MONDI IN FORMAZIONE ATTORNO A GEMINGA

Pianeti nati dalle ceneri di una supernova

Sfruttando la potenza degli strumenti che lavorano nel submillimetrico, due ricercatori hanno catturato la debole (e invisibile all'occhio umano) luce proveniente dalla pulsar Geminga. Si tratta di un oggetto ideale per studiare la formazione di pianeti dopo la morte di una stella

     06/07/2017

In questa immagine potete osservare la pulsar Geminga (nel cerchietto nero) muoversi verso la regione in alto a sinistra. La stella di neutroni è distante circa 815 anni luce dalla Terra. Crediti: Jane Greaves / JCMT / EAO

Può esserci “vita” dopo la morte di una stella? A quanto risulta da alcuni studi condotti di recente, Jane Greaves (Università di Cardiff) e Wayne Holland (UK Astronomy Technology Centre di Edinburgo) avrebbero svelato la soluzione di un puzzle rimasto irrisolto per 25 anni: ecco come dei pianeti possono formarsi dopo l’esplosione di una supernova. I due ricercatori hanno presentato oggi la loro ricerca, pubblicata su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Protagonista di questa indagine è la pulsar Geminga, individuata nel 1972 e così chiamata dall’astrofisico Giovanni Bignami, scomparso lo scorso maggio.

I pianeti non orbitano tutti attorno a stelle come il Sole: ce ne sono alcuni che hanno per stella madre una pulsar. I primi sono stati scoperti 25 anni fa, in orbita attorno a una stella di neutroni, ovvero di ciò che resta dell’esplosione di una stella – diverse volte più massiccia della nostra – in una supernova. Questi pianeti se ne stanno lì al buio, sono estremamente rari e complessi da studiare.

Ma come è possibile che, dopo una deflagrazione drammatica come quella che distrugge una stella, ci possano ancora essere dei pianeti nei paraggi? È proprio questo il mistero. I pianeti si formano dal materiale che la stella di neutroni attira a sé dopo l’esplosione. Questi pianeti nascono letteralmente dalle ceneri della stella e degli oggetti che li hanno preceduti, e possono essere rilevati dagli strumenti a terra (solo quelli più potenti) perché l’attrazione gravitazionale altera i tempi di arrivo degli impulsi radio provenienti dalla pulsar.

Greaves ha spiegato: «Abbiamo cominciato a cercare le materie prime subito dopo l’annuncio della scoperta dei pianeti attorno alla pulsar. Avevamo un obiettivo, la pulsar Geminga, a 800 anni luce di distanza, nella costellazione dei Gemelli. Gli astronomi pensavano di aver trovato un pianeta nel 1997, ma non l’hanno tenuto in considerazione a causa di irregolarità (glitches) nel periodo di rotazione. Solo molto tempo più tardi ho rianalizzato i pochi dati a disposizione e ho cercato di creare un’immagine».

Il James Clerk Maxwell Telescope alle Hawaii

I due esperti hanno osservato Geminga utilizzando l’hawaiano James Clerk Maxwell Telescope, che opera nel submillimetrico, perché la luce che cercavano di catturare è invisibile all’occhio umano (la lunghezza d’onda è circa mezzo millimetro). Con le camere Scuba e Scuba-2 gli scienziati hanno rilevato qualcosa di estremamente debole, ma non si tratta di artefatti. Le due camere hanno mostrato il segnale della pulsar e un arco attorno ad essa.

«Sembra quasi un’onda di prua», dice Greaves riferendosi a quell’onda che si forma in corrispondenza della prua di una nave in movimento. «Geminga si sta muovendo incredibilmente veloce attraverso la nostra galassia, molto oltre quella che è la velocità del suono nel gas interstellare. Pensiamo che il materiale venga catturato dall’onda a forma di arco e che qualche particella venga indirizzata verso la pulsar». Questo stesso materiale va poi a formare i futuri pianeti attorno alla stella di neutroni.

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