
Federico Taddia, “Fuga dalla meraviglia. La geniale vita di Albert Einstein tra violini, bussole e calzini”.
Crediti: Mondadori
Di grande, grande, grande come lui c’è stato ‒ lo possiamo dire tranquillamente ‒ solamente lui. Uno che non si poteva pigliare, per com’era. Bambino capriccioso, a volte egoista, uno che la voleva sempre vinta (perdiana, stiamo parlando di un genio!). E che, al momento giusto, sapeva diventare un altro. In un attimo. Grande, grande, grande.
Parliamo di Albert Einstein, naturalmente.
E di un libro: Fuga dalla meraviglia. La geniale vita di Albert Einstein tra violini, bussole e calzini (Mondadori, euro 16,50) scritto da Federico Taddia. Non una biografia, non un libro di scienza, non una raccolta di aneddoti e citazioni ma «un tentativo di entrare nella testa e nel cuore di Albert […] per capire insieme quale sia la “grammatica” di Einstein».
L’incipit del volume, come quello di questo articolo, cita di sponda un celebre brano di Mina del 1971 spiegando come Albert Einstein sia il tipo umano che: si ama e poi si odia e poi si ama e poi si odia e poi si ama «in una continua, incessante, irrefrenabile giostra di sentimenti contrastanti». Perché non è facile stare accanto a un genio, sornione, affascinante, ribelle, svagato ma consapevole di essere il primo della classe, capace di vedere come semplici cose particolarmente complesse, e spiritoso, mai banale, spettinato, sdrucito, fico.
Federico Taddia consegna ai suoi lettori una lente prismatica con cui osservare da vicino uno dei protagonisti del Novecento, facendo ricorso a un registro linguistico e a una serie di trovate che trasformano il libro in un strumento multimediale.
C’è la playlist di Einstein per Spotify, con una selezione di Bach, Mozart, Beethoven, Schubert. Artisti che danno l’impressione di scoprire melodie sempre esistite nell’universo, più che comporle ex novo. Come la Sonata n. 1 in Sol maggiore per violino e pianoforte, op. 78 di Brahms, nella top selection di Albert.
C’è il debunking delle dichiarazioni attribuite ad Albert Einstein, con le citazioni letterali, le quasi citazioni, le false citazioni che però gli calzano a pennello.
Ci sono le fake news, come quella che lo vuole rimandato in matematica: «Non sono mai stato rimandato in matematica. Prima dei quindici anni padroneggiavo il calcolo differenziale e integrale».
C’è la Einstein fandom, con una serie di schede dedicate ai preferiti di Albert. Da Copernico a Galilei, da Keplero a Newton, di cui conservava un ritratto nella sua residenza estiva di Caputh (un villaggio a sud della città tedesca di Potsdam in una zona boscosa vicino al fiume Havel), appeso alla parete come fosse una rockstar. E poi Planck, Marie Curie, Maxwell, Faraday, Sigmund Freud e il Mahatma Gandhi.
C’è la gita su Google Maps per visitare l’edificio a due piani a forma di L, bianco, in cui Einstein ha vissuto fino alla sua morte. Qui, al 112 di Mercer Street a Princeton, New Jersey.
C’è spazio persino per gli haters di Marie Curie, che si scandalizzano per alcune lettere d’amore extra-matrimoniale pubblicate su una rivista di gossip. Albert le scrive così: «Se la feccia continua a occuparsi di lei, si limiti a non leggere quelle porcherie, ma le lasci ai rettili per cui sono state confezionate».
Scienza, ne abbiamo?
Non manca. E Federico Taddia cerca di raccontare quanto, quella fatta da Albert Einstein, sia tanto visionaria da richiedere un secolo prima di trovare conferma empirica. Nel 2015 con la prima osservazione di onde gravitazionali annunciata dai progetti LIGO e Virgo. E nel 2019 con la prima immagine di un buco nero diffusa dal progetto Event Horizon Telescope.
Come l’idea della relatività si sia affacciata alla mente di Einstein, è un mistero per lo stesso Albert: forse è dipeso dal fatto che «l’adulto normale non si arrovella sui problemi dello spazio e del tempo. Queste sono cose a cui ha pensato da bambino. Ma il mio sviluppo mentale fu così lento che cominciai a interrogarmi sullo spazio e il tempo soltanto quando ero già cresciuto. Di conseguenza, approfondii il problema assai più di quanto avrebbe fatto un qualsiasi bambino».
Gli scienziati, scrive Federico Taddia, sono persone che non si accontentano di ammirare i misteri della natura. Sono posseduti dall’incontrollabile desiderio di far scomparire la meraviglia, per avere una giustificazione plausibile e logica di quello che osservano. È la “fuga dalla meraviglia” che dà il titolo al libro: fuggire la meraviglia significa trovare una spiegazione per tutte le cose.
Ancora una cosa: le illustrazioni. L’illustratrice e autrice riminese Marianna Balducci ha sperimentato in questo libro una combinazione di strumenti tradizionali e digitali e, in particolare, tra disegno e fotografia che rendono il racconto di Federico Taddia ancora più fantasmagorico.






