TEORIZZATO CIRCA 40 ANNI FA

Osservato un nuovo tipo di supernova

Si chiama supernova a cattura elettronica, ed è stata vista esplodere nel 2018 in una galassia situata a 31 milioni di anni luce dalla Terra. La scoperta getta anche nuova luce sul mistero millenario della supernova del 1054 d.C., che risultò visibile in pieno giorno per 23 giorni consecutivi – prima di diventare la nota Nebulosa del Granchio. I dettagli su Nature Astronomy

     28/06/2021

Il modo in cui una stella termina la propria vita dipende dalla sua massa. Semplificando un po’ la questione, si potrebbe dire che più una stella è massiccia, più spettacolare è la sua uscita di scena. Sotto le 8 masse solari, una volta esaurito tutto il combustibile, essa diventerà una placida nana bianca. Sopra le dieci masse solari, invece, esploderà in una supernova: un’improvvisa e immensa eiezione di massa ed energia la renderà miliardi di volte più luminosa – in alcuni casi anche più della stessa galassia che la ospita – lasciando al centro una stella di neutroni o un buco nero. Si parla in questo caso di supernova di tipo II – o core collapse. Esistono anche le supernove di tipo I – o termonucleari – e si generano quando la nana bianca di cui sopra si trova in un sistema binario con una compagna, della quale risucchia gravitazionalmente una quantità sufficiente di massa da innescare il collasso gravitazionale e la conseguente esplosione.

La supernova 2018zd (indicata con un cerchio bianco alla periferia della galassia Ngc 2146) è il primo esempio di un nuovo, terzo tipo di supernova previsto 40 anni fa. Immagine composita con i dati del telescopio spaziale Hubble, e dell’osservatorio di Las Cumbres. Crediti: Joseph Depasquale, Stsci

A metà fra i due destini delineati sopra c’è spazio per un terzo tipo di supernova, quella che gli astronomi chiamano supernova a cattura elettronica: a lungo teorizzata e mai certamente avvistata. Fino ad oggi. È appena stato pubblicato infatti su Nature Astronomy un articolo che sostiene che una supernova esplosa nel 2018 a soli 31 milioni anni luce dalla Terra abbia proprio questa origine.

La teoria sull’esistenza di questa terza classe è stata formulata circa 40 anni fa da Ken’ichi Nomoto, professore dell’università di Tokyo e coautore dello studio. I progenitori di questa categoria “né carne né pesce” sarebbero stelle di massa ben definita, fra le otto e le dieci masse solari, situate – nel diagramma Hr – nel ramo super-asintotico delle giganti (Sagb), in cui la fusione del carbonio produce un nucleo degenere di magnesio, neon e ossigeno. Il loro destino non è scritto con certezza, ma se si verificano le giuste condizioni di densità, i protoni degli atomi di magnesio e neon cominciano a catturare alcuni degli elettroni che sostengono la pressione e impediscono il collasso gravitazionale, per formare un neutrone liberando un neutrino. La cattura elettronica riduce la pressione e rende il collasso inevitabile, innescando infine l’esplosione di una supernova. Se la stella fosse leggermente più pesante, gli atomi del nucleo potrebbero fondersi per creare elementi più pesanti, prolungandone la vita. Essa invece non è abbastanza leggera da sfuggire al collasso del suo nucleo, né abbastanza pesante da prolungare la sua vita.

Decenni di lavoro sulle simulazioni hanno consentito di studiare accuratamente come riconoscere osservativamente una supernova a cattura elettronica e i suoi progenitori. Le stelle Sagb dovrebbero perdere molta massa prima di esplodere, che rimarrebbe nei paraggi e avrebbe una composizione chimica riconoscibile. Per via di questa perdita di massa, la supernova risulterebbe più debole rispetto alle altre tipologie, avere una limitata ricaduta radioattiva visibile nella curva di luce (dopo la fase di plateau) e infine presentare elementi ricchi di neutroni nel nucleo.

La supernova in questione, Sn 2018zd, osservata inizialmente con i telescopi dell’osservatorio di Las Cumbres, aveva molte caratteristiche insolite alcune delle quali mai osservate prima in altre supernove. La sua vicinanza e la sua posizione nella galassia Ngc 2146 hanno consentito ai ricercatori di esaminare immagini d’archivio scattate prima dell’esplosione dall’Hubble Space Telescope e di rilevare la probabile progenitrice che l’ha generata: una stella del tutto simile a una stella Sagb identificata di recente nella Via Lattea. Sn 2018zd, inoltre, presentava tutti e sei gli indicatori previsti per le supernove a cattura di elettroni: un progenitore Sagb, una forte perdita di massa pre-supernova, una composizione chimica stellare insolita, un’esplosione debole, poca radioattività e un nucleo ricco di neutroni.

Rappresentazione artistica di una stella Sagb(sinistra) e del suo nucleo (destra) composto da ossigeno (O), neon (Ne) e magnesio (Mg). Una stella Sagb è lo stadio finale delle stelle con una massa di circa 8-10 masse solari, il cui nucleo è sostenuto dalla pressione degli elettroni (e-). Quando il nucleo diventa abbastanza denso, il neon e il magnesio iniziano a catturare elettroni, riducendo la pressione del nucleo e inducendo un’esplosione di supernova da collasso del nucleo. Crediti: S. Wilkinson; Las Cumbres Observatory

Concludiamo facendo un salto indietro nel tempo, nel 1054 d.C. In quell’anno esplose una supernova nella Via Lattea, talmente luminosa – secondo gli scritti di astronomi cinesi e giapponesi – che risultò visibile di giorno per 23 giorni consecutivi, e di notte per quasi due anni. I suoi resti sono conosciuti oggi come Nebulosa del Granchio. Finora, era lei il miglior candidato – seppur incerto – di supernova a cattura elettronica. Con i risultati pubblicati nel nuovo studio, l’ipotesi che essa appartenga alla stessa classe si rafforza. Si spiega, ad esempio, come mai quella supernova presentasse un eccesso di luminosità rispetto ai modelli: come avvenuto anche in Sn 2018zd, la massa espulsa dalla supernova si è probabilmente scontrata con il materiale lasciato dalla stella progenitrice.

«Questa supernova ci sta aiutando a decodificare testimonianze millenarie lasciati da civiltà di tutto il mondo. E ci sta aiutando ad associare un fenomeno che non comprendiamo appieno, la Nebulosa del Granchio, con un altro di cui abbiamo un’incredibile documentazione, questa supernova appunto», conclude Andrew Howell, ricercatore dell’Osservatorio di Las Cumbres, docente dell’università della California a Santa Barbara e coautore dello studio. «Non solo. Ci sta anche insegnando la fisica fondamentale dietro al processo: come si formano alcune stelle di neutroni, come vivono e muoiono le stelle estreme, e come gli elementi di cui siamo fatti vengono creati e sparsi nell’universo».

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature Astronomy l’articolo “The electron-capture origin of supernova 2018zd”, di Daichi Hiramatsu, D. Andrew Howell, Schuyler D. Van Dyk, Jared A. Goldberg, Keiichi Maeda, Takashi J. Moriya, Nozomu Tominaga, Ken’ichi Nomoto, Griffin Hosseinzadeh, Iair Arcavi, Curtis McCully, Jamison Burke, K. Azalee Bostroem, Stefano Valenti, Yize Dong, Peter J. Brown, Jennifer E. Andrews, Christopher Bilinski, G. Grant Williams, Paul S. Smith, Nathan Smith, David J. Sand, Gagandeep S. Anand, Chengyuan Xu, Alexei V. Filippenko, Melina C. Bersten, Gastón Folatelli, Patrick L. Kelly, Toshihide Noguchi e Koichi Itagaki