CON GLI ISOTOPI AGGREGATI

All’origine delle molecole organiche

Un team di ricercatori guidati dal Tokyo Institute of Technology ha messo a punto un nuovo metodo che permette di distinguere, in maniera semplice, le molecole organiche sintetizzate tramite processi biologici da quelle prodotte attraverso processi non biologici. Descritto in un articolo pubblicato il mese scorso su Nature Communications, l’approccio potrebbe aiutare gli scienziati nella ricerca di vita extraterrestre

     26/10/2022

Una delle principali tracce lasciate dalla vita è costituita dalle molecole organiche. Si tratta di composti contenenti atomi di carbonio legati tra di loro e con altri elementi come l’idrogeno, l’azoto, l’ossigeno, il fosforo, lo zolfo e il silicio.

Imbattersi in queste molecole nell’atmosfera di un corpo celeste, tuttavia, non significa avere trovato indicazioni dell’esistenza di forme di vita aliene. Il motivo è semplice: sebbene tutta la vita sia basata sui composti organici, non è vero il contrario, cioè non tutti i composti organici sono alla base della vita. Le molecole organiche, infatti, non vengono prodotte solo da processi biologici, ma anche da processi abiotici: non legati cioè a nessuna attività biologica, come ad esempio l’attività vulcanica, attività idrotermale, eccetera.

Infografica sul nuovo approccio metodologico messo a punto dai ricercatori per distinguere l’origine biologica o non biologica delle molecole organiche. Crediti: Taguchi et al. – Nature Comminications, 2022

Quando si trovano tracce di queste molecole su qualche pianeta extraterrestre, dunque, prima di gridare Eureka bisogna essere certi della loro origine biologica. A oggi, però, nonostante i numerosi sforzi di ricerca, la distinzione inequivocabile tra la natura biologica e non biologica rimane assai difficile.

Un team di ricercatori guidati dal Tokyo Institute of Technology ha ora sviluppato un nuovo metodo che consentirebbe, in maniera semplice, di riconoscere nelle molecole organiche – e in particolare negli idrocarburi – la firma biologica. Il nuovo approccio, descritto in un articolo pubblicato il mese scorso su Nature Comminications, sfrutta la tecnica “degli isotopi aggregati” (clumped-isotope), che consente di determinare in un campione l’abbondanza relativa di isotopi del carbonio – forme diverse dello stesso elemento, con un numero uguale di protoni ma differente di neutroni – legati tra loro nella molecola.

Gli idrocarburi – molecole contenenti esclusivamente atomi di carbonio e idrogeno – sono tra i composti organici più comuni prodotti tramite processi biologici. Queste molecole sono state rilevate su Marte, Encelado e su alcuni meteoriti. Per distinguere gli idrocarburi sintetizzati tramite processi biologici da quelli prodotti attraverso processi non biologici, gli addetti ai lavori utilizzano tradizionalmente una tecnica analitica che va sotto il nome di analisi isotopica composto-specifica – Compound-Specific Isotope Analysis (Csia), in inglese – che consente di determinare il rapporto fra gli isotopi del carbonio nelle molecole. Molti elementi chimici che compongono le molecole si presentano infatti come una “miscela” di isotopi diversi, il cui rapporto – cioè la quantità di una forma rispetto a un’altra – può variare in un campione a seconda dell’origine della molecola. Il rapporto isotopico rappresenta dunque una sorta di “impronta digitale”, la cui misura permette di ottenere informazioni fondamentali sulla molecola, come ad esempio la sua origine.

Nel caso del carbonio, l’elemento chimico possiede quindici isotopi conosciuti, di cui solo tre possono essere trovati in natura: C-12, C-13 e C-14. Rilevare in un campione di molecole di idrocarburi le abbondanze isotopiche del carbonio tramite l’analisi isotopica composto-specifica non è tuttavia semplice. È per questo che il gruppo di ricerca guidato dal professor Yuichiro Ueno, del Tokyo Institute of Technology, ha sviluppato la nuova metodologia.

L’approccio si basa sempre sulla determinazione delle abbondanze isotopiche degli atomi nelle molecole. Cambiano però la tecnica utilizzata – delle molecole non si misurano i rapporti tra due isotopi di un atomo ma tra coppie di isotopi legati tra loro (da cui il nome “degli isotopi aggregati”) – e il procedimento, che a detta degli stessi ricercatori offre diversi vantaggi.

«Sebbene per distinguere l’origine biologica da quella non biologica di un idrocarburo siano disponibili diversi metodi, come l’analisi isotopica composto-specifica, questi richiedono un intero set di molecole, che non sempre sono disponibili per il campionamento», spiega a questo proposito il professor Ueno. «Al contrario, il nostro metodo ci consente di risalire  alla sua origine utilizzando le informazioni contenute nella molecola stessa».

Vediamo dunque nel dettaglio la nuova metodologia, applicata in questo caso a un campione di molecole di etano (C2H6), un idrocarburo costituito da due atomi di carbonio e sei atomi di idrogeno. Partendo da un campione di origine naturale, per prima cosa i ricercatori hanno determinato l’abbondanza relativa di molecole con entrambi gli atomi di carbonio-12 (C-12/C-12), con un atomo di carbonio-12 e uno di carbonio-13 (C-12/C-13) e con entrambi gli atomi di carbonio-13 (C-13/C-13). Successivamente, hanno confrontato le abbondanze ottenute, e sulla base di ciò hanno calcolato il rapporto della coppia isotopica C-13/C-13 nel campione. Infine, hanno comparato il valore di questa abbondanza con quella in un campione di molecole di etano sintetizzate in laboratorio.

I risultati ottenuti hanno mostrano che, rispetto a quello di sintesi, l’etano di origine naturale aveva un’abbondanza della coppia di isotopi C-13/C-13 significativamente maggiore.

Ma non è finita qui. L’etano naturale può avere due diverse origini biologiche: una termogenica e una biogenica. Nel primo caso, il gas si origina in seguito alla scomposizione termica della materia organica inglobata nelle rocce. Nel secondo caso, dalla decomposizione della materia organica mediata dai micro-organismi. L’analisi condotta dai ricercatori ha evidenziato che l’etano prodotto dall’attività microbica aveva un’abbondanza della coppia di isotopi C-13/C-13 molto maggiore rispetto all’etano termogenico.

«Questo nuovo approccio», conclude Ueno, «può aiutarci a identificare l’origine delle molecole organiche, sia sulla terra che negli ambienti extraterrestri, distinguendo tra idrocarburi termogenici, abiotici e prodotti dall’attività microbica. Sebbene sia necessario lavorare ancora per un’ulteriore calibrazione del metodo, riteniamo che possa potenzialmente aiutare a rivelare le firme della vita altrove nell’universo».

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature Communications l’articolo “Low 13C-13C abundances in abiotic ethane” di Koudai Taguchi, Alexis Gilbert, Barbara Sherwood Lollar, Thomas Giunta, Christopher J. Boreham, Qi Liu, Juske Horita e Yuichiro Ueno