PREMIATI DUE AMBITI DELL’ASTROFISICA MOLTI DIVERSI

Nobel per la Fisica a cosmologia ed esopianeti

Il cosmologo James Peebles e i planetologi Michel Mayor e Didier Queloz sono stati premiati con il Nobel per la Fisica 2019 per le loro scoperte relative alla radiazione cosmica di fondo e ai primi pianeti esterni al Sistema solare: scoperte che hanno cambiato la nostra immagine dell'universo. Nichi D’Amico (presidente Inaf): «Un risultato grandioso»

     08/10/2019

Infografica sulla radiazione cosmica di fondo (cliccare per ingrandire). Crediti: nobelprize.org (trad. it. di Media Inaf)

Il Nobel 2019 per la Fisica è andato a tre scienziati che studiano l’universo. Due aspetti molti differenti dell’universo, però. Forse l’unica cosa che hanno in comune è che entrambi ridimensionano il nostro posto – la nostra unicità – nel cosmo.

Uno, il canadese James Peebles (84 anni), è un cosmologo. Il suo campo è l’universo intero, e il premio gli è stato assegnato per i suoi studi iniziai negli anni Sessanta: una struttura teorica che ha permesso l’evoluzione della cosmologia da pura scienza speculativa a scienza misurabile, anche sperimentalmente. Le sue intuizioni hanno contribuito in modo fondamentale al modello attuale, che descrive l’universo nato circa 14 miliardi di anni fa con il Big Bang. Un universo inizialmente caldissimo e densissimo, diventato poi sempre più grande e più freddo man mano che si espandeva. Circa 400mila anni dopo il Big Bang, per la prima volta l’universo divenne trasparente e i fotoni furono in grado di viaggiare attraverso lo spazio. Una radiazione antica che ancora oggi ci circonda e, codificata in essa, nasconde molti dei segreti del cosmo. Usando i suoi strumenti e calcoli teorici, Peebles è stato in grado di interpretare queste tracce, lasciate dai primi passi dell’universo bambino, e di scoprire nuovi processi fisici.

«È davvero un grande piacere apprendere che quest’anno il premio Nobel per la fisica è stato assegnato al  professor Peebles. I suoi studi fondamentali», dice a Media Inaf Carlo Burigana, dirigente di ricerca all’Inaf Ira di Bologna, «spaziano dalla cosmologia con il fondo cosmico a microonde, interpretandone le proprietà essenziali tra cui la temperatura a cui è osservato, a quella con la distribuzione delle galassie, la cosiddetta struttura su larga scala dell’universo, fino alla formazione ed evoluzione delle galassie stesse. Ritengo che chiunque si dedichi alla cosmologia e all’astrofisica e alla loro connessione con la fisica di base gli sia profondamente grato non solo per le sue profonde intuizioni ma anche per la sua grande capacità di insegnarle in modo chiaro ed ensusiasmante: i suoi libri sono stati per generazioni di studiosi preziosi strumenti di conoscenza. Penso che anche i grandi progetti di cosmologia, ai quali la comunità scientifica italiana ha e sta contribuendo in modo essenziale, abbiano tratto una notevole fonte di ispirazione dalle sue fondamentali lezioni».

Infografica sul metodo della velocità radiale per la caccia agli esopianeti (cliccare per ingrandire). Crediti: nobelprize.org (trad. it. di Media Inaf)

Gli altri due, gli svizzeri Michel Mayor (77 anni) e Didier Queloz (53 anni), sono i planetologi che nell’ottobre del 1995 annunciarono la prima scoperta di un esopianeta in orbita attorno a una stella di tipo solare: il pianeta 51 Pegasi b, una palla gassosa paragonabile al più grande gigante gassoso del Sistema solare, Giove. Una scoperta, la loro, cha ha dato il via a una rivoluzione ancora in corso: da allora sono stati trovati, nella Via Lattea, oltre 4000 esopianeti. E il numero è in continua ascesa: vengono scoperti in continuazione nuovi mondi, mondi molti diversi dal nostro e molto diversi fra loro, mondi con un’incredibile varietà di dimensioni, forme e orbite. Mondi che sfidano le nostre idee preconcette sui sistemi planetari e stanno costringendo gli scienziati a rivedere le loro teorie sui processi fisici che stanno dietro le origini dei pianeti. Grazie ai numerosi progetti in programma per andare alla ricerca di nuovi esopianeti, potremo forse trovare una risposta all’annosa domanda se ci sia altra vita là fuori.

«Meritatissimo il Nobel a Didier Queloz e Michel Mayor. La scoperta di 51 Peg b», ricorda Isabella Pagano, direttrice dell’Inaf – Osservatorio astrofisico di Catania, «annunciata al Cool Stars Meeting che si tenne a Firenze nell’ottobre del 1995, fu accolta quasi con freddezza dalla comunità scientifica del tempo, che invece sembrava più interessata alla prima osservazione di una stella nana bruna, annunciata nella stessa occasione. La scoperta di 51 Peg b in realtà era il risultato di una gara in atto tra Europa e Stati Uniti tra chi arrivasse per primo a fare misure di velocità radiale tanto precise da poter osservare il moto di una stella indotto da un pianeta. 51 Peg b, di massa simile a Giove, ma estremamente vicino alla propria stella, si è rivelato anche il primo dardo lanciato contro l’idea che il Sistema solare rappresentasse il tipico sistema planetario, con i pianeti piccoli e rocciosi nella parte interna e quelli grandi e gassosi lontano dalla stella. Oggi conosciamo oltre 4000 pianeti in oltre 3000 sistemi planetari, e quello che ci colpisce di più è la diversità di pianeti e di architetture dei sistemi planetari che abbiamo fino a oggi scoperto. Poco prima di Natale lanceremo Cheops, il piccolo satellite europeo per lo studio degli esopianeti. Il programma scientifico principale, il programma Gto, è coordinato da Didier Queloz».

I vincitori di quest’anno hanno trasformato le nostre idee sul cosmo. Mentre le scoperte teoriche di James Peebles hanno contribuito alla nostra comprensione di come si sia evoluto l’universo dopo il Big Bang, Michel Mayor e Didier Queloz hanno esplorato i nostri “vicinati” cosmici. Le loro scoperte hanno per sempre cambiato la nostra concezione del mondo.

«Un risultato grandioso che testimonia l’importanza dell’astrofisica moderna e il suo valore strategico per il futuro dell’umanità», commenta il presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica Nichi D’Amico. «Si tratta di temi che riguardano l’attività del nostro Ente, e in cui siamo in prima linea sul fronte internazionale. In particolare lo studio degli esopianeti e la ricerca di tracce di vita in altri mondi vede alcuni dei nostri telescopi, come il Telescopio nazionale Galileo, il Large Binocular Telescope e, in futuro, l’Extremely Large Telescope, protagonisti in questo settore. Siamo coinvolti in importanti missioni spaziali pensate proprio per lo studio degli esopianeti, come Ariel, Cheops e Plato. E sempre dallo spazio, con la prossima missione Euclid potremo auspicabilmente dare importanti risposte a quello che resta da scoprire sulla composizione del nostro universo, ovvero su quel 95 percento che ancora non conosciamo».

Correzione del 10.10.2019: 51 Pegasi b non è il primo esopianeta scoperto in assoluto, come riportava una frase nella versione iniziale, bensì il primo scoperto in orbita attorno a una stella di tipo solare.