CON UN COMMENTO DI ROBERTO OROSEI (INAF)

La vita su Marte va cercata in profondità

Per avere qualche speranza di trovare sul Pianeta rosso tracce di vita occorre andare a guardare sotto la superficie. È quanto afferma un nuovo studio di astrobiologia che ha riscontrato una promettente somiglianza fra la composizione delle rocce della crosta marziana e quelle che, nelle profondità della superficie terrestre, danno origine alla vita microbica. Il meccanismo che permette di fare a meno della luce del Sole è quello della radiolisi

     23/04/2021

Panorama marziano fotografato dal rover della Nasa Perseverance. Crediti: Image Credit: Nasa/Jpl-Caltech/Asu

Vivere nell’ombra, vivere nascosti, vivere in luoghi quasi irraggiungibili e del tutto inospitali. Vivere separati. Non è la frontiera dell’eremitismo, né un esperimento sociale. È però un altro modo di intendere la vita, quello più consono ad alcuni organismi, qui sulla Terra. E, dice uno studio pubblicato oggi su Astrobiology, probabilmente anche su Marte.

«Se vogliamo pensare alla possibilità di vita attuale, è assolutamente il sottosuolo il luogo in cui si svolge l’azione», dice Jack Mustard, professore della Brown University e coautore dello studio.

Partiamo però dalla Terra. Negli ultimi decenni, gli scienziati hanno scoperto che le profondità della Terra sono la casa di un vasto bioma che esiste in gran parte separato dal mondo sopra. Mancando la luce del Sole, queste creature sopravvivono utilizzando i sottoprodotti delle reazioni chimiche prodotte quando le rocce entrano a contatto con l’acqua. Una di queste reazioni è la radiolisi, che si verifica quando gli elementi radioattivi all’interno delle rocce reagiscono con l’acqua intrappolata nello spazio dei pori e delle fratture. La reazione rompe le molecole d’acqua nei loro elementi costitutivi, idrogeno e ossigeno. L’idrogeno liberato si dissolve nuovamente nell’acqua che rimane, mentre alcuni minerali come la pirite – nota anche come l’oro degli stolti – assorbono l’ossigeno libero formando minerali solfati – una classe di minerali che contiene lo ione solfato all’interno. In questi ecosistemi, i microbi sopravvivono ingerendo l’idrogeno sciolto in acqua come combustibile e usando l’ossigeno conservato nei solfati per “bruciarlo”.

Un esempio perfetto, qui sulla Terra, è la miniera canadese di Kidd Creek, in cui questi microbi solfatoriduttori vivono a oltre 1600 metri sottoterra, in un’acqua che non vede la luce del Sole da più di un miliardo d’anni.

E ora Marte. La domanda a cui rispondere – per i ricercatori del progetto “Earth 4-D: Subsurface Science and Exploration” – era se gli ingredienti che danno vita ad habitat sostenuti dalla radiolisi potessero esistere su Marte. Tali ingredienti sono: elementi radioattivi come torio, uranio e potassio, oppure minerali a base di solfuri che possono essere convertiti in solfato, o ancora unità rocciose sufficientemente porose da riuscire a intrappolare l’acqua.

I dati in situ provengono dal rover Curiosity della Nasa, da altri veicoli spaziali orbitanti, accompagnati dagli studi circa la composizione di una serie di meteoriti marziane cadute sulla Terra e rappresentative di diverse parti della crosta del pianeta.

I risultati hanno mostrato che in diversi tipi di meteoriti marziane tutti gli ingredienti sono presenti in abbondanze adeguate per sostenere habitat estremi simili a quelli che troviamo sulla Terra. Particolarmente adeguate si sono rivelate le brecce di regolite – meteoriti provenienti da rocce della crosta vecchie di più di 3.6 miliardi di anni – definite dallo studio come quelle con il più alto potenziale per il supporto della vita.

Jesse Tarnas lavora nella miniera canadese di Kidd Creek, dove si è scoperto che l’acqua che non vede la luce da un miliardo di anni ospita una forma di vita divoratrice di rocce. Crediti: University of Toronto Stable Isotope Laboratory

Inoltre, a differenza della Terra, Marte non ha un sistema di tettonica a placche che ricicla costantemente le rocce crostali, e questi antichi terreni rimangono in gran parte indisturbati.

È questo uno dei principali motivi per cui gli autori sottolineano l’importanza di ricercare e la possibilità di trovare segni di vita attuale nel sottosuolo marziano. Non dimentichiamo però che l’elemento fondamentale è la presenza di acqua allo stato liquido. Alcuni studi hanno provato l’esistenza di un sistema di acque sotterranee attive su Marte in passato, ma c’è ragione di credere – dicono gli autori – che esse esistano anche oggi. Uno studio guidato dal ricercatore dell’Inaf Roberto Orosei nel 2018, ad esempio, sollevava la possibilità di un lago sotterraneo sotto una calotta di ghiaccio nelle regioni meridionali del pianeta.

Certo, rimarrebbe il problema di come esplorarlo direttamente, il sottosuolo marziano. Ma anche su questo punto, gli autori dello studio rassicurano: le sfide tecniche sono innegabili, ma non insormontabili – tanto che i recenti progressi nelle piccole sonde di perforazione potrebbero presto mettere le profondità marziane alla portata.

«Si tratta certamente di un lavoro molto interessante per le sue implicazioni nella ricerca della vita su Marte, dove, come sulla Terra, la temperatura del terreno aumenta con la profondità», commenta Orosei. «Scendendo abbastanza, quindi, si arriva a un punto in cui l’acqua nel terreno è liquida e la vita potrebbe essere possibile. Il problema, per chi volesse prelevare campioni del sottosuolo, è che la profondità a cui ciò avviene è, per quanto ne sappiamo, superiore al chilometro. Questo pone una sfida tecnologica difficile, ma la posta in gioco è così alta che spero che un giorno si possano trovare le risorse per affrontarla e vincerla».

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