LO STUDIO CON IL SATELLITE XMM-NEWTON DELL’ESA

Buchi neri affamati e super veloci

Un gruppo di ricercatori inglesi è riuscito a calcolare la velocità di rotazione di una galassia, a 500 milioni di anni luce dalla Terra, mentre stava inglobando grandi quantità di materiale proveniente dal disco di accrescimento della galassia circostante. Future osservazioni renderanno i dati più precisi.

     30/07/2013
Crediti immagine: NASA/JPL-Caltech

Crediti immagine: NASA/JPL-Caltech

Un gruppo di astronomi è stato in grado di misurare la rotazione di buchi neri supermassicci usando un nuovo metodo, tale da permettere di studiare in modo ancora più approfondito il fenomeno che porta alla crescita delle galassie.

Gli scienziati della Durham University, nel Regno Unito, hanno osservato un buco nero, con una massa 10 milioni di volte quella del Sole, al centro di una galassia a spirale 500 milioni di anni luce dalla Terra, mentre si stava alimentando con il materiale presente nel disco circostante.

La distanza è stata calcolata osservando i raggi X e ultra violetti emessi durante “il pasto” del buco nero. Usando la distanza tra questo e il disco della galassia, i ricercatori sono stati in grado di calcolare lo “spin”, cioè il momento angolare del buco nero.

I buchi neri si trovano al centro di quasi tutte le galassie e possono produrre particelle incredibilmente calde, tanto da impedire ai gas intergalattici di raffreddarsi, e che sono alla base della formazione stellare. Gli scienziati non capiscono ancora perché i getti vengono espulsi nello spazio, ma gli esperti della Durham credono che il loro immenso potere e calore potrebbe essere legato alla rotazione del buco nero, molto difficile da misurare.

La rotazione del buco nero porta verso il centro il materiale presente nel disco di accrescimento e, ovviamente, più materiale viene inglobato più il buco nero gira veloce. È proprio la distanza con il disco che determina, quindi, la velocità di rotazione.

Gli scienziati, che hanno pubblicato la ricerca su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, hanno utilizzato immagini a raggi x ottenute dal satellite XMM-Newton dell’ESA.