SI TRATTA DI UN METEOROIDE MOLTO PARTICOLARE, IL TERZO MAI OSSERVATO

Un pezzo di roccia dai confini del Sistema solare

L'osservazione di fireball provocati da piccoli meteoroidi rocciosi che si muovono su orbite cometarie a lungo periodo aiuta a capire come si è evoluto il Sistema solare, permettendo di scegliere fra diversi modelli evolutivi. Vi raccontiamo i retroscena dello studio di un piccolo pezzo di roccia caduto in atmosfera il 22 febbraio 2021, i cui dettagli sono riportati su Nature Astronomy

     14/12/2022

L’osservazione sistematica dei fireball, ossia delle meteore molto luminose generate dalla caduta in atmosfera di meteoroidi di dimensioni decimetriche, può gettare luce sulle prime fasi evolutive del Sistema solare.

Le osservazioni hanno permesso di stabilire che i meteoroidi di dimensioni decimetriche più coesi che riescono a penetrare più in profondità nell’atmosfera seguono prevalentemente orbite asteroidali a bassa inclinazione sull’eclittica, ossia provengono dalla fascia principale, la regione ricca di asteroidi compresa nella zona di spazio delimitata dalle orbite di Marte e Giove. Allo stesso modo, la maggior parte dei meteoroidi friabili che si disintegrano più in alto nell’atmosfera percorrono orbite tipicamente cometarie: comete della famiglia di Giove (Jfc), comete di tipo Halley (Htc) o comete di lungo periodo (Lpc).

Fin qui niente di strano: sappiamo che la densità media degli asteroidi è circa 2-3 volte superiore a quella dei nuclei cometari perché hanno una componente ghiacciata, quindi è ragionevole attendersi che i meteoroidi cometari abbiano una coesione minore rispetto a quelli asteroidali e che, di conseguenza, si disintegrino prima durante la fase di caduta in atmosfera. La frammentazione è dovuta all’onda d’urto atmosferica che comprime il meteoroide, disgregandolo. Tuttavia, la distinzione fra meteoroidi coesi rocciosi del Sistema solare interno e meteoroidi fragili ghiacciati provenienti dai confini del Sistema solare non è così netta come si potrebbe pensare.

Un primo indizio sull’esistenza di materiale asteroidale anche oltre l’orbita di Nettuno è stata la scoperta dell’asteroide 1996 PW il 22 luglio 1996. Nonostante la sua orbita altamente eccentrica, che lo porta da 2,5 a 549 unità astronomiche dal Sole impiegando circa 4577 anni, questo corpo non ha mostrato alcuna attività di tipo cometario come invece, data l’orbita, ci si poteva aspettare. L’asteroide ha uno spettro di tipo D e potrebbe essere sia un normale asteroide, sia un nucleo cometario estinto.

Il secondo indizio sulla presenza di materiale asteroidale trans-nettuniano è costituito da un meteoroide roccioso di dimensione decimetrica che si muoveva su un’orbita di tipo Halley: si tratta del fireball di Karlstejn, osservato nel 1997 dalla Repubblica Ceca. Il meteoroide che ha generato questo fireball è entrato nell’atmosfera a 65 chilometri al secondo ed è arrivato a un’altezza finale di 65 chilometri: circa 25 chilometri più in basso rispetto a oggetti cometari con velocità e massa simili. Questa capacità di penetrazione indica un’elevata coesione del meteoroide, compatibile con una composizione rocciosa.

Il terzo indizio è costituito da un fireball molto più recente, generato da un meteoroide con massa stimata di circa 2 chilogrammi entrato nell’atmosfera 100 chilometri a nord di Edmonton, Alberta, Canada, il 22 febbraio 2021 alle 13:23:17 Utc. Su questo meteoroide è stato appena pubblicato un articolo su Nature Astronomy con primi firmatari Denis Vida e Peter Brown, del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università del West Ontario. Il fireball è stato ripreso da due camere del Global Fireball Observatory oltre che da alcune webcam di sorveglianza e da un paio di satelliti della serie Goes (Geostationary Operational Environment Satellites).

Anche in questo caso l’orbita, ricostruita dalle osservazioni, è tipicamente cometaria e ci dice che il meteoroide si muoveva fra 0,61 e 207 unità astronomiche dal Sole, con un periodo di circa 1000 anni.  Tuttavia, invece di frammentarsi ad alta quota questo meteoroide è penetrato in profondità, sopportando una pressione dinamica simile a quella delle normali condriti di origine asteroidale.

Il meteoroide è entrato nell’atmosfera con una velocità di 62,1 chilometri al secondo ed è arrivato a un’altezza di 46,5 chilometri, circa 20 chilometri più in profondità rispetto all’evento di Karlstejn che aveva una velocità simile, ma una massa circa 70 volte inferiore.

A dimostrazione di quanto sia improbabile che il fireball di Alberta sia stato generato da un fragile meteoroide cometario, i ricercatori hanno costruito un modello di fireball non frammentato utilizzando proprietà fisiche tipiche dei meteoroidi cometari, una massa pre-atmosferica di 20 chili e mantenendo gli stessi parametri della traiettoria. Nel modello, l’ipotetico meteoroide cometario è riuscito a penetrare solo fino a un’altezza di circa 60 chilometri, nettamente superiore ai 46,5 chilometri osservati e non è stata trovata alcuna combinazione dei parametri del modello cometario che potesse adattarsi alle osservazioni.

Oltre ai fireball di Karlstejn e Alberta, i ricercatori hanno trovato un altro bolide con caratteristiche simili (orbita cometaria, ma meteoroide roccioso), osservato dalla rete di camere del progetto Morp (Meteorite Observation and Recovery Project), costituito da sessanta telecamere che ha operato nel Canada occidentale dal 1971 al 1985.

Questi tre fireball “anomali” sono una prova dell’esistenza di oggetti rocciosi di dimensioni macroscopiche provenienti dai confini del Sistema solare e hanno permesso ai ricercatori di stimare il rapporto oggetti ghiacciati/rocciosi nella nube di Oort: il risultato, per masse maggiori di 10 grammi, è compreso tra 130:1 e 5:1. Questo rapporto indica la necessità di un meccanismo di espulsione di materiale dall’interno del Sistema solare primordiale su orbite quasi iperboliche e mette in discussione i modelli di formazione del Sistema solare basati solo sull’accrescimento di ciottoli da cui si sarebbero formati i planetesimi.

Questi modelli attualmente non possono spiegare l’elevata abbondanza osservata di materiale roccioso nella nube di Oort, visto che prevedono un rapporto fra le due componenti di almeno 10.000:1, troppo alto rispetto a quello stimato dalle osservazioni. Al contrario, sono favoriti i modelli di evoluzione che prevedono una migrazione dei pianeti giganti: Giove, Saturno, Urano e Nettuno. A seguito di questa migrazione è ragionevole aspettarsi un drastico impoverimento di circa il 70 per cento della massa della fascia principale primordiale, fino a ottenere la massa che vediamo oggi. La massa asteroidale mancante, lanciata verso i confini del Sistema solare, si è andata a mescolare con la componente ghiacciata, che resta predominante, ma non così tanto come nei modelli senza migrazione planetaria. Tutto questo dall’osservazione dei fireball che solcano i cieli terrestri.

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Direct measurement of decimetre-sized rocky material in the Oort cloud” di Denis Vida, Peter G. Brown, Hadrien A. R. Devillepoix, Paul Wiegert, Danielle E. Moser, Pavol Matlovič, Christopher D. K. Herd, Patrick J. A. Hill, Eleanor K. Sansom, Martin C. Towner, Juraj Tóth, William J. Cooke & Donald W. Hladiuk