LO STUDIO SU NATURE

Senza metalli si accendono poche stelle

Due galassie, seppur ricche di idrogeno molecolare, sfornano stelle ad un ritmo assai basso. Secondo i ricercatori che le hanno studiate la colpa è della penuria, nel gas che le compone, di elementi chimici più pesanti dell'elio, i cosiddetti metalli. Il commento di Giovanni Cresci (INAF)

     15/10/2014
La galassia irregolare Sextans A. Crediti:  S. D. Van Dyk (IPAC /Caltech) et al., KPNO 2.1-m Telescope, NOAO

La galassia irregolare Sextans A. Crediti: S. D. Van Dyk (IPAC /Caltech) et al., KPNO 2.1-m Telescope, NOAO

Le prime galassie che hanno popolato l’universo hanno faticato un bel po’ per formare nuove stelle. Un avvio alquanto stentato, che secondo gli astrofisici è da imputare alla penuria di metalli, ovvero di elementi chimici più pesanti dell’elio, nel materiale di cui erano formate queste strutture cosmiche. Una verifica osservativa di questa relazione tra processi di formazione stellare e galassie a bassa metallicità è stato il tema centrale di uno studio realizzato da un gruppo di ricercatori guidato da Yong Shi, dell’Università di Nanchino in Cina, i cui risultati verranno pubblicati nel prossimo numero della rivista Nature.

Gli scienziati si sono concentrati su due galassie relativamente vicine a noi: Sextans A, una nana irregolare a 4,5 milioni di anni luce da noi e ESO 146-G14, una galassia a disco lontana 73 milioni di anni luce. La scelta non è stata casuale: entrambe infatti possiedono una bassissima concentrazione di metalli, soprattutto l’ossigeno, in confronto ai valori registrati nel nostro Sole. Caratteristica che, soprattutto da questo punto di vista, le fa somigliare alle loro antenate.

Il team ha scandagliato queste galassie utilizzando principalmente riprese nell’infrarosso dei telescopi spaziali Herschel dell’ESA e Spitzer della NASA. Questo per individuare le ‘nursery’ stellari presenti nelle due galassie, messe in evidenza dalle emissioni nell’infrarosso della polvere attorno ad esse. In più, in quelle zone, sono state realizzate delle mappe della distribuzione dell’idrogeno neutro atomico, che hanno consentito di ricavare le masse complessive di quei bozzoli stellari. Da queste informazioni, Shi e colleghi sono giunti anche a ricavare, seppure indirettamente, le concentrazioni di idrogeno molecolare, ovvero quello che si trova nella forma di due atomi legati. Un’informazione decisiva, poiché è dal collasso delle nubi di idrogeno molecolare che inizia la formazione delle stelle. I risultati dello studio mettono in evidenza che, pur essendoci nelle due galassie zone con notevoli concentrazioni di idrogeno molecolare, la quantità di nuove stelle che vengono sfornate è nettamente inferiore ad altre galassie più evolute dell’universo locale, che mostrano abbondanze di gas simili o addirittura inferiori alle due osservate. Una caratteristica che gli scienziati spiegano con la loro bassa metallicità.

«Lo studio mostra come, basandosi su alcune assunzioni comunque da verificare, le regioni di intensa formazione stellare di due galassie a basso contenuto di elementi pesanti (“metalli”) abbiano una densità di gas molecolare H2 molto elevata» commenta Giovanni Cresci, ricercatore dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri. «Nonostante la grande quantità di questo “combustibile” per formare nuove stelle, la loro formazione stellare è molto bassa rispetto a galassie spirali più ricche di metalli. Secondo gli autori si tratta dunque della prima prova diretta che la formazione stellare in ambienti poveri di metalli  sia molto meno efficiente di quello che avviene in galassie simili alla nostra. Se questo risultato venisse confermato da altri studi su campioni di galassie più grandi e con formazione stellare più elevata, sarebbe molto importante soprattutto per la nostra comprensione della formazione stellare delle galassie ad alto redshift, in cui la frazione di elementi pesanti era molto bassa come in questi due oggetti. Una bassa efficienza di formazione stellare è infatti richiesta da alcuni modelli teorici per riconciliare le loro predizioni con le osservazioni dell’universo primordiale».