TRASCRIZIONE DELL’OTTAVA PUNTATA DI “HOUSTON”

Juice, due settimane per aprire l’antenna

Lanciato nell’aprile 2023, Juice raggiungerà Giove e le sue lune ghiacciate nel 2031. Pochi giorni dopo il lancio, un’operazione imprescindibile e delicatissima per i suoi scopi scientifici: aprire la lunghissima antenna radar Rime, ripiegata su sé stessa in quattro segmenti su entrambi i lati del satellite. L’antenna, però, è bloccata su uno dei due lati e non vuol saperne di aprirsi. Bisogna scaldarla? Bisogna procedere con le maniere forti, o è sufficiente scuotere un po’ il veicolo spaziale? Due settimane per decidere e provarci, rischiando di compromettere uno degli strumenti di punta della missione

     13/08/2025

Quella che segue è la trascrizione dell’ottavo episodio di Houston, un podcast di Media Inaf che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali. Ideato, realizzato e condotto da Valentina Guglielmo, quest’episodio – pubblicato per la prima volta il primo settembre 2024  – è dedicato alla sonda Juice dell’Esa e ha come ospite Ignacio Tanco, ingegnere dell’Esa e space operations manager di Juice. Potete ascoltarlo su Apple Podcasts, su Spotify e su YouTube. Oppure direttamente da qui.


Crediti per l‘immagine di Juice: Esa/Atg Medialab

Ignacio Tanco
And my stomach turned when I saw it because the antenna was twisting every which way. And I thought, “it is broken”, but actually no, it stacked into place immediately

[inizio musica] 

Valentina Guglielmo
Juice, il Jupiter Icy Moons Explorer, è una delle missioni più recenti dell’agenzia spaziale europea. Raggiungerà il suo obiettivo, il pianeta Giove e i suoi satelliti ghiacciati Europa, Ganimede e Callisto, nel luglio 2031, dopo otto anni di viaggio e diversi sorvoli programmati della Terra – e di altri pianeti – dei quali sfrutterà il campo gravitazionale come una fionda per accelerare e cambiare direzione. Manovre come quella compiuta con successo alla fine del mese scorso, quando Juice si è esibito in un doppio flyby gravitazionale senza precedenti della Luna, il 19 agosto, e della Terra, 24 ore dopo – per guadagnare la spinta necessaria e spingersi verso Venere.

Recente, innovativa, promettente: tutti aggettivi che si addicono alla missione dell’Esa diretta verso Giove, ma che le possiamo attribuire solo perché, poco dopo il lancio, il team di Juice è riuscito a superare un problema che rischiava di comprometterne la vita scientifica.

Cosa sia successo ce lo racconta Ignacio Tanco, ingegnere dell’Esa e space operations manager di Juice, che ho incontrato durante il mio viaggio al centro di controllo dell’Esa a Darmstadt, lo scorso inverno.

Io sono Valentina Guglielmo è questo è un podcast di Media INAF che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali. Si chiama Houston.

[fine musica]

[Audio del countdown e lancio di Juice da un video dell’Esa]

[Servizio video post lancio di MediaInaf Tv con la ricercatrice Alice Lucchetti, inviata sul posto]
“Il lancio è andato benissimo, abbiamo lanciato Juice. Juice è in rotta verso Giove e i suoi satelliti ghiacciati. Siamo contentissimi, io sono super emozionata, è stata un’emozione fortissima vedere il lancio. L’Ariane che partiva ha fatto una luce accecante, non ce lo aspettavamo. Adesso l’ultimo stadio si è separato. Aspettiamo 50 minuti dopo il lancio che i pannelli solari si aprano, però è andato tutto per il meglio. Bellissimo. Siamo contentissimi.”

Valentina Guglielmo
Grande entusiasmo, dunque, per il lancio della missione Juice, avvenuto il 14 aprile 2023 dallo spazioporto europeo a Kourou, in Guyana francese. A parlare è Alice Lucchetti dell’Inaf di Padova, che si trovava lì per assistere al lancio. Quello di Juice è stato l’ultimo lancio dell’Esa con un razzo Ariane 5 che, dopo un buco di circa un anno, è finalmente stato sostituito dal nuovo lanciatore europeo Ariane 6, inaugurato con il suo primo lancio di prova il 9 luglio scorso.

Grande entusiasmo, dicevamo, ma con data di scadenza. Alla fine della cosiddetta LEOP – la launch and early orbit phase – la prima fase di volo in cui qualunque missione si dedica all’accensione e al controllo di tutti i sistemi necessari alla sua sopravvivenza, sono cominciati i problemi. UN problema in particolare. Sentiamo Tanco.

Ignacio Tanco
I primi giorni sono sempre i più critici in cui dobbiamo prendere controllo del satellite, assicurarci che il power è giusto, che riceviamo il power dei pannelli solari, che le batterie funzionano bene, che le comunicazioni sono stabili, che il controllo dell’assetto funziona bene. Quindi durante i primi due o tre giorni tutte le operazioni sono focalizzate su essere sicuri che il satellite possa sopravvivere per i mesi successivi. E questo va sempre in avanti di qualsiasi considerazione per gli strumenti scientifici, perché bisogna avere questo prima che uno può cominciare a avere quello che chiamiamo il commissioning, la fase di commissioning, per vedere se tutti gli strumenti sono in grado di operare per fare… to reach their ultimate science objectives, grazie.

[Audio dal video dell’Esa sul lancio e il deployment dei pannelli solari]
“So we’ve just reached the second critical milestone in this Leop, which is the deployment of the solar arrays…just a couple of minutes ago, the last flames that are cutting the knives of the cables that hold the solar arrays have been fired, have been fired successfully…”

Valentina Guglielmo
Le operazioni della fase LEOP cominciano appena dopo il lancio con l’apertura dei dieci pannelli solari sui due lati dello spacecraft, che si dispiegano come fossero degli origami fino a coprire un’area complessiva di 85 metri quadrati. Una manovra puntuale e di successo, già conclusa poco più di un’ora dopo il lancio, come si sente in questa breve comunicazione di un inviato dell’Esa che seguiva le operazioni al centro di controllo di Juice, a Darmstadt. È poi proseguita senza intoppi anche la sequenza di operazioni successiva programmata durante questa fase di orbita bassa, la Leop appunto.

Dopo la LEOP, durata complessivamente qualche giorno, è cominciato il collaudo degli strumenti scientifici, quello che in gergo si chiama commissioning. Sono dieci gli strumenti scientifici a bordo della missione Juice, che dopo il suo avvicinamento di otto anni serviranno per esplorare Giove e le sue lune ghiacciate, alla ricerca di condizioni favorevoli allo sviluppo della vita. Ma com’è fatto questo satellite?

[musica]

Il satellite Juice è formato da un corpo principale di forma approssimativamente cuboidale, con due grandi “ali” di pannelli solari disposti a croce su entrambi i lati, diversi bracci estensibili e antenne, e una grande antenna a forma di piatto su una faccia. Quando si trovava all’interno della stiva del razzo Ariane 5 che l’ha lanciato, le sue dimensioni erano di circa 4x3x4 metri. Una volta aperto, nello spazio, misura invece circa 17x27x14 metri. Questa differenza è dovuta, innanzitutto, ai pannelli solari – che con le sue 23 mila 500 celle costituiscono il più grande array mai costruito per un veicolo spaziale interplanetario, e si estendono appunto per 27 m da punta a punta. Coprono una superficie che, sulla Terra, sarebbe sufficiente ad alimentare un’intera strada di case. All’enorme distanza dal Sole che raggiungerà Juice quando sarà in orbita attorno a Giove, però, l’insolazione sarà così debole che i pannelli riusciranno a produrre un’energia di appena 850 Watt, sufficiente ad alimentare i suoi strumenti scientifici ed equivalente, in pratica, a quella che serve per alimentare un forno a microonde. La poca radiazione solare che riceverà Juice lo porterà anche a dover sopportare temperature estreme; per questo lo spacecraft è avvolto da 500 coperte di isolamento termico, che lo proteggeranno dal freddo, ma anche dal caldo – quando eseguirà la manovra di assistenza gravitazionale attorno a Venere il prossimo anno.

Juice, lo dicevamo, è dotato di 10 strumenti scientifici all’avanguardia più un esperimento che utilizza il sistema di telecomunicazione del veicolo spaziale con gli strumenti a terra. Fra i dieci strumenti di bordo, una lunghissima antenna radar, chiamata Rime, e progettata dall’agenzia spaziale italiana in collaborazione con il JPL della NASA. È un radar capace di vedere al di sotto delle superfici ghiacciate dei satelliti di Giove, fino a circa 9km di profondità e con una risoluzione fino a 30 metri.

[fine musica]

Ignacio Tanco
Juice è una missione che per certi versi è quasi l’equivalente moderno di Rosetta, una delle nostre missioni più importanti. L’obiettivo è fare l’esplorazione del sistema gioviano, in particolare individuare se le tre lune galileiane esterne, quindi Europa, Ganimide e Calisto, hanno il potenziale di avere un ambiente che potrebbe mantenere la vita. Uno dei punti più importanti per questo è vedere se sotto la coperta di ghiaccio che si sa che esiste, in particolare sopra Europa e sopra Ganimede, se sotto questa superficie di ghiaccio c’è l’acqua. Per fare questo abbiamo diversi esperimenti, però uno dei più importanti che abbiamo su Juice è un radar che si chiama Rime. Questo radar ha la capacità di attraversare uno spessore di più di 9 chilometri di ghiaccio. La prima stima è che potrebbe essere meno di così, il punto in cui si trova l’interfaccia tra il ghiaccio e questo oceano sotto la superficie. Quest’antenna Rime era critica per la missione, per ottenere i risultati scientifici. Dall’inizio sapevamo che era un elemento un po’ delicato: è un’antenna che è molto lunga, oltre 18 metri di lunghezza, ed è molto sottile, molto leggera. È praticamente un tubo vuoto di un materiale flessibile, praticamente composite material, non saprei dirlo in italiano. È un materiale che è molto suscettibile a cambi di temperatura, all’illuminazione per esempio, quindi dall’inizio il responsabile scientifico di questo strumento spingeva tanto già prima del lancio per farci fare il deployment durante i primi giorni di operazioni.

Valentina Guglielmo
Il primo della lista nella fase di commissioning degli strumenti scientifici – ormai l’avrete capito – fu proprio Rime. Questo perché l’antenna non solo è indispensabile per raggiungere gli obiettivi scientifici della missione, ma è anche estremamente delicata, e il responsabile scientifico dello strumento spingeva affinché la sua apertura avvenisse il prima possibile. Addirittura, chiedeva che si potesse cominciare il commissioning durante la LEOP, una cosa impensabile per chi Juice doveva farlo volare e sopravvivere.

Ignacio Tanco
Quindi noi resistevamo a questa spinta da parte del direttorato scientifico che voleva che facessimo questo deployment durante questa fase iniziale di operazioni che chiamiamo LEOP. Noi dicevamo “no, perché non è collegata alla sopravvivenza del satellite, quindi noi ci focalizziamo su questo e daremo priorità al deployment del Rime una volta che abbiamo finito con il LEOP”. Alla fine, è stato discusso, è stato agreed, però lui faceva tante volte lo statement, diceva che questa antenna se non fosse dispiegata molto velocemente, nel giro di pochi giorni, si sarebbe messa a rischio la sopravvivenza di questo strumento; quindi lo avevamo messo come priorità: abbiamo fatto il lancio, è andato tutto bene, Juice era sano e a quel punto siamo entrati in commissioning e abbiamo fatto come prima attività il deployment del Rime.

Ignacio Tanco
Allora, questa antenna era fatta…mmm…magari passo all’inglese perché è una descrizione un po’ tecnica…it was in four sections, so four pieces that were connected…

[doppiaggio]
L’antenna è divisa in due bracci ciascuno composto da quattro sezioni, ripiegate e collegate, perché essendo lunga in totale 16 metri non ci stava per intero nell’ogiva del razzo Ariane 5 che ha lanciato Juice. Di questi otto segmenti, tre dovevano svolgersi su un lato, tre sull’altro lato e due dovevano rimanere ancorati al veicolo spaziale. Durante il lancio, i tre segmenti dispiegabili erano ripiegati sul segmento fisso e tenuti in posizione da due staffe – e ogni sezione era trattenuta da un piccolo perno metallico che aveva in cima una molla.

Una volta nello spazio, degli speciali dispositivi chiamati attuatori non esplosivi, o NEA, sarebbero stati attivati mediante un comando specifico dal centro di controllo a Darmstadt, avrebbero fatto ritrarre il perno e liberato la molla, che avrebbe spinto fuori una sezione per volta, che si si sarebbe aperta e bloccata in posizione semplicemente allineandosi.

Valentina Guglielmo
Il dispiegamento dell’antenna Rime potete immaginarlo un po’ come l’apertura di un bastoncino da trekking, di quelli in carbonio che si ripiegano in tre parti tenute insieme da una cordicina interna. Come l’antenna di Juice, una volta estese, le varie sezioni del bastoncino si bloccano in posizione in maniera autonoma per il solo fatto di essere allineate.

L’operazione di dispiegamento di Rime è cominciata il 17 aprile 2023, appena 3 giorni dopo il lancio, dopo che Juice aveva già percorso più di un milione e mezzo di chilometri dalla Terra.

La prima fase si è svolta senza problemi: la telecamera e gli accelerometri di bordo hanno visto aprirsi il primo segmento, e dal centro di controllo è stato subito dato il comando successivo, per attivare il secondo attuatore, quello che prima abbiamo chiamato NEA.

Ci sono voluti alcuni secondi per scaricare l’immagine scattata dalla telecamera. Mostrava che il segmento di uno dei due lati dell’antenna era ancora nella sua configurazione ripiegata. Operazione fallita. Le potete trovare in rete le immagini raccolte fra il 17 e il 21 aprile dall’agenzia spaziale europea, che documentano il tentativo di dispiegare una delle due metà dell’antenna. Si vede che l’estensione raggiunta al termine della prima fase, quando si è presentato il problema, è circa un terzo della lunghezza prevista.

Ignacio Tanco
One of the parts deployed nominally, but the other one …

[doppiaggio]
Una delle parti si è dispiegata nominalmente, ma l’altra è rimasta dov’era, e non è stata spinta fuori dalla molla; a quel punto ci siamo dovuti fermare immediatamente perché eravamo in una situazione di emergenza. Abbiamo indetto una riunione dove abbiamo coinvolto non solo gli scienziati di Rime, ma anche tutti quelli che avevano fabbricato l’antenna. Quando ci si trova in situazioni come questa, la prima cosa da fare è cercare di vagliare tutti i possibili scenari e identificare tutte le possibili cause, ordinandole secondo probabilità. E poi pensare a cosa si può fare per aggirarle o risolverle. Ricordo che a quei tempi eravamo costantemente sotto pressione. Sentivamo di dover fare qualcosa, perché molte persone cercavano di spingerci a fare una qualunque cosa, e questo in verità è un problema: se non si segue un approccio molto sistematico, ci sono probabilità non trascurabili che, facendo una qualunque cosa, si peggiori ulteriormente un problema già esistente; in gergo si chiama “propagazione del guasto”, e succede quando cercando di risolvere un problema andando un po’ a caso, per tentativi, si finisce per rompere qualcos’altro. Si prende a pugni il televisore cercando di farlo funzionare e lo si rompe ancora di più. E non faccio questo esempio a caso, perché fra i suggerimenti assurdi che abbiamo ricevuto c’era anche quello di scuotere e battere sul veicolo spaziale.

Valentina Guglielmo
Calma e gesso. Analizziamo insieme la condizione in cui si trovava Juice in quei giorni e passiamo in rassegna le opzioni vagliate dall’agenzia spaziale europea, da Airbus e SpaceTech, le aziende che hanno costruito Juice e Rime. Era chiaro che il colpevole del malfunzionamento fosse un piccolo perno rimasto incastrato, che impediva il rilascio dalla staffa di montaggio.

Una delle prime cose che il team ha notato riguardo la posizione dello spacecraft fu che, al momento dell’accensione del secondo attuatore, la staffa si trovava a -80°C. Il perno poteva essere rimasto bloccato a causa di un restringimento metallico dovuto alle basse temperature, oppure poteva essersi formato del ghiaccio. E poiché non ci sono riscaldatori sulla navicella vicino alle staffe di supporto di Rime, rimuovere il ghiaccio era possibile solo ruotando la navicella rivolgendo l’antenna al Sole. Rischiando così di scaldare anche altre componenti sullo stesso lato, progettate invece per rimanere fredde. Dopo alcuni giorni di valutazione, si decise comunque di provare a ruotare gradualmente Juice in modo da riscaldare un po’ il segmento. L’antenna però non fece nemmeno il cenno di liberarsi, sciogliendo ogni dubbio sul fatto che il responsabile del blocco fosse la formazione di ghiaccio o il congelamento della staffa di metallo in cui si trovava il perno.

A questo punto, rimaneva solamente l’ipotesi che il perno fosse incastrato meccanicamente. Doveva trattarsi di una questione di pochi millimetri, che poteva essere risolta – pensava il team di Juice – scuotendo un po’ la navicella spaziale. Una manovra delicata, perché rischiava comunque di danneggiare qualcos’altro, se gli scossoni impartiti fossero stati troppo violenti.

Ignacio Tanco
So, we had different methods that we were going to try. Some were using …

[doppiaggio]
C’erano diversi metodi che potevamo tentare. Alcuni utilizzavano i propulsori del motore principale, quelli che usiamo per le manovre più importanti, come l’inserimento nell’orbita di Giove, o che abbiamo usato un paio di settimane fa, ad esempio, per una manovra che ci riporterà sulla Terra nell’agosto del prossimo anno; oppure, era possibile usare una combinazione di propulsori più piccoli, che normalmente utilizziamo solo per il controllo dell’altitudine. Questi però avremmo dovuto usarli in una sequenza di operazioni che non solo non era mai stata usata prima (nemmeno durante i test a terra), ma che era esplicitamente sconsigliata nella documentazione che ci aveva fornito l’azienda. Quindi ci siamo detti: “Ragazzi, stiamo andando in una direzione chiaramente pericolosa”. Era chiaro che avremmo preso dei rischi molto grandi e non potevamo prevedere che cosa sarebbe accaduto al veicolo spaziale.

Valentina Guglielmo
Una piccola precisazione. Quando Ignacio Tanco parla della manovra – lui dice – eseguita un paio di settimane fa e che riporterà Juice sulla Terra nell’agosto del prossimo anno, i riferimenti temporali riguardano il momento dell’intervista, e quindi l’inizio di dicembre 2023. Mentre il ritorno di Juice sulla Terra, quello che lui dice essere previsto in agosto, è proprio quello avvenuto una decina di giorni fa, a cui abbiamo accennato all’inizio dell’episodio. Ne parleremo di nuovo alla fine. Tornando invece ai tentativi di cui parlava Tanco si decise – alla fine – di procedere con cautela, definendo un treno di impulsi di alcuni propulsori specificamente programmati per scuotere l’antenna Rime, e nient’altro. Impulsi che però causarono solo piccoli movimenti della staffa e, di nuovo, nulla di fatto.

Ignacio Tanco
For a while, we focused a lot on the thrusters, but it was clear …

[doppiaggio]
Per un po’ ci siamo concentrati sull’uso dei propulsori, ma ben presto ci è stato chiaro che non sarebbero stati efficienti. Il veicolo spaziale è massiccio, pesava più di sei tonnellate al lancio ed è probabilmente una delle sonde interplanetarie più pesanti mai costruite. Quindi, tentare di smuoverla con dei piccoli propulsori è un po’ come cercare di scuotere un autobus con una mano: non produce un grande effetto. Poi però c’è stata una svolta importante quando il produttore del meccanismo di dispiegamento di Rime è riuscito a riprodurre in laboratorio la situazione in cui il perno non si estraeva.

Valentina Guglielmo
L’azienda produttrice dell’antenna Rime, la tedesca SpaceTech, riesumando un modello di antenna che era stato usato per i test a terra, riuscì a riprodurre in laboratorio l’anomalia del dispiegamento e a eseguire alcune prove per liberare il perno. La soluzione, un po’ rischiosa, che proponevano al team dell’Esa era di provare ad azionare l’attuatore – quello che prima abbiamo chiamato NEA – più vicino a quello bloccato, in modo da aprire contemporaneamente due segmenti, quello incastrato e il successivo, e sperare che lo scossone derivante dall’apertura liberasse il perno. Il tutto, però, non prima di aver scaldato un po’ la sezione di antenna al Sole per aumentare la probabilità di successo.

Sono state quindi organizzate otto rotazioni nell’arco di due settimane per illuminare gradualmente la staffa, esponendo ogni volta la superficie per un tempo maggiore in modo da comprendere i limiti di questa operazione, e fermarsi al primo cenno di surriscaldamento.

Alla fine, il 12 Maggio 2023, la staffa è stata esposta alla luce del Sole per il tempo massimo consentito, cioè 73 minuti, ed è stata poi riportata nella posizione iniziale in totale ombra per evitare qualunque gradiente termico prima di cominciare il tentativo finale di liberare Rime.

Ignacio Tanco
We were very careful about this because the initial analysis…

[doppiaggio]
Siamo stati molto prudenti prima di prendere questa decisione perché i test in laboratorio mostravano che questo tipo di dispiegamento era incontrollato, dal momento che si sarebbero aperte diverse sezioni contemporaneamente; e in alcune simulazioni questo portava all’aggrovigliamento dell’antenna, e al rischio concreto di romperla. Siamo stati molto attenti a valutare se ne valesse la pena, anche se sapevamo che l’alternativa era che l’antenna rimanesse bloccata e non funzionasse affatto. Alla fine abbiamo ottenuto il via libera per provarci. La prima cosa da fare era aumentare la temperatura della staffa posteriore e già in questo passaggio abbiamo violato alcuni dei vincoli operativi sul veicolo spaziale, perché abbiamo dovuto esporre la staffa al Sole ad angoli di illuminazione proibiti, perché avrebbero potuto surriscaldare alcune parti sensibili di Juice. Ma gli ingegneri termici hanno monitorato in diretta le temperature e noi abbiamo agito in modo progressivo: la prima volta illuminando per un certo numero di minuti, poi, il giorno successivo, dopo aver controllato che le temperature fossero a posto prolungavamo l’illuminazione di 10 minuti e così via. Abbiamo continuato fino a raggiungere i 70 minuti di esposizione al Sole e i 20 gradi celsius sulla staffa posteriore; a quel punto abbiamo azionato immediatamente l’ultimo attuatore per liberare il perno rimasto sull’altra sezione dell’antenna e ha funzionato. C’è un video molto bello della sequenza di dispiegamento di Rime che si può trovare ancora online, e mi si è rivoltato lo stomaco quando l’ho visto perché era completamente, voglio dire, l’antenna si stava torcendo in tutti i modi e io ho pensato “cavoli, l’abbiamo rotta”, ma no, in realtà si è bloccata in posizione immediatamente. Quindi sì, l’antenna ora è completamente dispiegata, è al suo posto e l’abbiamo vista in alcune immagini anche la settimana scorsa durante una manovra e sembra stia tenendo bene. Quindi, ora siamo in viaggio verso Giove.

Valentina Guglielmo
La sequenza di dispiegamento delle antenne, come avrete capito, è stata visionata grazie alle immagini in sequenza scattate da Juice stesso durante le operazioni, e non solamente monitorata attraverso i dati di telemetria dello spacecraft come spesso abbiamo sentito raccontare in questo podcast. Queste camere di monitoraggio non sono una novità, negli ultimi anni molte sonde ne sono dotate. Le ha, ad esempio, anche la sonda BepiColombo, lanciata nel 2018 e diretta verso Mercurio. Si tratta di telecamere posizionate in modo da osservare unicamente il corpo del satellite e in particolare le sue antenne e appendici. Nel caso di Juice, le telecamere sono due, e l’aspetto più innovativo è il fatto che le immagini raccolte vengono processate e inviate sulla Terra molto velocemente, consentendo così di seguire le operazioni quasi in diretta, e di vedere come sono andate entro pochi minuti dall’esecuzione dei comandi.

[inizio musica]

Valentina Guglielmo
Il 19 e 20 agosto scorsi la sonda Juice è tornata a far visita alla Terra per eseguire due manovre senza precedenti: il primo flyby del sistema Luna-Terra, chiamato Lega (Lunar-Earth Gravity Assist), e il primo flyby gravitazionale doppio. Una manovra che le ha permesso di cambiare velocità e direzione, preparandola al suo prossimo sorvolo ravvicinato di Venere nell’agosto del 2025, ma che avrebbe potuto – se qualcosa non fosse andato bene – deviare la sonda in modo irreversibile. Quando una navicella come Juice passa vicino alla Terra, oltre a mantenere il contatto con il centro di controllo missione dell’Esa, può essere osservata da telescopi e strumenti, da Terra e dallo spazio, come fosse un corpo celeste qualunque. E proprio di un telescopio in orbita attorno alla terra parleremo nel prossimo episodio. Si chiama XMM-Newton, non è fra quelli che ha guardato Juice, ma ha fatto la storia dell’astronomia osservando l’universo nei raggi X. Alcuni anni fa, però, è sparito per ben tre giorni interrompendo ogni comunicazione con la terra, e rischiando di essere perso per sempre. Io sono Valentina Guglielmo e vi aspetto nel prossimo episodio di Houston, un podcast di Media INAF che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali.

[fine musica]


Ascolta Houston sul canale YouTube di MediaInaf Tv: