SU NATURE QUESTA SETTIMANA

Da una stella di neutroni un vento alla moviola

Un vento lento e denso è stato visto nei raggi X in corrispondenza della stella di neutroni Gx13+1, mentre quest’ultima si approvvigionava di materia al limite di Eddington. Il vento, rivelato dal telescopio Xrism, risulta oltre duecento volte più lento di quelli originati nelle vicinanze dei buchi neri supermassicci in condizioni simili, suggerendo che il meccanismo di formazione dei venti sia differente

     19/09/2025

Ci sono cose che a farle apposta non riescono, e poi di colpo accadono, quando meno ce lo aspettiamo. È un po’ quello che è successo a un gruppo internazionale di ricercatori che ha beccato la stella di neutroni Gx13+1 nell’atto di divorare il gas proveniente dal suo disco di accrescimento con particolare, smodata ingordigia. Scoprendo che i venti altamente energetici che si generano a seguito della caduta di materiale su una stella di questo tipo sono inaspettatamente diversi da quelli che vengono sprigionati attorno ai buchi neri supermassicci in condizioni simili. E portando a casa anche un bel rompicapo sul meccanismo di formazione di questi venti e sull’impatto che hanno sul gas nelle vicinanze.

La scoperta è avvenuta grazie al telescopio giapponese Xrism (si legge Crism, e sta per “X-ray Imaging and Spectroscopy Mission”), a cui contribuiscono anche Nasa ed Esa, ed è stata pubblicata questa settimana su Nature. Utilizzando lo strumento Resolve, i ricercatori della collaborazione Xrism hanno catturato l’emissione X prodotta da Gx13+1, con l’obiettivo di studiare le caratteristiche del gas che viene espulso durante il processo di accrescimento di materiale su una stella di neutroni.

Illustrazione che rappresenta il processo di accrescimento sulla stella di neutroni Gx13+1. I venti sprigionati nell’evento sono stati osservati nei raggi X dal telescopio Xrism. Crediti: Esa, Atg Europe

«Quando abbiamo visto per la prima volta la ricchezza di dettagli nei dati, abbiamo avuto la sensazione di assistere a un risultato rivoluzionario», afferma Matteo Guainazzi, scienziato dell’Esa del progetto Xrism. «Per molti di noi, è stata la realizzazione di un sogno che inseguivamo da decenni».

Le espulsioni di materiale nelle regioni centrali delle galassie sono particolarmente comuni attorno ai buchi neri supermassici in fase di attività. Nell’universo esistono infatti buchi neri quiescenti, che se ne stanno inerti al centro delle galassie che li ospitano, e buchi neri che stanno forsennatamente divorando gas, proveniente da una struttura denominata disco di accrescimento. Le fuoriuscite di gas e i venti altamente energetici rivestono un ruolo cruciale nell’evoluzione delle galassie, sopprimendo la formazione di nuovi astri (meccanismo di feedback negativo) oppure innescando, sotto certe condizioni, la formazione di nuovi (feedback positivo).

Finora si pensava che il meccanismo che genera i venti in prossimità dei buchi neri supermassicci in fase di accrescimento fosse lo stesso delle stelle di neutroni che pure divorano gas. Per capire qualcosa in più sulle espulsioni di materia che hanno luogo attorno ai buchi neri, i ricercatori hanno dunque deciso di scrutare con attenzione Gx13+1. Che ha il vantaggio di apparirci più brillante a causa della sua “vicinanza” al nostro pianeta – si trova nella nostra galassia.

Solo che qualche giorno prima dell’osservazione Gx13+1 ha cominciato a sfolgorare in modo inaspettato, raggiungendo o addirittura superando il cosiddetto limite di Eddington. Più materiale cade su un oggetto compatto come una stella di neutroni o un buco nero e più energia viene sprigionata. Questa energia esercita una pressione sul gas in caduta che si oppone all’effetto della gravità. Raggiunto il limite di Eddington, la pressione esercitata dalla radiazione risulta talmente elevata da spazzare via gran parte del gas, producendo dei venti altamente energetici. Dunque, in modo completamente imprevisto, Xrism si è ritrovato a osservare Gx13+1 in un momento di particolare interesse per gli scienziati, in quanto le condizioni fisiche che governano tale regime di accrescimento sono ancora poco comprese.

«Non avremmo potuto programmarlo nemmeno se ci avessimo provato», dice Chris Done, dell’Università di Durham nel Regno Unito, ricercatore che ha guidato lo studio. «Il sistema è passato da circa metà della sua massima emissione di radiazione a qualcosa di molto più intenso, creando un vento più denso di quanto avessimo mai visto prima».

Le condizioni dei venti osservati nei raggi X hanno spiazzato i ricercatori, perché decisamente lenti rispetto a quel che ci si sarebbe aspettato. Con una velocità di “solo” un milione di chilometri orari, i venti di Gx13+1 sono oltre duecento volte meno rapidi di quelli lanciati nei pressi dei buchi neri supermassicci che stanno accrescendo al limite di Eddington. Come spesso accade in astrofisica, eventi assolutamente impensabili per le scale del nostro pianeta diventano addirittura inezie se paragonati ad altri fenomeni celesti.

«Mi sorprende ancora quanto sia “lento” questo vento», continua Done, «e quanto sia denso. È come guardare il Sole attraverso un banco di nebbia che si avvicina. Tutto diventa più fievole quando la nebbia è fitta».

Non solo la lentezza, ma pure la densità di questo vento ha sorpreso i ricercatori. In passato Xrism aveva rivelato un vento sprigionato nei pressi di un buco nero supermassiccio che accresceva al limite di Eddington. Solo che questo vento era straordinariamente rapido, con una velocità pari a un terzo di quella della luce, e distribuito in regioni distinte. Mentre quello di Gx13+1 ha una struttura continua, non frastagliata in nubi.

«I venti sono completamente diversi, ma provengono da sistemi più o meno identici in termini di limite di Eddington. Quindi, se questi venti sono davvero alimentati solo dalla pressione di radiazione, perché sono diversi?», si domanda lo scienziato.

I ricercatori pensano che la temperatura del disco di accrescimento c’entri con la soluzione di questo rompicapo. I dischi che circondano le stelle di neutroni raggiungono temperature più alte rispetto a quelli che alimentano i buchi neri supermassicci. Di conseguenza, i dischi che circondano i buchi neri supermassicci producono molta radiazione ultravioletta, diversamente da quelli delle stelle di neutroni, che emettono molta luce nei raggi X. Gli scienziati pensano che la luce ultravioletta possa spingere la materia più efficientemente, spiegando perché i venti che si originano in prossimità dei buchi neri supermassicci siano più rapidi.

Se le cose stanno così, questa scoperta cambia il nostro modo di vedere l’interazione tra materia e radiazione in ambienti così estremi. Modificando e al contempo arricchendo la nostra visione dei meccanismi che governano l’evoluzione delle galassie.

«La risoluzione senza precedenti di Xrism ci consente di studiare questi oggetti e molti altri in modo molto più dettagliato, aprendo la strada ai telescopi a raggi X ad alta risoluzione di prossima generazione come NewAthena», conclude Camille Diez, ricercatrice dell’Esa.

Per saperne di più: