoni, G. Kennedy, C. Mordasini, R. Abuter, S. Aigrain, A. Amorim, R. Asensio-Torres, C. Babusiaux, M. Benisty, J.-P. Berger, H. Beust, S. Blunt, A. Boccaletti, A. Bohn, H. Bonnet, G. Bourdarot, W. Brandner, F. Cantalloube, P. Caselli, B. Charnay, G. Chauvin, A. Chomez, E. Choquet, V. Christiaens, Y. Clénet, V. Coudé du Foresto, A. Cridland, P. Delorme, R. Dembet, P. T. de Zeeuw, A. Drescher, G. Duvert, A. Eckart, F. Eisenhauer, H. Feuchtgruber, F. Galland, P. Garcia, R. Garcia Lopez, T. Gardner, E. Gendron, R. Genzel, S. Gillessen, J. H. Girard, A. Grandjean, X. Haubois, G. Heißel, Th. Henning, S. Hippler, M. Horrobin, M. Houllé, Z. Hubert, L. Jocou, M. Keppler, P. Kervella, L. Kreidberg, V. Lapeyrère, J.-B. Le Bouquin, P. Léna, D. Lutz, A.-L. Maire, F. Mang, A. Mérand, N. Meunier, J. D. Monnier, C. Mordasini, D. Mouillet, E. Nasedkin, T. Ott, G. P. P. L. Otten, C. Paladini, T. Paumard, K. Perraut, G. Perrin, F. Philipot, O. Pfuhl, N. Pourré, L. Pueyo, J. Rameau, E. Rickman, P. Rubini, Z. Rustamkulov, M. Samland, J. Shangguan, T. Shimizu, D. Sing, C. Straubmeier et al.