MERCURIO E VENERE SIMULTANEAMENTE

Il transito dei transiti? Fra oltre 67mila anni

Vedremo mai i due pianeti interni attraversare insieme il disco solare? Noi purtroppo no, ma alcuni nostri discendenti potranno assistere al rarissimo fenomeno. Il giorno esatto è il 26 luglio 69163, un venerdì. E a calcolarlo è stato Aldo Vitagliano, di Napoli. Media INAF lo ha intervistato

     06/05/2016
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Simulazione del transito simultaneo di Mercurio e Venere sul disco del Sole il 26 luglio del 69163. Mercurio è il piccolo puntino in alto a sinistra. Fonte: Journal of the British Astronomical Association, 2004

Il transito d’un pianeta sul disco solare, come quello di Mercurio di lunedì 9 maggio, è sempre un fenomeno affascinante: ci offre una prospettiva inusuale, senza mediazioni, sulle dinamiche dell’eclittica e sul nostro posto nel Sistema solare. Dalla Terra, di pianeti in transito sul Sole, ne possiamo osservare solo due. I due con orbita più interna rispetto alla nostra: Mercurio e Venere. Il primo con una frequenza media che si aggira attorno alla dozzina d’anni, il secondo molto più raro – l’ultima volta è stata tre anni fa, e per il prossimo dovremo attendere fino al 2117.

Ma accadrà mai di vederli transitare insieme? Due puntini in contemporanea sul disco solare? Ebbene, la risposta è sì. O meglio, non noi, ma i nostri discendenti sì: la rarissima circostanza celeste è in calendario per venerdì 26 luglio 69163. Vale a dire, fra oltre 671 secoli. E a determinarlo ci è riuscita per la prima volta, nel 2004, una coppia di scienziati fra i quali un italiano: il meteorologo belga Jean Meeus e Aldo Vitagliano, professore di chimica all’Università Federico II di Napoli.

Il 26 di luglio del 69163. Questa la data del prossimo transito simultaneo di Venere e Mercurio sul Sole. Professor Vitagliano, cos’è che rende questo evento astronomico così raro?

«Eh, sì, è un evento davvero raro. Si può stimare che si verifichi non più di 5 o 6 volte nell’arco di un milione di anni. Perché un pianeta ci appaia in transito sul disco solare, occorre che proprio al momento della congiunzione inferiore col Sole, il pianeta si trovi in prossimità di uno dei due punti (i “nodi”) nei quali la sua orbita interseca il piano dell’eclittica. La approssimativa coincidenza della congiunzione col passaggio da un nodo è già per conto suo un evento non troppo frequente (in 1000 anni abbiamo in media 165 transiti di Mercurio e 13 di Venere), ma per avere un transito simultaneo dei due pianeti occorre avere ben quattro coincidenze. Intanto quella dei nodi: i piani delle due orbite devono intersecare il piano dell’eclittica approssimativamente lungo la stessa retta. Poi, per entrambi, si deve avere la coincidenza della congiunzione col passaggio dal nodo. E infine le due congiunzioni devono verificarsi contemporaneamente, con una tolleranza di poche ore».

Al momento, in che situazione siamo?

«Attualmente i nodi delle orbite di Venere e Mercurio distano 28.3° lungo l’eclittica. I transiti di Mercurio possono verificarsi solo a circa un mese di distanza da quelli di Venere: prima metà di maggio e novembre per Mercurio, e prima metà di giugno e dicembre per Venere. Dunque la simultaneità è ovviamente preclusa. Ma le linee dei nodi delle orbite planetarie ruotano lentamente nel tempo, con velocità diverse, e quelle di Venere e Mercurio si stanno avvicinando, con un semiperiodo che oscilla fra i 50 e i 55 millenni (si sovrappongono ogni 50-55mila anni). La prossima sovrapposizione si avrà nel 13° millennio: vale a dire che, fra l’11° e il 15° millennio, i nodi dei due pianeti saranno abbastanza vicini da offrire la possibilità di un transito simultaneo. Ma per averlo si dovrebbero presentare anche le altre tre coincidenze prima citate, che però non si verificheranno. Occorrerà aspettare fino al successivo periodo favorevole, 55 millenni più tardi, e proprio verso la fine di questo periodo il lieto evento si verificherà. Davvero una lunga gestazione!»

Il professor Aldo Vitagliano (per gentile concessione)

Il professor Aldo Vitagliano (per gentile concessione)

La vostra pubblicazione risale al 2004. Prima di allora, nessuno era stato in grado di stabilire la data dell’evento. Perché? Nessuno ci aveva provato? O è anche un calcolo difficile?

«In un certo senso, entrambe le ragioni. Un sistema planetario è un sistema di N corpi mutuamente interagenti attraverso la gravità. Fino agli anni ‘80, il calcolo delle posizioni planetarie è stato condotto con metodi analitici o semianalitici (varianti moderne dei metodi di Laplace), esprimendo la soluzione delle equazioni del moto, non ricavabile in modo esatto, attraverso formule esplicite costituite da serie numeriche, somma di innumerevoli termini periodici. Il limite del metodo è che i suoi risultati sono affidabili solo entro un intervallo temporale limitato a pochi millenni. Oltre questo limite, la necessità di troncare le serie ad un numero finito di termini fa sì che la precisione si degradi rapidamente, per cui con questi metodi la previsione di un transito a così lungo termine diventerebbe estremamente difficile per non dire impossibile».

Poi cos’è accaduto?

«A partire dagli anni ‘70-‘80, lo sviluppo dei calcolatori elettronici ha reso praticabile l’utilizzo della integrazione numerica. Detta in breve, significa partire direttamente dalle forze (relativamente semplici) in gioco: una volta che siano conosciute posizioni e velocità di ogni pianeta ad un dato istante, il modello matematico delle forze gravitazionali consente di calcolare le accelerazioni subite da ciascuno, e si possono prevedere le nuove posizioni e velocità dopo un intervallo di tempo adeguatamente piccolo. La procedura può essere ripetuta passo-passo, così da propagare le orbite tanto a lungo quanto si vuole, con una accuratezza che si degrada nel tempo molto meno rapidamente di quanto non faccia con le formule esplicite dei metodi analitici. La mole di calcoli da effettuare è spaventosa, ma poco importa se si tratta di calcoli ripetitivi e se a farli è una macchina capace di milioni (oggi miliardi) di operazioni al secondo.

L’integrazione numerica è stata applicata dalla NASA-JPL al calcolo delle effemeridi a partire dalla fine degli anni ’60, sotto la spinta delle missioni spaziali, ed è stata soprattutto mirata ad ottenere una altissima precisione entro un intervallo di tempo relativamente breve. I modelli matematici del JPL erano (e sono) molto sofisticati, includendo fra l’altro gli effetti sul moto dovuti alla Relatività Generale. Sono pertanto molto “pesanti” per la mole di calcoli e poco adatti ad un utilizzo su lunghi intervalli temporali. Esiste però il modo di semplificarli, rinunziando alla accuratezza estrema a breve termine, ma preservando adeguatamente quella (comunque moderata) che si ha a lungo termine. Perciò direi che, a partire dalla fine degli anni ’80, la previsione di un transito a 100mila anni di distanza sarebbe stata possibile ed anche ragionevolmente semplice per qualsiasi ricercatore in possesso di un software adatto».

Però nessuno lo ha fatto…

«Già, quindi bisogna dire che nessuno ci ha pensato. E il motivo è semplice: i transiti sono rare curiosità geometriche, di natura prevalentemente estetica, che hanno presa sul pubblico e interessano soprattutto gli amatori dell’astronomia, ma non hanno oggi valenza scientifica se non come elegante esercizio di messa a punto dei metodi di calcolo. Si può concludere che, a chi disponeva degli strumenti adatti, questo tipo di impiego non interessava, mentre a chi sarebbe stato interessato mancavano gli strumenti adatti. La mia avventura, cominciata a metà degli anni ’90, è stata quella di costruire il ponte, ovvero lo strumento (il programma SOLEX) con il quale qualsiasi dilettante, con un po’ di competenza e abilità può divertirsi a scovare curiosità di questo tipo».

Visto che a noi è precluso, mettiamoci nei panni dei nostri discendenti del 692esimo secolo. Concretamente, cosa vedranno, coloro che avranno modo di assistere al rarissimo fenomeno?

«Ammesso che la nostra civiltà non sia riuscita ad autodistruggersi, vedranno (avendo il Polo Nord celeste rivolto verso l’alto) il dischetto nero di Venere attraversare il cerchio del Sole nella parte alta. E, quasi al termine dell’attraversamento, vedranno il puntino nero di Mercurio entrare nel Sole a poca distanza dal bordo superiore, per poi terminare il proprio transito quando Venere è già fuori da più di un’ora».

Questo nel lontano futuro. Avete fatto anche il calcolo al passato? Intendo dire, quand’è l’ultima volta che è accaduto?

«All’epoca ero arrivato a 280mila anni nel passato, senza scovarne alcuno. Ho trovato poi che il più recente transito simultaneo dovrebbe essere avvenuto – adottando la data calcolata col calendario Giuliano, e in base ad un Tempo uniforme atomico, non al T.U. basato sulla rotazione terrestre – il 17/9/-373172. Per un’epoca così lontana siamo al limite di prevedibilità dell’evento, ma dato che il transito previsto è centrale rispetto al disco del Sole ed è riprodotto anche usando modelli diversi, è probabile che si sia verificato davvero. Diciamo che dovendo scommetterci, me lo giocherei 2 contro 1».

Ma come mai ci si è cimentato proprio lei, che è un chimico, in questi calcoli astronomici?

«Non si tratta di un caso raro. L’astronomia è la sola scienza nella quale i dilettanti possano dare, e storicamente abbiano dato, dei contributi rilevanti. Basta citare Heinrich Olbers, che era un medico, William Herschel (un musicista) e Percival Lowell (un diplomatico). Un po’ meno comuni sono dei dilettanti che abbiano lavorato a tavolino anziché al telescopio (lo stesso Jean Meeus di professione era un meteorologo, ora è in pensione da molto tempo), ma anche qui una ragione c’è: malgrado il mio interesse amatoriale per l’astronomia, io sono un animale diurno, e perfino da ragazzo non sono mai stato capace, se non in casi eccezionali, di restare sveglio dopo le 23!»

Lunedì prossimo, per il transito di Mercurio, non ci sarà bisogno di restare in piedi fino a tarda notte… lei lo seguirà, anche se sarà un “banale” transito con un solo pianeta?

«Come per il transito di Venere dell’8 giugno 2004, andrò sul lastrico solare dell’edificio del Dipartimento di Chimica con un binocolone 20×60, sperando che il meteo sia favorevole e che i filtri solari costruiti per quella occasione siano ancora buoni. Allora fu un successo, goduto anche da molti colleghi e studenti. Spero che lo sia anche questa volta».

Per saperne di più:

  • Leggi sul Journal of the British Astronomical Association l’articolo “Simultaneous transits”, di J. Meeus & A. Vitagliano
  • Vai al sito web del programma di calcolo delle orbite Solex sviluppato da Aldo Vitagliano

Questi gli altri articoli di Media INAF dedicati al transito del 9 maggio: