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Nebbia persistente su Plutone

Osservazioni del pianeta nano condotte con il telescopio su aereo Sofia della Nasa, combinate con i dati di New Horizons, hanno mostrato che il sottile strato di vapore costituente l’atmosfera di Plutone è formato da particelle molto piccole che rimangono nell’atmosfera più a lungo del previsto, anziché collassare verso la superficie man mano che il corpo si allontana dal Sole

     15/05/2020

L’osservatorio Sofia, costruito nella fusoliera di un Boeing 747SP. Crediti: Nasa / Jim Ross

Con Plutone, bisogna andare dritti al punto.

Come la sonda New Horizons, talmente proiettata verso il piccolo mondo ghiacciato che, dopo esserci passata a fianco, ha dovuto continuare sulla rotta tangente, verso la fascia di Kuiper – troppo veloce per sostare un po’ a godersi il suo primo obiettivo.

Non hanno perso tempo nemmeno gli scienziati di Sofia, lo Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy, che con il loro osservatorio volante a bordo di un Boeing 747 sono andati alla ricerca della posizione perfetta per osservare l’allineamento di Plutone con una stella. L’evento, reso piuttosto raro dalla magnitudine particolarmente brillante della stella coinvolta – seconda solo a un altro evento registrato dallo stesso osservatorio – avrebbe messo in risalto l’atmosfera del pianeta nano, consentendone uno studio dettagliato.

Quello che gli scienziati a bordo di Sofia – dagli osservatori terrestri dell’Australia e della Nuova Zelanda – hanno scoperto è che l’atmosfera di Plutone è rimasta essenzialmente invariata fra il 2011 e il 2013, contrariamente a quel che ci si aspettava con il progressivo allontanamento dal Sole del pianeta nano. Un fenomeno legato, a quanto dicono gli scienziati, alla composizione chimica dell’atmosfera e alla sua interazione con la superficie del corpo.

Furono attimi piuttosto concitati quelli che precedettero l’osservazione, dato che quel 29 giugno 2015 – giorno dell’occultazione – un errore nella stima dell’astrometria dell’evento aveva portato la rotta del Boeing dell’osservatorio Sofia circa 320 chilometri più a Nord rispetto al punto di osservazione corretto. Dal canto suo, muovendosi a più di 85mila chilometri orari, “l’ombra di Plutone” – una piccola eclissi, ma di una stella diversa dal Sole–  sarebbe rimasta non più di due minuti sull’Oceano Pacifico, vicino alle coste della Nuova Zelanda.

Il tragitto seguito da Sofia durante l’occultazione. Crediti: Michael J.Person et al. Icarus, 2020

«Catturare quell’ombra ha richiesto un vero scatto. Sofia ha il vantaggio di essere mobile, ma il piano di volo corretto doveva superare anche il controllo del traffico aereo», ricorda William Reach, direttore delle operazioni scientifiche di Sofia. «Ci sono stati alcuni momenti tesi, ma il team ha lavorato insieme, e infine abbiamo ottenuto l’autorizzazione. Abbiamo raggiunto l’ombra di Plutone esattamente nel momento giusto ed eravamo molto contenti di avercela fatta!».

Appena due settimane più tardi, dopo 9 anni 5 mesi e 25 giorni di viaggio, la sonda New Horizons avrebbe raggiunto il punto più vicino del suo flyby di Plutone. Tempismo perfetto. Sofia ha osservato gli strati intermedi dell’atmosfera di Plutone, alle lunghezze d’onda dell’infrarosso e del visibile, e subito dopo la sonda New Horizons ha campionato gli strati più alti e più bassi nel radio e nell’ultravioletto.

La combinazione dei dati ha fornito l’immagine più completa dell’atmosfera di Plutone mai ottenuta prima. Le curve di luce analizzate hanno portato gli scienziati a concludere che l’atmosfera di Plutone sia dotata di uno strato di vapore, con serie implicazioni sui processi fotochimici innescati dall’illuminazione solare.

Ma facciamo un passo indietro, vediamo cosa già si sapeva dell’atmosfera di Plutone, e come le nuove osservazioni abbiano rivoluzionato le conoscenze pregresse e messo in discussione le previsioni dei modelli. Plutone e la sua luna più grande, Caronte, fanno parte di una categoria di corpi noti come “nani ghiacciati”: come i pianeti rocciosi, possiedono una superficie solida, ma contrariamente a essi una porzione significativa della loro massa superficiale è costituita di materiale ghiacciato. Plutone, inoltre, è circondato da un’atmosfera piuttosto tenue di azoto, monossido di carbonio e metano, che si forma per evaporazione del ghiaccio superficiale illuminato dalla luce del Sole.

Vicino alla superficie ghiacciata, la pressione di vapore mantiene l’atmosfera in equilibrio con i ghiacci; salendo un po’, il metano agisce come un termostato e regola la temperatura attorno ai 170 gradi sottozero. L’atmosfera però è solo debolmente legata alla superficie, e viene spazzata via dal vento solare, proprio come accade alle comete quando si avvicinano alla nostra stella. Il continuo rifornimento di materiale proveniente dai ghiacci superficiali mantiene vivo il processo, ma si stima che abbia causato a Plutone una perdita da 0.5 fino a 3 km di spessore in 4.5 miliardi di anni. Infine, particelle di vapore si formano negli strati più alti dell’atmosfera, a più di trenta chilometri dalla superficie, dall’interazione del metano e altri gas con la luce solare, per poi lentamente piovere giù verso la superficie ghiacciata. La sonda New Horizons ha immortalato queste particelle di vapore in alcune delle immagini spedite a Terra, che mostravano l’atmosfera plutoniana tinta di blu.

Immagine a colori ad alta risoluzione degli strati di nebbia nell’atmosfera di Plutone, acquisita da New Horizons il 14 luglio 2015. Crediti: Nasa / Jhuapl / Swri

Man mano che il pianeta si muove lungo la sua orbita di 248 anni nello spazio progressivamente più freddo, e l’insolazione decresce, la pressione atmosferica diminuisce e l’atmosfera subisce – secondo i modelli – un vero e proprio collasso verso la superficie, evento che doveva già essere in corso all’epoca delle osservazioni.

Gli scienziati a bordo di Sofia hanno sfruttato l’occultazione di una stella brillante da parte di Plutone per osservare l’atmosfera retroilluminata del pianeta nano, riuscendo – con un dettaglio di 2 km – a campionare fittamente i 60 km di altezza dell’atmosfera. La tecnica usata si basa sul fatto che il flusso in arrivo dalla stella decresce, durante la fase di occultazione, in modo dipendente dalla temperatura e dal peso molecolare degli elementi chimici presenti.

I dati raccolti da Sofia hanno mostrato che le particelle componenti il vapore atmosferico di Plutone sono estremamente piccole, solamente 0.06-0.1 micron di spessore – circa mille volte più sottili di un capello. A causa delle loro dimensioni, esse riflettono e diffondono maggiormente la luce a lunghezze d’onda blu, creando il colore osservato.

Questa nuova scoperta sta facendo rivalutare tutte le predizioni riguardanti il destino dell’atmosfera del piccolo mondo ghiacciato. Con l’allontanamento dal Sole, sembra che – anziché collassare – l’atmosfera si modifichi secondo schemi ciclici. Plutone gira attorno al Sole con un’orbita molto allungata ed ovale, ellittica ed inclinata, e come ogni altro pianeta ruota su sé stesso. Di conseguenza, alcune regioni della sua superficie, e in punti diversi dell’orbita, sono più esposte di altre alla luce solare. Quando le regioni ricche di ghiacci vengono irraggiate, l’atmosfera si espande e genera più vapore, ma non appena la luce solare viene meno, essa diventa più sottile e limpida. Secondo le osservazioni di Sofia, questo ciclo si è mantenuto nonostante la distanza di Plutone dal Sole fosse aumentata molto, e a oggi non è chiaro se esso continuerà a ripetersi.

«C’è ancora molto che non comprendiamo, e ora siamo costretti a riconsiderare le previsioni passate», dice il primo autore dello studio, Michael Person, del  Department of Earth, Atmospheric and Planetary Sciences del Mit. «L’atmosfera di Plutone potrebbe collassare molto più lentamente di quanto precedentemente teorizzato, o potrebbe non scomparire affatto. Per scoprirlo, dobbiamo continuare a monitorarlo».

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