
Già due anni fa, Christian Marois, ricercatore dello Herzberg Institute of Astrophysics di Victoria, in Canada, aveva osservato tre pianeti fratelli, enormi, almeno 5 volte più massicci del nostro Giove. Sembrava una versione copia del nostro Sistema Solare esterno, su scala più grande. E fin qui tutto abbastanza regolare.
Ora, Marois e colleghi hanno appena ottenuto l’immagine nel vicino infrarosso di un quarto pianeta, gigante come gli altri tre fratelli, ma molto più vicino alla stella rispetto a loro: orbita a 15 volte la distanza Terra-Sole, mentre il pianeta più esterno si trova a 70 volte la distanza Terra-Sole. La scoperta, effettuata grazie all’Osservatorio Keck, apre la crisi. Non solo è strana la disposizione. Non si capisce come si siano formati questi quattro pianeti. “Nessuno dei due meccanismi invocati per spiegare la formazione dei pianeti giaganti riesce, da solo, a spiegare le caratteristiche del sistema planetario”, scrivono i ricercatori sulla rivista Nature, “a meno di non considerare un fenomeno di migrazione dall’orbita”.
“Il modello principale, detto core accretion, spiega bene l’origine dei pianeti che orbitano a una distanza dalla loro stella pari a quella Saturno-Sole”, spiega Raffaele Gratton, planetologo dell’INAF-OA Padova. “Già, quindi, risulta difficile spiegare la posizione di Urano e Nettuno”.
“Secondo questo modello, i pianeti giganti si formano per accrescimento della polvere intorno a un nucleo, cui poi si aggrega il gas della pesante atmosfera. Ma i tre pianeti esterni sono troppo lontani dalla stella: i granelli di polvere si muovono troppo lentamente per avere il tempo di aggregarsi in un nucleo. A distanze come quelle osservate per il nuovo sistema, il modello non è certamente applicabile”, dice Gratton.
L’altro modello, detto instabilità del disco, chiama in causa il collasso di una nube di gas e polveri. Ma il quarto pianeta è abbastanza vicino alla sua stella perché il calore che arriva impedisca questo fenomeno. “Non è la prima vota che ci troviamo di fronte a questa incongruità: evidentemente, qualcosa nei nostri modelli va cambiato. Il difficile, ora, è capire cosa”, conclude Gratton.






