LO STUDIO SU NATURE COMMUNICATIONS RISOLVE IL MISTERO

Silverpit e l’asteroide caduto nel Mare del Nord

Gli abissi al largo della Gran Bretagna nascondono una cicatrice silenziosa ma eloquente, una testimonianza di un impatto cosmico che 43 milioni di anni fa ha lasciato segni indelebili nella geologia e nella memoria del pianeta. Dopo vent’anni, il mistero sull’origine del cratere è stato risolto grazie alle tecnologie moderne e agli scienziati dell’Università Heriot-Watt di Edimburgo

     24/09/2025

Immaginate un film in stile Armageddon o Deep Impact, con un asteroide che si schianta contro la superficie terrestre, generando onde gigantesche e devastazione in pochi minuti. Ora, dimenticate la finzione: più di 43 milioni di anni fa, qualcosa di simile è accaduto davvero nel Mare del Nord, di fronte alle coste del Regno Unito. La Terra, nella sua fase più turbolenta dell’Eocene medio, è stata colpita da un asteroide largo 160 metri che ha lasciato una cicatrice indelebile sotto il fondale marino britannico: il cratere Silverpit.

Immagine 3D della parte superiore del gesso, sotto il cratere Silverpit, che mostra faglie concentriche attorno al fossato a forma di ciambella e il sollevamento centrale, caratteristici dei crateri da impatto complessi. Crediti: Springer Nature

Situato a circa 80 miglia al largo dello Yorkshire e a 700 metri di profondità, Silverpit ha un diametro di tre chilometri e una zona di faglie concentriche larga 20 chilometri. Dalla sua scoperta nel 2002, il cratere è stato al centro di un acceso dibattito scientifico, con geologi divisi tra chi vedeva un cratere da impatto e chi lo riteneva il risultato di collassi del fondale o movimenti di sale nelle profondità marine. Nel 2009, la maggioranza dei geologi votò contro l’ipotesi dell’impatto, lasciando Silverpit sospeso tra mistero e speculazione per quasi vent’anni.

Oggi, grazie a un nuovo approccio multidisciplinare guidato dall’Università Heriot-Watt di Edimburgo e finanziato dal Natural Environment Research Council (Nerc), il mistero è stato finalmente risolto e i risultati della ricerca sono stati pubblicati su Nature Communications.

«Le nuove immagini sismiche ci hanno fornito una visione senza precedenti del cratere», racconta Uisdean Nicholson, sedimentologo presso la Scuola di Energia, Geoscienze, Infrastrutture e Società della Heriot-Watt. «L’analisi di campioni prelevati da un pozzo petrolifero nella zona ha rivelato cristalli di quarzo e feldspato “scioccati” alla stessa profondità del fondo del cratere. Siamo stati eccezionalmente fortunati a trovarli: è stato davvero come cercare un ago in un pagliaio. Questi cristalli dimostrano senza ombra di dubbio l’ipotesi dell’impatto del cratere, perché hanno una struttura che può essere creata solo da pressioni d’urto estreme».

Localizzazione geografica del cratere formatosi dopo l’impatto con un asteroide caduto nel Mare del Nord.
Crediti: Goran tek-en via Wikimedia Commons

Le prove petrografiche, unite a dati sismici 3D e simulazioni numeriche, dimostrano che l’evento è stato un impatto iperveloce, con un asteroide che ha colpito il fondale a un angolo basso proveniente da ovest. L’impatto ha generato un gigantesco getto di acqua e roccia alto un chilometro e mezzo, collassato poi rapidamente in mare, dando origine a uno tsunami di oltre 100 metri. Una scena cinematografica, seppur reale, che mostra come la violenza cosmica possa lasciare tracce indelebili anche milioni di anni dopo.

Il cratere Silverpit non è solo interessante per le sue dimensioni o per la spettacolarità dell’impatto. La sua eccezionale conservazione permette agli scienziati di studiare strutture da impatto iperveloce in un ambiente relativamente stabile. «Questi crateri sono rari. La Terra è un pianeta molto dinamico: la tettonica a placche e l’erosione distruggono quasi tutte le tracce della maggior parte di questi eventi», spiega Nicholson. «Esistono circa 200 crateri da impatto confermati sulla terraferma e solo circa 33 sono stati identificati sotto l’oceano». Il cratere conserva intatti picco centrale, fossato anulare, zona di danno e crateri secondari, offrendo un laboratorio naturale unico per comprendere i processi di formazione dei crateri sotto il mare.

Silverpit trova analogie con alcuni dei crateri più famosi della Terra. Il cratere Chicxulub in Messico, collegato all’estinzione dei dinosauri, mostra come un impatto possa avere conseguenze globali; il cratere Nadir, recentemente confermato al largo dell’Africa occidentale, testimonia come gli oceani custodiscano tracce di eventi cosmici altrimenti invisibili. «Possiamo utilizzare queste scoperte per comprendere come gli impatti degli asteroidi abbiano modellato il nostro pianeta nel corso della storia, nonché per prevedere cosa potrebbe accadere se in futuro dovessimo subire una collisione con un asteroide», aggiunge Nicholson.

Vista prospettica che mostra la forma della struttura mappata in tre dimensioni. Una vista prospettica della superficie calcarea superiore, guardando verso nord-est, che mostra il cratere centrale e gli anelli circostanti. I falsi colori indicano la profondità (rosso/giallo = poco profondo; blu/viola = profondo). Crediti: Springer Nature

Oltre a chiarire l’origine del cratere, lo studio offre dettagli tecnici unici. L’imaging sismico 3D ha permesso di osservare con precisione il rilievo centrale e le faglie radiali e concentriche, caratteristiche tipiche di un impatto a basso angolo. Il contesto geologico e biologico è altrettanto significativo: i dati biostratigrafici confermano che l’evento si è verificato durante l’Eocene medio, tra 43 e 46 milioni di anni fa, in una fase di cambiamenti climatici e geologici globali. Il rialzo centrale butterato e dalla sommità piatta del cratere potrebbe indicare una significativa volatilizzazione di gesso immediatamente dopo l’impatto, un dettaglio che offre spunti per comprendere le dinamiche dei materiali sotto pressioni estreme.

«È molto gratificante aver finalmente trovato questa soluzione miracolosa», dice Gareth Collins, professore all’Imperial College di Londra, partecipante al dibattito del 2009 e co-autore del nuovo studio per cui ha fornito i modelli numerici. «Ho sempre pensato che l’ipotesi dell’impatto fosse la spiegazione più semplice e coerente con le osservazioni. Ora possiamo dedicarci all’entusiasmante compito di utilizzare i nuovi straordinari dati per saperne di più su come gli impatti modellano i pianeti al di sotto della superficie, cosa davvero difficile da fare su altri pianeti».

Una finestra unica nel passato del nostro pianeta: per le sue caratteristiche straordinariamente conservate che permettono di studiare l’impatto di asteroidi in un contesto oceanico, Silverpit è a tutti gli effetti un laboratorio eccezionale per la scienza planetaria. La scoperta ricorda quanto sia fragile e dinamico il nostro pianeta, e quanto la storia della Terra sia costellata di eventi catastrofici che, seppur lontani nel tempo, hanno modellato la geologia e, indirettamente, la vita sul pianeta. Ogni cratere, ogni faglia e ogni grano di quarzo “scioccato” raccontano la storia di collisioni cosmiche, di onde gigantesche e di un mondo in costante trasformazione.

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