LO STUDIO È PUBBLICATO SU THE ASTROPHYSICAL JOURNAL

Tempesta cosmica dal più ventoso fra i quasar

Osservazioni condotte con il telescopio Gemini North – sul vulcano Mauna Kea, alle Hawaii – hanno portato alla scoperta del quasar più ventoso di sempre. Il vento emesso da questa galassia primitiva viaggia al 13 per cento della velocità della luce, ed è talmente potente da soffiare via ogni giorno una massa pari a nove volte quella dell’intero Sole. Questa tempesta cosmica è rimasta nascosta ben 15 anni prima di essere rivelata dalle nuove osservazioni e da una nuova tecnica di analisi spettrale

     17/04/2020

Rappresentazione artistica della regione centrale del quasar vista in banda ottica. Crediti: International Gemini Observatory/NoirLab/Nsf/Aura/P. Marenfeld

“Il posto migliore per nascondere qualsiasi cosa è in bella vista”, scriveva Edgar Allan Poe ne La lettera rubata. Lo sanno bene i quasar, particolari galassie che devono il nome – quasi stellar radio source – alla loro peculiare caratteristica di nascondersi dietro le sembianze di una stella se osservati nell’ottico, e manifestando invece tutta la loro potenza e luminosità nelle bande radio, Uv e X dello spettro elettromagnetico.

Ma fra tutti, maestro di mimetismo è il quasar Sdss J135246.37+423923.5, distante 10 miliardi di anni luce dalla Terra, che è rimasto nascosto in bella vista per circa 15 anni in un catalogo ottico prima che gli scienziati notassero la sua straordinarietà: il vento di materia – chiamato tecnicamente outflow – prodotto nel nucleo dalla caduta di materiale dal disco di accrescimento nel buco nero supermassiccio arriverebbe ad una velocità del 13 per cento della velocità della luce. Un valore che non ha precedenti fra le galassie note della stessa specie.

Questa scoperta è stata possibile grazie a nuove osservazioni infrarosse effettuate da Hyunseop (Joseph) Choi – studente postlaurea all’università dell’Oklahoma e primo autore di uno studio pubblicato a marzo su The Astrophysical Journal – con il Gemini North Telescope alle Hawaii, e grazie ad un nuovo codice di analisi che consente di studiare in dettaglio le porzioni dello spettro elettromagnetico più caratteristiche di questi oggetti.

«I venti ad alta velocità osservati finora nei quasar erano sottili e collimati, e trasportavano solo una piccola quantità di materia», spiega Sarah Gallagher, l’astronoma della Western University (Canada) che ha condotto le osservazioni. «L’outflow proveniente da questo quasar, in confronto, trascina con sé un’enorme quantità di massa a delle velocità incredibili. La potenza di questo vento è pazzesca, e ancora non sappiamo come questo quasar possa espellere qualcosa di così notevole».

Ma quanto è particolare questo oggetto? Bisogna innanzitutto precisare che la famiglia di galassie a cui appartengono i quasar, i nuclei galattici attivi (Agn), è di per sé peculiare, in quanto comprende una serie di sottoclassi i cui tratti distintivi sono determinati solo dall’orientazione rispetto alla linea di vista dell’osservatore, poiché la loro geometria è davvero complessa.

Il motore centrale di queste galassie è un buco nero supermassiccio, che si nutre di materiale del cosiddetto disco di accrescimento della galassia stessa. La materia in caduta continua nel buco nero produce radiazione con una potenza enorme, che accelera gas e materia producendo dei potenti venti, i cosiddetti outflow. La radiazione ionizzante emessa dal disco viene in parte assorbita dall’outflow stesso prima di giungere ai nostri telescopi, generando nel suo spettro delle righe di assorbimento larghe (le cosiddette Bal, broad absorption lines) o, come in questo caso, delle vere e proprie depressioni nella regione ultravioletta. Dal tipo di elementi chimici che generano queste righe, dalla loro larghezza e dal loro caratteristico spostamento verso il blu gli scienziati riescono a stimare la velocità del vento, la turbolenza del gas e le dimensioni fisiche del getto.

Rappresentazione artistica della regione centrale del quasar vista in banda infrarossa. Crediti: International Gemini Observatory/NoirLab/Nsf/Aura/P. Marenfeld

E qui viene la prima peculiarità. La famiglia di quasar a cui appartiene Sdss J135246.37+423923.5 è piuttosto rara, e gli scienziati stimano che in un censimento di diecimila quasar ci sia statisticamente uno solo di questi oggetti.

Un po’ come l’inchiostro simpatico, che si rende visibile tramite una forma di intervento specifica come il calore, così gli inconfondibili tratti caratteristici dell’impressionante vento di materia generato dal quasar si celavano in una serie di righe in assorbimento sovrapposte e indistinguibili, e necessitavano un particolare metodo di analisi per essere identificati. Come abbiamo detto, infatti, l’angolo fra la galassia e l’osservatore dice tutto. E questo quasar è posizionato proprio in modo che la radiazione debba attraversare un’ampia sezione del getto di vento prima di giungere ai nostri occhi, portandone i segni in un tripudio di righe in assorbimento cosiddette a bassa ionizzazione, fra le quali il raro ferro. Con simBal, il nuovo codice di analisi sviluppato dalla seconda autrice dell’articolo, Karen Leighly, gli autori dello studio sono riusciti a risolvere questa sovrapposizione di righe, misurando un vento di 38mila km/s, e stimando che esso trasporti ogni anno 3210 volte la massa del Sole. Nove “Soli” al giorno, per intenderci.

«Eravamo scioccati – questo non è un nuovo quasar, ma nessuno sapeva quanto fosse straordinario finché non abbiamo preso gli spettri Gemini», osserva Leighly. «Questi oggetti erano troppo difficili da studiare prima che il nostro gruppo sviluppasse questa metodologia di analisi e avesse i dati necessari, e ora sembra proprio che questa sia la tipologia più interessante di quasar ventosi da studiare».

Oltre alla misura dell’outflow, gli scienziati sono anche riusciti a misurare la massa del buco nero supermassiccio di Sdss J135246.37+423923.5. Questo oggetto mostruoso è 8.6 miliardi di volte più massiccio del Sole e circa duemila volte più massiccio del buco nero al centro della nostra galassia, la Via Lattea.

Le sorprese celate dietro l’apparente morigeratezza di Sdss J135246.37+423923.5 non finiscono qui.

Questo oggetto sembra essere il primo caso in cui si osserva un fenomeno detto “schermatura della radiazione”. La radiazione che vediamo provenire da un quasar, infatti, non è solo quella che attraversa il getto di materiale emesso, ma anche quella che giunge ai nostri occhi perché rimbalzata dall’interazione con qualche nube circostante. In entrambi i casi, inoltre, può accadere che vi sia qualche altra nube nell’ambiente turbolento di queste galassie primitive, e che attraversandola la radiazione perda ancora un po’ della sua energia.

Se questo avviene, scherma che ti rischerma, la radiazione che vedremo porterà tutti i segni di questo faticoso attraversamento multiplo. Questo processo – definito appunto radiation filtering (schermatura della radiazione) – era stato ipotizzato ma mai direttamente osservato, e consente di aggiungere un’importante chiazza di colore al complesso disegno che descrive questi oggetti.

«Non sappiamo quanti altri oggetti così straordinari ci siano nel nostro catalogo di quasar e dei quali non siamo ancora a conoscenza», conclude Choi. «Dal momento che i software automatici in genere identificano i quasar dall’emissione di righe intense o dal loro colore blu – entrambi aspetti assenti nel nostro oggetto – potrebbero esserci altri quasar con venti tremendamente potenti nascosti nel nostro censimento».

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