È più brillante della neve fresca, nonostante disti dal Sole (considerando la distanza media di Saturno) circa un miliardo e 440 milioni di km, poiché riflette quasi il cento per cento della luce che incide sulla sua superficie, possiede un oceano sotterraneo salato ed è grande appena il quattro per cento della Terra. Encelado è uno dei satelliti di Saturno, non certo il più grande, ma forse il più promettente. Almeno per quanto riguarda di possibilità di trovare vita oltre la Terra, nel Sistema solare. Lo conferma un nuovo studio, pubblicato oggi su Science Advances, che ha fornito la prima prova di un significativo flusso di calore in uscita dal polo nord della luna, ribaltando le precedenti ipotesi secondo cui la perdita di calore era limitata al suo polo sud. Significa che Encelado emette molto più calore di quanto ci si aspetterebbe se fosse semplicemente un corpo passivo, e rafforza l’ipotesi che possa sostenere la vita.

Infografica sulla perdita di calore dalla superficie di Encelado. Nel nuovo studio pubblicato su Science Advances, grazie ai dati della sonda Cassini, i ricercatori hanno scoperto la fuoriuscita di calore dal polo nord di Encelado, finora ritenuto inattivo. Secondo i calcoli, la quantità di calore totale emesso da Encelado bilancerebbe il calore generato dall’azione mareale di Saturno, creando condizioni di stabilità a lungo termine. Crediti: University of Oxford/Nasa/Jpl-CalTech/Space Science Institute (Pia19656 and Pia11141)
Encelado è stato visitato dalle sonde Voyager negli anni ’80 e molto più approfonditamente dalla sonda Cassini nel 2005, le cui osservazioni rimangono tutt’ora la vista più ravvicinata del satellite. Ed è proprio analizzando i dati raccolti da Cassini che i ricercatori hanno notato qualcosa di inatteso. Ma cominciamo dall’inizio.
I mattoncini necessari per “costruire” la vita, su Encelado, ci sarebbero tutti: acqua liquida, calore e sostanze chimiche adeguate come fosforo e idrocarburi complessi. Affinché questo accada, però, occorre un ambiente favorevole, cioè stabile, in cui ci sia equilibrio fra perdite e guadagni di energia. Nel caso di Encelado, così lontano dal Sole, questo equilibrio è mantenuto dal riscaldamento mareale: la gravità di Saturno stira e comprime la luna mentre gli orbita intorno, generando calore al suo interno. Se Encelado non acquisisse abbastanza energia, la sua attività superficiale rallenterebbe o si fermerebbe e l’oceano finirebbe per congelarsi. D’altra parte, un eccesso di energia potrebbe causare un aumento dell’attività e della temperatura oceanica, alterandone l’ambiente.
Fino ad ora, le misurazioni dirette della perdita di calore da Encelado erano state effettuate solo al polo sud, dove sono stati trovati pennacchi di ghiaccio d’acqua e vapore che fuoriescono da profonde fessure nella superficie. Al contrario, il polo nord era considerato geologicamente inattivo. Nel nuovo studio, invece, confrontando le osservazioni di Cassini della regione polare nord in pieno inverno (2005) e in estate (2015) per misurare quanta energia fuoriesce dall’oceano sotterraneo, e modellando le temperature superficiali previste durante la notte polare, i ricercatori hanno scoperto che la superficie al polo nord era di circa 7 gradi più calda del previsto. Una discrepanza che può essere spiegata solo ipotizzando una fuoriuscita di calore dall’oceano sottostante. I ricercatori hanno misurato un flusso di calore di 46 ± 4 milliwatt per metro quadrato, che può sembrare piccolo, ma corrisponde a circa due terzi della perdita di calore (per unità di superficie) della crosta continentale terrestre.
Estendendo questo valore a tutto Encelado, la perdita di calore per conduzione (dall’acqua liquida al ghiaccio della crosta) ammonterebbe a circa 35 gigawatt: più o meno equivalente alla produzione di oltre 66 milioni di pannelli solari (con una potenza di 530 watt) o 10500 turbine eoliche (con una potenza di 3,4 megawatt). E se a questo si aggiunge il calore che, secondo le stime precedenti, fuoriesce dal polo sud attivo di Encelado, la perdita di calore totale sale a 54 gigawatt: una cifra che corrisponde quasi esattamente al calore immesso dalle forze di marea.
La conclusione, conti alla mano, sarebbe quindi che su Encelado c’è equilibrio tra produzione e perdita di calore, e pertanto l’oceano può rimanere liquido su scale temporali geologiche, offrendo un ambiente stabile in cui potrebbe potenzialmente emergere la vita. Secondo i ricercatori, il prossimo passo fondamentale sarà determinare se l’oceano di Encelado esiste da abbastanza tempo da consentire lo sviluppo della vita. Al momento, la sua età è ancora incerta. Non solo, lo studio ha anche dimostrato che i dati termici possono essere utilizzati per stimare in modo indipendente lo spessore della crosta di ghiaccio, un parametro importante per eventuali missioni future che prevedano di sondare l’oceano di Encelado, ad esempio utilizzando lander robotici o sommergibili. I risultati suggeriscono che il ghiaccio abbia uno spessore compreso tra 20 e 23 km al polo nord, con una media globale tra 25 e 28 km, leggermente più profondo rispetto alle stime precedenti ottenute utilizzando altre tecniche di telerilevamento e modellizzazione. E i ricercatori, chiaramente, si augurano che un successore di Cassini arrivi al più presto.
«Il nostro studio evidenzia la necessità di missioni a lungo termine verso mondi oceanici che potrebbero ospitare la vita», dice Georgina Miles, ricercatrice al Southwest Research Institute in visita al Dipartimento di Fisica dell’Università di Oxford, prima autrice dell’articolo. «E il fatto che i dati potrebbero non rivelare tutti i loro segreti fino a decenni dopo la loro acquisizione».
Per saperne di più:
- Leggi su Science Advances l’articolo “Endogenic heat at Enceladus’ north pole”, di Georgina Miles, Carly J. A. Howett, Francis Nimmo e Douglas J. Hemingway






