LA MISSIONE K2 PER RIATTIVARE IL TELESCOPIO

Kepler potrebbe risorgere

Il telescopio orbitante potrebbe riprendere il suo operato sfruttando un ingegnoso sistema per mantenerlo stabile sfruttando la luce solare. Il cacciatore di esopianeti, lanciato nel 2009, tornerebbe a scrutare nuove porzioni di cielo, cercando soprattutto pianeti molto vicini alla loro stella madre.

     08/11/2013

nasa-kepler-exoplanet-spacecraftDopo che per mesi la NASA ha pianto la fine delle capacità operative della sua missione del telescopio orbitante Kepler, l’agenzia spaziale statunitense potrebbe aver trovato un piano B per continuare la caccia a nuovi pianeti, usando l’aiuto della luce del Sole. Nella primavera scorsa  la NASA  aveva annunciato che i giroscopi del telescopio lanciato nel 2009 si erano rotti. Un disagio prevedibile dopo quattro anni di missione. Peccato che sono proprio i giroscopi a mantenere stabile e immobile il telescopio, che altrimenti non può osservare il passaggio dei pianeti.

La nuova vita di Kepler (K2, si chiamerebbe la missione) renderebbe  possibile osservare una porzione più ampia di cielo rispetto a quella finora scrutata dal vecchio Kepler, portando (si spera) a catturare una maggiore varietà di nuovi pianeti. Kepler è stato progettato per fissare intensamente un unico pezzo di cielo per anni e anni, a caccia di pianeti misurando la luminosità delle stelle attorno alle quali orbitano. Con la nuova missione si potrebbero scoprire pianeti anche più vicino alle stelle rispetto alla distanza tra il Sole e la Terra. Quando i pianeti passano davanti a quelle stelle, Kepler nota l’affievolirsi della luce delle stelle stesse.

Dopo l’imprevisto del maggio scorso (la rottura del secondo giroscopio di scorta – ne ha a bordo quattro) Kepler non può più gestire al massimo la sua rotazione, soprattutto a causa della luce solare che, cadendo su un solo lato, rende i movimenti del telescopio instabili. Come spiegano i responsabili della missione, non si può spegnere il Sole ma lo si può sfruttare. La squadra di Kepler ha ideato un modo per mantenere il telescopio immobile per un  lungo periodo di tempo, impedendogli di ruotare, manovrandolo in modo da mantenere la quantità di luce solare sempre pari su entrambi i lati. “È come mantenere in equilibrio un penna su dito”, ha detto Sobeck. Con questo metodo potrebbero tenerlo fisso su una porzione di cielo per almeno due o tre mesi, prima di girarlo verso un’altra porzione di cielo.

Dato che Kepler ha bisogno di vedere un pianeta almeno tre volte in modo da accertarne la scoperta, questo frequente spostamento limiterà le osservazioni: potranno essere avvistati pianeti che impiegano da 20 a 30 giorni per orbitare intorno alle loro stelle madri. Tali pianeti sarebbero più vicini alla loro stella di quanto non lo sia Mercurio, che impiega 88 giorni per girare intorno al Sole. Ma perlomeno attorno alle nane rosse, quei pianeti così vicini si troverebbero comunque all’interno della cosiddetta zona abitabile – la regione intorno alla stella in cui le temperature permettono all’acqua liquida di esistere (come sulla Terra). 

Kepler ha portato a casa un bottino di 3500 possibili esopianeti. L’esistenza di alcuni di questi è confermata, altri sono ancora classificati come pianeti candidati, ma i risultati indicano una Via Lattea brulicante di mondi potenzialmente abitabili.