STAY TUNED… PER UN MILIARDO DI ANNI

Onde radio dal pianeta estinto

Uno studio su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society descrive le caratteristiche ottimali per cercare residui planetari in orbita attorno a nane bianche captando l’emissione radio prodotta dal sistema. Emissione che può perdurare fino a un miliardo di anni dopo la fine del pianeta

     08/08/2019

Rappresentazione artistica di un frammento planetario mentre orbita attorno alla nana bianca Sdss J122859.93+104032.9 lasciandosi una scia di gas alle spalle. Crediti: University of Warwick/Mark Garlick

Ancora devono riuscirci, a captarlo. Ma i conti parlano chiaro: un pianeta è in grado di trasmettere onde radio anche un miliardo di anni dopo la sua “morte”. Dove per “morte” si intende la sua distruzione pressoché completa a seguito della fine evolutiva della stella madre – vale a dire della sua trasformazione in nana bianca.

A sostenerlo, in un articolo pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, sono Dimitri Veras della University of Warwick (Uk) e Alexander Wolszczan della Pennsylvania State University (Usa). Lo scenario preso in esame dai due ricercatori è quello di una stella che, avendo pressoché esaurito il proprio combustibile, si espande temporaneamente – proprio come farà Sole fra qualche miliardo di anni – spogliando degli strati esterni i pianeti che la circondano, per poi rimpicciolirsi e diventare una nana bianca. Quel che eventualmente resta di quei pianeti è un nucleo metallico in orbita attorno alla nana bianca.

Ebbene, il campo magnetico presente tra la nana bianca e il nucleo planetario che le orbita attorno può dare origine a un cosiddetto “circuito induttore unipolare”, con il nucleo del pianeta che funge da conduttore grazie al materiale metallico di cui è composto. Un circuito in grado di emettere, in particolari circostanze (quelle, appunto, calcolate da Veras e Wolszczan), onde radio rilevabili dai nostri radiotelescopi.

Le circostanze ottimali messe a fuoco dai due scienziati – quelle che renderebbero il segnale rilevabile, e dunque quelle sulle quali concentrare le osservazioni per aumentare le possibilità di una scoperta – prevedono nane bianche con un campo magnetico non troppo intenso e nuclei planetari in orbite comprese fra i tre raggi solari e la distanza Sole-Mercurio: orbite più strette metterebbero a repentaglio la sopravvivenza stessa del nucleo alle forze mareali, orbite più lontane renderebbero invece troppo debole il segnale.

Riuscire a captare un’emissione da un sistema del genere rappresenterebbe una scoperta tre volte da record, sottolinea Veras. Se infatti di planetesimi intorno a nane bianche ne sono già stati osservati almeno due – uno dei quali descritto pochi mesi fa in uno studio pubblicato su Science del quale sono coautori, fra l’altro, lo stesso Veras e tre ricercatori dell’Inaf – «mai fino a ora», ricorda l’astrofisico di Warwick, «è stato individuato il nucleo residuo di un grande pianeta. Né un grande pianeta attraverso la sola analisi di un segnale magnetico. Né, infine, un grande pianeta attorno a una nana bianca».

«Scoprirne uno aiuterebbe anche a ricostruire la storia di questi sistemi stellari, perché per raggiungere un simile stadio», spiega Veras, «un nucleo deve prima essere stato privato di atmosfera e mantello, poi essere stato trascinato verso la nana bianca. Un nucleo simile ci offrirebbe anche un’anticipazione di quello che potrebbe essere il nostro destino, e di come finirà per evolversi il Sistema solare».

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