
Ben 500 sono infatti ad oggi le DIB già note e le prime sono state scoperte 90 anni fa. Ma cosa produce queste particolari tracce sugli spettri delle stelle? “Nessuna delle bande interstellari diffuse è stata finora identificata con sicurezza con un elemento o una molecola specifica” dice Thomas Geballe, dell’Osservatorio Gemini, primo autore dell’articolo sulla scoperta pubblicato online sul sito della rivista Nature . “Questa è oggi una delle più grandi sfide nel nostro lavoro”. Una sfida che, almeno per ora, gli astrofisici dovranno cercare di vincere solo con le proprie forze. Ad oggi infatti, nessuno è stato in grado di riprodurre in laboratorio le DIB a causa della difficoltà di simulare le temperature e pressioni del gas nello spazio interstellare e nelle molteplici combinazioni della sua composizione chimica.
Tuttavia qualche idea, anche ragionevolmente attendibile, i ricercatori del team ce l’hanno. Ed è estremamente affascinante. “Le più recenti teorie ipotizzano che queste DIB potrebbero essere prodotte sia da catene molecolari di carbonio e idrogeno oppure da complesse catene di amminoacidi, ma non vi è ancora la certezza di ciò” dice Paco Najarro del Dipartimento di Astrofisica presso il centro di Astrobiologia di Madrid, che ha collaborato alla scoperta. Se questa teoria venisse confermata, da simili nubi interstellari ricche di amminoacidi potrebbero essere letteralmente ‘piovuti’ sui pianeti che popolano la zona centrale della nostra Galassia i ‘semi’ primordiali portatori della vita.






