SEGNO CHE CI SAREBBERO LE CONDIZIONI PER LA VITA

C’è idrogeno molecolare nell’oceano di Encelado

Là sotto alla crosta ghiacciata della sesta luna di Saturno, a oltre un miliardo di km dalla Terra, avviene un processo che – per quanto ne sappiamo – è presente solo lì e sul nostro pianeta: l’attività idrotermale. L’annuncio nella conferenza stampa Nasa, lo studio su Science

     13/04/2017

Rappresentazione artistica dei pennacchi di Encelado. Crediti: Nasa

Nell’oceano sotterraneo di Encelado, là sotto alla superficie ghiacciata della sesta luna di Saturno, c’è attività idrotermale. Come ce n’è solo sulla Terra, per quanto ne sappiamo. Attività idrotermale significa energia, energia chimica. Ed energia significa possibilità di vita. Sottolineiamolo bene, questo possibilità, perché ciò che la scatenata sonda Cassini della Nasa (ma equipaggiata con strumenti forniti in buona parte dall’Asi, l’Agenzia spaziale italiana) ha scoperto, nell’oceano di Encelado, non è la vita, non sono tracce di vita passata e nemmeno si tratta d’una assoluta novità – se ne parlò già nel 2015 su Nature, come forse ricorda anche chi fra voi segue assiduamemte Media Inaf. Ma il modo in cui gli scienziati sono giunti a questa conclusione – riportata sul numero di domani di Science e annunciata questa sera, alle 20 ora italiana, in conferenza stampa internazionale dalla Nasa – vale da solo tutto il clamore che la notizia susciterà, fosse anche solo perché è un esempio avvincente dell’avventura intellettuale, scientifica e umana in corso in questi anni nel Sistema solare. Avventura della quale la sonda Cassini rientra a pieno titolo nella cinquina di candidati all’Oscar come migliore protagonista.

Raccontiamola, dunque, quest’ultima avventura, almeno per sommi capi. E partiamo da Cassini. È il 28 ottobre 2015, e la sonda interplanetaria, a oltre un miliardo di km dalla Terra, si appresta a compiere il suo 21esimo sorvolo ravvicinato – flyby, in inglese – di Encelado, una delle tante lune del Signore degli anelli, la sesta per dimensioni, dal diametro di circa 500 km. Obiettivo del flyby, l’analisi delle sostanze presenti negli ormai celebri pennacchi (plumes), geyser che fuoriescono dalla calotta australe della luna e, alimentati da un oceano sotterraneo, sparano nello spazio circostante, per centinaia di km, centinaia di kg di materiale al secondo.

Quale materiale? E quanto? Per scoprirlo, il 28 ottobre 2015 i responsabili della missione fanno scendere Cassini fino a 49 km dalla superficie della luna, guidandola quasi esattamente sulla verticale dei pennacchi a 8.5 km al secondo (circa 30mila km/h). Ed è lì che, per oltre un minuto, da 40 secondi prima fino a 40 secondi dopo il punto di massimo avvicinamento, lo spettrometro di massa della sonda – Inms, Ion and Neutral Mass Spectrometer – si dà da fare come non mai per catturare, classificare e pesare molecole. Soprattutto pesare. Già, perché ciò che il team guidato da Hunter Waite del Southwest Research Institute (San Antonio, Texas) vuole stabilire sono le quantità – assolute e relative – di acqua (H2O), anidride carbonica (CO2) e idrogeno molecolare (H2) presenti nei pennacchi, così da poter fare ipotesi sul contenuto dell’oceano, su eventuali processi in atto là sotto la superficie ghiacciata della luna e sulla quantità d’energia che questi processi eventualmente sviluppano.

Jonathan I. Lunine, Cornell Center for Astrophysics and Planetary Science, coautore dello studio uscito su Science

L’impresa è ambiziosissima. L’ostacolo maggiore è il rumore di fondo, la contaminazione. Vale a dire, le molecole che arrivano allo spettrometro non dai pennacchi di Encelado ma da altre fonti. «Abbiamo la necessità di eliminare le altre sorgenti di H2, per esempio le molecole d’acqua che si scontrano con la superficie dello strumento», spiega a Media Inaf – in un impeccabile italiano – il planetologo della Cornell University Jonathan Lunine, fra i coautori dello studio in uscita su Science. E qui l’ingegno e la tenacia degli scienziati lascia a bocca aperta: per isolare le molecole provenienti direttamente dal sottosuolo di Encelado, ne misurano non solo la massa ma anche la velocità relativa rispetto allo strumento, ovviamente diversa a seconda dell’origine. Tutto questo, ricordiamo, su una sonda al lavoro a un miliardo e passa di km dalla Terra.

I dati non deludono. Il rapporto fra idrogeno molecolare e acqua indica un tasso di produzione di H2 significativamente superiore a quello che sarebbe possibile in assenza di attività idrotermale. Scartate una a una le possibili alternative, dalla presenza di una riserva d’idrogeno molecolare nell’oceano sotterraneo a processi di radiolisi, a Waite e colleghi non rimane così che considerare come fonte più plausibile per l’eccesso di H2, «una serie di reazioni idrotermali in corso con la roccia contenente materiali organici. L’abbondanza di idrogeno relativamente alta rilevata nei pennacchi», si legge nell’abstract dello studio, «è il segno d’uno squilibrio termodinamico che favorisce la formazione di metano dall’anidride carbonica nell’oceano di Encelado». Una conclusione notevole, perché suggerisce la presenza, all’interno della luna, di condizioni di temperatura e di energia chimica analoghe a quelle necessarie a sostenere la vita anche in assenza di fotosintesi, proprio come avviene nelle profondità degli oceani terrestri.

Ma cosa si prova ad arrivare, dopo tanti anni di missione e di lavoro sui dati, a intuire da una manciata di numeri cosa sta succedendo nel sottosuolo di una luna a oltre un miliardo di km dalla Terra? «Da una parte un forte senso di stupore davanti al fatto che possiamo esplorare un oceano così lontano dalla Terra», dice Lunine. «Dall’altra, una grande riconoscenza per la squadra di ingegneri che ha costruito e operato una sonda scientifica così potente. È stato un viaggio che trent’anni fa non avrei mai potuto immaginare. E ora sono profondamente grato».

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