BLC1 NON ARRIVAVA DA PROXIMA CENTAURI: È DOVUTO A UN’INTERFERENZA

Pensavo fosse alieno… invece era terrestre

Il primo, vero, candidato segnale extraterrestre del Breakthrough Listen è caduto a un'analisi più approfondita: è improbabile che Blc1 provenga davvero da Proxima Centauri. Sembra piuttosto un’interferenza della tecnologia umana, anche se gli scienziati non ne hanno compreso appieno l’origine. I risultati in due articoli pubblicati oggi su Nature Astronomy, nei quali è presentata una nuova checklist che aiuterà a riconoscere meglio i “falsi positivi”

     25/10/2021

Rappresentazione artistica della superficie del pianeta Proxima b in orbita attorno alla nana rossa Proxima Centauri, la stella più vicina al Sistema solare. In alto a destra rispetto a quest’ultima, s’intravede anche la stella doppia Alpha Centauri AB. Crediti: ESO/M. Kornmesser

Il primo segnale “alieno” che ha fatto rizzare le antenne ai ricercatori del programma Breakthrough Listen è un falso positivo: nessuna civiltà extraterrestre tecnologica ha dato segno di abitare nella nostra vicina di casa Proxima Centauri – almeno per ora. La conferma, dopo più di due anni dalle prime rilevazioni del segnale, è scritta in due articoli pubblicati su Nature Astronomy.

A 47 anni dall’inizio del programma Seti e a circa sei anni dall’inizio del programma Breakthrough Initiative – di cui Listen fa parte – la celebre domanda di Fermi “dove sono tutti quanti (gli alieni, ndr)” ancora non trova risposta. Questa volta, però, la speranza di poterlo togliere quel punto interrogativo, era più accesa che mai e qualcuno si era davvero lasciato lusingare. Vediamo com’è andata.

Dal 29 aprile al 04 maggio 2019 il telescopio australiano Parkes ‘Murriyang’ (parola che nella lingua del locale popolo aborigeno Wiradjuri significa “il mondo del cielo, là dove vive lo spirito Biyaami”) ha puntato, per un totale di 26 ore e 9 minuti, nella direzione di Proxima Centauri, una stella nana di tipo M a circa 4 anni luce dal Sole. Nonostante sia la più vicina, però, sono poche le ricerche Seti che si sono concentrate su questa stella – e nessuna di queste ha cercato segnali a lunghezze d’onda ottiche, come invece intende fare l’iniziativa Breakthrough. Secondo gli scienziati, comunque, questo non è l’unico valido motivo per cominciare proprio dalla lei, le ricerche di forme di vita intelligenti e tecnologiche. Attorno a Proxima Centauri infatti orbita un pianeta, Proxima b, a una distanza molto inferiore rispetto a quella della Terra dal Sole, ma che lo colloca comunque nella zona abitabile. Questa vicinanza però sembra mettere in dubbio la possibilità di mantenere un’atmosfera gassosa, condizione importante per lo sviluppo di forme di vita come le conosciamo. Il sistema nel suo complesso, comunque, è stato dichiarato un ottimo target per il programma Starshot proposto da Stephen Hawking nel 2016, che prevede di lanciare una navicella con tecnologia innovativa in grado di farle raggiungere velocità prossime a quelle della luce (0.2 volte la velocità della luce, per la precisione, ovvero 60mila chilometri al secondo) allo scopo di dare un’occhiata alla stella e al suo pianeta da vicino. Secondo i piani, l’andata durerebbe vent’anni circa, un tempo tutto sommato ragionevole per trasmettere informazioni rilevanti.

Rappresentazione artistica del pianeta Proxima Centauri b durante un periodo di intensa attività. Crediti: Nasa/Esa/G. Bacon (Stsci)

Ci sono un paio di cosette, tuttavia, che potrebbero rendere Proxima Centauri una stella poco gradevole e affidabile. Innanzitutto, un superflare visibile ad occhio nudo abbastanza forte da seccare qualsiasi forma di vita presente sul lato esposto, anche se qualche organismo potrebbe ancora esistere sul lato freddo del pianeta, che non si espone mai alla luce del suo sole. In secondo luogo, sono state osservate numerose espulsioni coronali di massa, che investirebbero continuamente Proxima b con una radiazione ionizzante. Ciononostante, stelle nane di tipo M come la nostra vicina rimangono candidati molto validi a ospitare pianeti portatori di vita, e Proxima b rimane un obiettivo convincente per la ricerca di marcatori biologici e tecnologici.

Veniamo ora alla rilevazione, e al perché aveva senso crederci almeno un pochino. La ricerca di dati extraterrestri attraverso l’osservazione di segnali radio è impegnativa perché la Terra è inondata da segnali simili provenienti dalla tecnologia umana: telefoni cellulari, radar, satelliti, trasmettitori Tv, e così via. Cercare un debole segnale da una stella lontana è come cercare un ago in un vasto pagliaio digitale, che cambia costantemente nel tempo. Il team Listen ha utilizzato uno dei più grandi telescopi dell’emisfero meridionale, il telescopio Parkes in Australia, appunto, per scansionare il bersaglio su una gamma di frequenze da 700 MHz a 4 GHz, con una risoluzione di 3,81 Hz. È come se gli scienziati avessero cercato di sintonizzarsi su oltre 800 milioni di canali radio alla volta, con un’elevata sensibilità.

Analizzando i risultati attraverso la pipeline di ricerca di Breakthrough Listen, sono risultate più di 4 milioni di rilevazioni, la stragrande maggioranza delle quali dovute all’attività dell’uomo. La procedura automatica, a questo punto, filtra i segnali che sembrano non provenire da un trasmettitore a grande distanza dalla Terra, secondo due principali criteri: innanzitutto, se provenisse dallo spazio il segnale dovrebbe cambiare costantemente frequenza nel tempo. Si tratta dell’effetto Doppler, dovuto al fatto che il pianeta è in movimento rispetto al telescopio. Selezionando solo i segnali che presentavano questa caratteristica i ricercatori sono riusciti a ridurre a un quarto i candidati.

Inoltre, e questo sembrerà forse scontato, le rilevazioni dovrebbero provenire dalla direzione del bersaglio. Per verificarlo, il telescopio esegue una serie di osservazioni in direzione di Proxima Centauri (puntamenti “on”) alternandole a osservazioni in altre direzioni (puntamenti “off”), in una sorta di gioco ad accendere e spegnere l’interruttore. Le fonti di interferenza locali dovrebbero comparire in entrambe i puntamenti “on” e “off”, mentre un segnale proveniente da una tecnologia extraterrestre dovrebbe comparire solo nei dati “on”.

Il segnale rilevato il 29 aprile 2019, chiamato Blc1 (Breakthrough Listen Candidate 1) superava, e bene, qualunque selezione: si trattava di un segnale a banda stretta (e dunque non attribuibile ad alcuna sorgente astronomica ma di natura palesemente tecnologica), con deriva Doppler, persistente per cinque ore di osservazioni, e presente solo nelle osservazioni in modalità “on” verso Proxima Centauri. Soprattutto quest’ultimo punto, scrivono gli autori nell’articolo, ha lasciato ben sperare.

Il radiotelescopio di Parkes, da oggi “Murriyang” in lingua Wiradjuri. Crediti: D. McClenaghan/Csiro

Sofia Sheikh, ricercatrice post-dottorato con il team Listen alla Uc Berkeley e prima autrice di uno dei due articoli, ha però ritrovato segnali simili scavando fra osservazioni d’archivio prese in altri momenti. Ne ha individuati circa 60 segnali che condividono molte caratteristiche con il candidato, ma sono anche visti nelle rispettive osservazioni “off”.

«Possiamo quindi affermare con certezza – afferma Sheikh – che questi altri segnali sono locali e generati dall’uomo. I segnali sono distanziati a intervalli regolari di frequenza nei dati, e questi intervalli sembrano corrispondere a multipli delle frequenze utilizzate dagli oscillatori che sono comunemente usati in vari dispositivi elettronici. Queste prove suggeriscono che anche il segnale in questione è un’interferenza dalla tecnologia umana, anche se non siamo stati in grado di identificare la sua fonte specifica. Il segnale originale trovato da Shane Smith non è ovviamente rilevato quando il telescopio è puntato lontano da Proxima Centauri – ma dato un pagliaio di milioni di segnali, la spiegazione più probabile è ancora che si tratti di una trasmissione dalla tecnologia umana alla quale capita di essere “strana” nel modo giusto per ingannare i nostri filtri».

Al di là della (probabile) delusione dei ricercatori, qualcosa di buono da questa faccenda è sicuramente nato: si tratta di una sorta di manuale delle buone pratiche per le ricerche Seti, riassunto in dieci punti esplicitati alla fine dell’articolo di Sheikh e adatto al tipo di osservazioni intraprese dal telescopio Parkes, ma facilmente adattabile anche ad altri strumenti. Fra le buone pratiche, non manca certamente quella di osservare più e più volte il candidato di interesse nella speranza che, se c’è qualcuno dall’altra parte, la sua tecnologia somigli davvero alla nostra.

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