30 ANNI DOPO VOYAGER 2

Ritorno su Urano

I dati raccolti dalla sonda Voyager 2 più di trent’anni fa rivelano le peculiarità della magnetosfera di Urano. Un “incubo geometrico” che si accende e si spegne sotto i colpi del vento solare. Con il commento di Diego Turrini, planetologo dell'Inaf

     27/06/2017

Il fenomeno dell’aurora su Urano, visto da Voyager 2. L’immagine è una composita di scatti ripresi dalla sonda spaziale e due diverse osservazioni fatte con Hubble, di anello e aurore. Crediti: ESA/Hubble & NASA, L. Lamy/Observatoire de Paris.

Sono passati più di trent’anni da quando la sonda spaziale Voyager 2 ha superato Urano in direzione dello spazio profondo, inviando a Terra le prime immagini del gigante ghiacciato, ma secondo i ricercatori del Georgia Institute of Technology quegli scatti hanno ancora molto da dire agli astronomi: la magnetosfera di Urano si accende e si spegne mentre segue il movimento di rotazione del pianeta, si apre consentendo al vento solare di fluire nella magnetosfera per poi chiudersi e deviare il plasma lontano. I risultati sono appena stati pubblicati sul Journal of Geophysical Research: Space Physics.

Da noi le cose vanno diversamente. Il campo magnetico terrestre si muove e si deforma in risposta alle variazione del vento solare, ma si mantiene allineato all’asse di rotazione della Terra.

Urano, invece, giace e ruota su un fianco. Il suo campo magnetico è fuori centro e inclinato di 60 gradi rispetto all’asse del pianeta. Tutte caratteristiche che dispongono il campo magnetico in modo asimmetrico rispetto alla direzione del vento solare.

«Urano è un incubo geometrico», spiega Carol Paty del Georgia Tech, uno degli autori dello studio. «Il campo magnetico si muove molto rapidamente come un bambino che ruzzoli giù da una collina facendo le capriole. La magnetosfera del pianeta si apre e si chiude, per poi riaprirsi nel giro di poche ore».

I fenomeni di riconnessione magnetica sono piuttosto comuni in tutto il Sistema solare, e sono alla base dello straordinario spettacolo dell’aurora polare sulla Terra. Si tratta di fenomeni legati a flussi di particelle cariche di varia origine che, interagendo con potenti campi magnetici e convogliate in atmosfera, eccitano gli atomi dei gas (come ossigeno o azoto) provocando spettacolari esplosioni di luce.

Mentre le aurore di Giove e Saturno sono state ampiamente studiate, poco si sa ancora di quelle sul gigante ghiacciato Urano. È il telescopio spaziale Hubble, nel 2011, il primo a scattare un’immagine delle aurore del settimo pianeta. Ma andare a caccia di aurore a qualche miliardo di chilometri dalla Terra, com’è facile intuire, non è uno scherzo.

«Questo studio è un esempio perfetto del perché ci sia tanto desiderio, sia in Europa che negli Usa, di tornare a visitare Urano e, questa volta, di porsi in orbita attorno al pianeta per un periodo considerevolmente più lungo» commenta Diego Turrini, planetologo dell’Inaf a Roma. «Dai tempi della Voyager 2 abbiamo enormemente avanzato la nostra comprensione dei processi fisici che governano la vita di un pianeta e la sua interazione con l’ambiente che lo circonda. sviluppandone modelli sempre più dettagliati capaci di riempire i buchi lasciati dalla fugace occhiata di pochi giorni gettata dalla sonda. Il fatto di riuscire a modellare quello che gli stessi autori dello studio definiscono un “incubo geometrico” ne è la prova. La breve copertura temporale dei dati forniti dal flyby della Voyager 2, però, fa sì che spesso l’impresa di verificare simili modelli assomigli al tentativo di capire la trama di un film avendone visto solo uno spezzone di pochi istanti. Nonostante gli sforzi, non si ha mai la certezza che il finale sia poi quello predetto».

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