Si è sempre creduto che il centro della nostra galassia fosse un luogo troppo inospitale per la formazione di un pianeta, a causa delle potenti forze gravitazionali causate dal buco nero supermassiccio che si trova da quelle parti, e delle frequenti esplosioni di supernove le cui radiazioni investono tutto ciò che le circonda. Ma gli astronomi dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics provano a smentire questa convinzione, con la recente scoperta di una nube d’idrogeno e di elio che precipita verso il centro della Via Lattea. Gli studiosi sostengono che questa nube sia quanto resta di un disco protoplanetario in orbita attorno ad una stella che non riusciamo a vedere, ma che sta precipitando verso il buco nero. “Questa sfortunata stella si è gettata verso il buco nero centrale” ha detto Ruth Murray-Clay, l’autore principale dello studio, pubblicato sulla rivista Nature, “Mentre la stella sopravviverà ancora a lungo, il suo disco proto-planetario non è così fortunato”.
La nuvola in questione era stata scoperta lo scorso anno con l’utilizzo del VLT da un team di astronomi che avevano ipotizzato, come origine della nube, la collisione di due stelle.
Ora Murray-Clay e il co-autore Avi Loeb danno una spiegazione diversa. Secondo gli scienziati la stella vagante proviene da un anello di stelle che orbita intorno al centro della galassia, ad una distanza di circa un decimo di anno luce. Questo anello contiene dozzine di altre giovani e brillanti stelle di tipo 0, che fanno pensare alla presenza anche di centinaia di stelle più deboli simili al Sole, che però non riusciamo a osservare. Una di queste stelle potrebbe quindi essere stata lanciata al centro della galassia insieme al suo disco. Ma altre stelle dell’anello potrebbero essere più fortunate e mantenere i loro dischi, e formare così pianeti nonostante l’ambiente ostile in cui si trovano.
Quanto alla stella vagante e alla sua nube, continuerà il suo viaggio verso le fauci del buco nero e mentre lo farà il suo disco si disintegrerà, lasciando solo un denso nucleo. Il gas rimanente sarà riscaldato dall’attrito a temperature abbastanza elevate fino diffondere raggi X.