SAREBBERO UNA PROVA A FAVORE DELLA RADIAZIONE DI HAWKING

Neutrini dall’esplosione di buchi neri primordiali?

Neutrini ad altissima energia, come quello da 220 PeV intercettato nel 2023 da Km3NeT al largo di Portopalo, potrebbero essere emessi dall’evento esplosivo che segna la fine dei buchi neri primordiali, oggetti ipotetici che costituirebbero la maggior parte della materia oscura presente oggi nell'universo. Il suggestivo scenario è stato presentato ieri su Physical Review Letters da due fisici del Mit

     19/09/2025

Ricordate il “neutrino di Portopalo”? Quello con energia stimata attorno a 220 PeV intercettato nella notte fra il 12 e il 13 febbraio 2023 dai rivelatori sottomarini di Km3NeT, il Cubic Kilometre Neutrino Telescope, al largo di Portopalo di Capo Passero? È a tutt’oggi la singola particella elementare più energetica mai rilevata – circa trenta volte più di qualsiasi altro neutrino intercettato finora. Così energetica che ancora non s’è capito quale possa essere la sua origine. Si suggerì all’epoca la possibilità che neutrini simili vengano prodotti dell’interazione dei raggi cosmici ultra energetici con la radiazione cosmica di fondo. Ora però due ricercatori del Dipartimento di fisica del Mit, il Massachusetts Institute of Technology, hanno presentato uno scenario ancor più suggestivo: neutrini d’energia così elevata potrebbero essere emessi negli istanti immediatamente precedenti l’esplosione dei buchi neri – un’eventualità prevista da Stephen Hawking già negli anni Settanta. Nella fattispecie, di buchi neri primordiali: oggetti ipotetici che potrebbero costituire la maggior parte – se non la totalità – della materia oscura presente oggi nell’universo.

Rappresentazione artistica che mostra un minuscolo buco nero all’interno della nostra galassia, la Via Lattea (in alto a destra), che potrebbe emettere un’esplosione di particelle energetiche dovuta alla radiazione di Hawking, alcune delle quali sarebbero rilevabili sulla Terra (in basso a sinistra). Tali particelle ad altissima energia potrebbero spiegare rari fenomeni come il neutrino a più alta energia mai rilevato. Crediti: immagine di Toby Gleason-Kaiser realizzata con SpaceEngine @ Cosmographic Software LLC

Pubblicato ieri su Physical Review Letters, è uno scenario che, se mai trovasse conferma, farebbe del “neutrino di Portopalo” – insieme alla manciata di neutrini cosmici con energie superiori al PeV rilevati dal 2011 dall’esperimento IceCube, al Polo Sud – la prima prova osservativa della radiazione di Hawking, nonché un indizio a favore dell’esistenza dei buchi neri primordiali e – a cascata – dell’ipotesi che la materia oscura sia spiegabile almeno in parte proprio da questi buchi neri.

Per dirla con le parole della prima autrice dello studio, Alexandra Klipfel del Mit, «è uno scenario in cui tutto sembra quadrare, nel quale non solo si può dimostrare che la maggior parte della materia oscura è costituita da buchi neri primordiali, ma anche spiegare la produzione di questi neutrini ad alta energia con la fortunata circostanza dell’esplosione di un buco nero primordiale nelle nostre vicinanze. Qualcosa che possiamo ora cercare d’individuare e confermare con vari esperimenti».

In effetti di conferme ce n’è senz’altro bisogno, vista la quantità non piccola di condizionali sulla quale la suggestiva ipotesi si regge. Anzitutto, l’esistenza stessa dei buchi neri primordiali, oggetti che potrebbero essersi formati dal collasso di materia subatomica estremamente densa subito dopo il Big Bang. Come gli altri buchi neri, emettendo la cosiddetta radiazione di Hawking anche quelli primordiali dovrebbero perdere gradualmente massa. Poiché la temperatura di un buco nero è inversamente proporzionale alla sua massa, man mano che la perdono dovrebbero anche diventare più caldi. E alla fine dovrebbero esplodere, rilasciando particelle ad altissima energia fra le quali, appunto, i neutrini. Un processo lentissimo: in un buco nero di massa solare, calcolava Hawking nel suo articolo del 1974, richiederebbe un tempo molto superiore all’età dell’universo. Ma un piccolo buco nero primordiale potrebbe raggiungere la soglia critica in pochi miliardi di anni.

«Non abbiamo alcuna speranza di rilevare la radiazione di Hawking dai buchi neri astrofisici. Quindi, se vogliamo avere una speranza di vederla», dice infatti Klipfel, «i buchi neri primordiali più piccoli sono la nostra migliore possibilità».

Stando alle stime presentate nello studio, nel suo ultimo nanosecondo di vita, divenuto più piccolo di un atomo, un buco nero dovrebbe emettere un ultimo fiotto di particelle fra le quali circa cento miliardi di miliardi di neutrini con energie attorno ai 100 PeV – come quello intercettato nelle profondità del Mediterraneo al largo di Portopalo. Applicando un po’ di statistica ai pochissimi eventi – il neutrino di Km3NeT e quelli di IceCube – registrati nel corso degli ultimi 15 anni, e assumendo che i buchi neri primordiali esistano e costituiscano una frazione significativa della materia oscura, si può calcolare che nello spazio attorno a noi, dunque nella Via Lattea, per ogni “parsec cubo” – un cubo di spazio interstellare circa tre anni luce di lato – esplodano in media un migliaio di buchi neri primordiali all’anno.

Il problema maggiore, al momento, è la scarsissima quantità di dati disponibili. Per tentare una verifica dell’ipotesi presentata su Physical Review Letters occorre dunque in prima battuta attendere nuove rilevazioni di neutrini con energia superiore al petaelettronvolt, e individuarne la direzione di provenienza: stando allo scenario proposto, infatti, queste particelle dovrebbero arrivare preferibilmente dal centro galattico, dove si suppone che la densità della materia oscura sia più elevata.

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