Quella che segue è la trascrizione del sesto episodio di Houston, un podcast di Media Inaf che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali. Ideato, realizzato e condotto da Valentina Guglielmo, quest’episodio – pubblicato per la prima volta il primo luglio 2024 – è dedicato all’orbiter Mars Express dell’Esa e ha come ospiti il fisico Paolo Ferri e l’ingegnere aerospaziale Andrea Accomazzo. Potete ascoltarlo su Apple Podcasts, su Spotify e su YouTube. Oppure direttamente da qui.

Crediti per l’immagine artistica di Mars Express: Esa/Atg Medialab; Marte: Esa/Dlr/Fu Berlin
Paolo Ferri
“Subito, dal primo giorno, Mars Express ha cominciato a dare delle sorprese. La crociera di Mars Express è stata un incubo”
[inizio musica]
Valentina Guglielmo
Mars Express è stata “accidentalmente” la prima missione interplanetaria dell’Esa, l’Agenzia spaziale europea. Al suo posto ci sarebbe dovuta essere Rosetta, la sonda di cui abbiamo parlato nel quarto episodio di questo podcast, mentre Mars Express sarebbe dovuta partire circa sei mesi dopo.
A causa del rinvio del lancio di Rosetta da gennaio 2003 all’anno dopo, Mars Express, che doveva partire a giugno, divenne la prima sulla rampa di lancio – sperimentando su sé stessa tutti i problemi e gli imprevisti della prima volta. Problemi che hanno reso i suoi sei mesi di viaggio verso Marte una vera e propria odissea.
In questo episodio – che sarà un po’ più ingegneristico rispetto ai precedenti – ne raccontiamo alcuni assieme a Paolo Ferri, il nostro ospite fisso che all’epoca era responsabile delle operazioni di Mars Express, e ad Andrea Accomazzo, che ha raccolto il testimone di Ferri alcuni anni dopo.
Io sono Valentina Guglielmo e questo è un podcast di Media Inaf che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali. Si chiama Houston.
[fine musica]
Valentina Guglielmo
Si può dire che Mars Express sia una missione nata da una costola di Rosetta, e non solo perché sarebbe dovuta partire poco dopo e con gli stessi mezzi. Perché, l’abbiamo detto nel primo episodio parlando di Beagle2 – il lander britannico trasportato fino a Marte proprio da Mars Express – citando il libro di Paolo Ferri “Le sfide di Marte”: “una delle linee guida fondamentali per la preparazione della missione Mars Express all’ESOC divenne il riutilizzo di tutto, ma proprio tutto quello che veniva prodotto per Rosetta”.
L’Esa non aveva alcuna esperienza interplanetaria, e in quegli anni era stata impegnata a fondo nella progettazione, da zero, della sua prima missione lontano dalla Terra. Rosetta, appunto.
Per questo, quando venne l’idea di costruire una piccola sonda su Marte – una missione “espressa” – fare economia di esperienza e di progetto sembrava la soluzione più sensata. Per di più, i tempi erano piuttosto stretti, perché nel 2003 le condizioni per raggiungere Marte sarebbero state estremamente favorevoli, e il viaggio sarebbe costato poco in termini di tempo e di carburante. Mars Express fu approvata nel maggio 1999. C’erano solo quattro anni di tempo, e non si poteva certo pensare di concepire una missione da zero.
[servizio di SciShow space]
“Mars Express, one of the longest-running planetary probes ever made. Not bad for a mission that wasn’t supposed to exist. Mars Express was led by the European Space Agency and got its name from a lightning quick development. Planetary missions can take a decade or more to design, but the ESA developed Mars Express in about half that time”.[doppiaggio in italiano]
“Mars Express, una delle sonde planetarie più longeve mai realizzate. È una missione dell’agenzia spaziale europea e deve il suo nome alla sua costruzione fulminea. Le missioni planetarie possono richiedere un decennio o più per essere realizzate, mentre Esa ha costruito Mars Express in circa la metà del tempo”
Valentina Guglielmo
Metà tempo rispetto a una missione spaziale standard, dice Hank Green in un servizio video su SciShow Science. Quattro anni, per la precisione. Per l’ESA, quindi, poter contare sulla tecnologia sviluppata per Rosetta era un bel vantaggio per costruire velocemente la prima sonda da mandare su Marte, ma bisognava stare attenti a mettere insieme i pezzi nel modo giusto. Le due missioni avevano obiettivi diversi, tempi diversi e avrebbero attraversato ambienti spaziali molto diversi per giungere al loro destino. E come ascolteremo in questo episodio, Mars Express un po’ ne ha fatto le spese.
[stacco musicale]
Cominciamo proprio da pochi istanti dopo il lancio. Mars Express è partito puntuale dal cosmodromo russo di Baijkonur, in Kazakistan, a bordo di un razzo Soyuz, la sera del 2 giugno 2003. Al centro di controllo dell’Agenzia spaziale europea a Darmstadt, in Germania, sono le 19:45, e Ferri e il suo team stanno a guardare. Un’ora e mezza più tardi la sonda si stacca definitivamente dallo stadio superiore del razzo lanciatore e comincia a vivere in maniera autonoma, accendendo le proprie unità e inviando i primi dati di telemetria. Tutto procede bene fino a quando, tre ore e mezza dopo, Mars Express entra in safe mode.
[musica]
La “modalità di sicurezza”, o safe mode, è una configurazione a basso rischio nella quale la sonda si rifugia, in maniera autonoma, quando sperimenta qualcosa di anomalo o potenzialmente dannoso. La sonda decide, in pratica, di entrare in una sorta di stato vegetativo in cui spegne tutte le unità non necessarie alla propria sopravvivenza, orienta i pannelli solari verso il Sole per garantire di avere sempre energia e punta l’antenna verso la Terra, per mantenere attiva la comunicazione. Raggiunta questa configurazione, si mette in attesa che qualcuno dal centro di controllo capisca che cosa è successo e risolva il problema.
[fine musica]
Paolo Ferri
Lanciamo, poche ore dopo: safe mode. Mars Express anche per questo motivo ha avuto un record di safe mode. Nella nostra divisione facevamo la gara a chi faceva meno safe mode e mentre dopo qualche anno di volo Rosetta e Venus Express ne avevano avuti quattro o cinque, Mars Express era 30 o 25, no, quindi erano era quasi una barzelletta per noi il safe mode di Mars Express.
Valentina Guglielmo
Per una missione spaziale, il safe mode è l’unica reazione autonoma possibile a un problema. Proprio per questo, si tratta di una reazione generica, che nulla tradisce circa la natura del problema che l’ha innescata. Un po’ come se, ogni volta che la vostra auto presenta un problema, invece di accendere una spia specifica accendesse un’unica spia valida per qualunque guasto e si spegnesse. Ogni safe mode di Mars Express scaturiva infatti da un problema diverso. Come raccontava Ferri ce ne sono stati moltissimi, sicuramente più di trenta da quando Mars Express è partita, e all’inizio accadevano con una frequenza molto maggiore. Non possiamo raccontarli tutti in questa puntata, e non ne varrebbe la pena forse, ma assieme a Paolo Ferri e Andrea Accomazzo ne abbiamo selezionati alcuni. Quelli un po’ più strani, quelli un po’ più gravi.
[stacco musicale]
Torniamo allora a poche ore dopo il lancio. In questo caso, Mars Express aveva reagito correttamente a una stranezza: il fatto che i giroscopi davano sempre la stessa misura.
[musica]
Un veicolo spaziale misura autonomamente la direzione di viaggio o il proprio puntamento – quello che in generale si chiama assetto del veicolo – utilizzando due strumenti: i sensori stellari, che fotografano il cielo stellato e confrontano la posizione delle stelle con quelle di un catalogo precaricato nell’elettronica – proprio come facevano un tempo i navigatori in mare, usando le costellazioni –, e i giroscopi, dispositivi rotanti che si servono di fasci di luce laser per mantenere l’orientazione. I giroscopi, a differenza dei sensori stellari, non hanno bisogno di riferimenti esterni per funzionare, perché sono formati da una massa rotante che mantiene fisso nel tempo il proprio asse di rotazione. Facendo quindi un confronto fra la direzione di questo asse e il sistema di riferimento del veicolo si ottiene una misura del moto di questo.
[fine musica]
Tornando al problema, dicevamo che i giroscopi di Mars Express poco dopo il lancio continuavano a misurare lo stesso valore. Ora, un veicolo spaziale è progettato per allarmarsi quando una qualunque unità al suo interno fornisce un valore costante. Se provaste a versare 100 grammi di farina su una bilancia superprecisa e otteneste sempre lo stesso identico numero, virgole comprese, forse pensereste anche voi che c’è qualcosa di strano.
Nel caso dei giroscopi di Mars Express, questi misuravano l’orientazione del veicolo con una frequenza di otto volte al secondo, ottenendo sempre la stessa misura. E il software di bordo ha pensato che il sistema di misura fosse bloccato.
La verità era invece l’opposto: Mars Express aveva dei giroscopi da manuale. Così precisi che, in una fase in cui l’assetto della sonda era estremamente stabile, misuravano lo stesso valore. E dopo alcune ore, quando fu chiaro che stavano misurando proprio il valore corretto, il team di Mars Express risolse la questione imponendo un regime di tolleranza maggiore al computer di bordo, che tenesse conto del funzionamento così preciso dei giroscopi.
Valentina Guglielmo
Come dicevamo all’inizio, alcuni imprevisti sono stati invece la conseguenza di errori nel trasferimento della tecnologia da Rosetta a Mars Express. Sempre durante le prime settimane di volo, ad esempio, ci si rese conto di un problema. Che non poteva essere né risolto, né aggirato. Riguardava l’estrazione di energia elettrica dai pannelli solari, un sistema ereditato appunto da Rosetta, ma che era stato riadattato – riducendolo di dimensioni e di potenza – perché Mars Express doveva raggiungere distanze più ridotte dal Sole, ed era anche più piccola.
Questo riadattamento da Rosetta, però, non era stato fatto nel modo giusto e il sistema non riusciva ad estrarre tutta la potenza che i pannelli solari potevano produrre. Arrivava appena al 60 per cento. Sentiamo Ferri.
Paolo Ferri
Ce ne siamo accorti durante la crociera e lì non era un problema perché durante la crociera non hai accesi gli strumenti scientifici e insomma il tuo consumo non è molto alto. Ma era chiaro che questo era un problema molto grave per la fase orbitale attorno a Marte, perché lì Marte magari si allontana moltissimo dal Sole poi si avvicina, perché è su un’orbita molto ellittica quindi arrivi a condizioni molto estreme in cui produci meno energia semplicemente per la distanza, e poi hai tutti gli strumenti accesi. Insomma alla fin fine la riduzione di capacità di produzione di energia dei pannelli solari era significativa. Stiamo parlando di oltre il 40 per cento, ed è una cosa che persiste tutt’ora e che ha caratterizzato tutta la missione. Quindi questo è stato un fattore molto importante nella pianificazione delle operazioni per cui durante la missione abbiamo addirittura sviluppato tecniche sofisticate. Tenevamo conto ad esempio dell’albedo, cioè della riflessione che viene dalla superficie Marte della luce del Sole per vedere quanto ci aumentava in certe fasi dell’orbita la produzione di energia elettrica. Stiamo parlando di pianificazione del consumo di energia elettrica di potenza elettrica di 1 o 2 Watt, quindi per tutta la missione è stato fatto un lavoro del genere. Ma anche tante altre cose perché tu hai un consumo di energia elettrica dovuto alle ruote di reazione, che sono queste ruote pesanti che girano molto veloci, e hanno un motorino elettrico che le fa girare. Bene, tu puoi programmare tutto il profilo di controllo d’assetto della tua sonda, cioè come ruoterà su sé stessa lungo un certo periodo di tempo anche cercando di minimizzare la velocità di rotazione di queste ruote in modo che abbassi il consumo. Sì insomma andavamo veramente a tirare fuori i singoli Watt, quindi Mars Express è stata una missione che nonostante abbia superato i 20 anni in orbita marziana praticamente ogni anno è stato diverso, ma anche ogni mese è stato diverso, e la pianificazione ha dovuto tener conto di tutte queste cose perché eravamo sempre al limite con l’energia prodotta.
Valentina Guglielmo
Insomma, Mars Express è una sonda che arriva sempre un po’ giusta a fine mese. Di certo quel che guadagna dai pannelli solari non avanza. Quello dei pannelli solari è stato un errore di progettazione, quello dei giroscopi possiamo invece considerarlo – a posteriori – un valore aggiunto. Anche il caso però, o le circostanze, o la sfortuna, chiamatela come volete, a volte fanno la loro.
[rumore di temporale]
Valentina Guglielmo
Partiamo, come prima, dal sintomo: un safe mode. Il 28 ottobre 2003, due mesi prima dell’arrivo su Marte – Mars Express lo ricordiamo era partita a giugno e ha viaggiato sei mesi per arrivare al Pianeta Rosso –, il sensore stellare comincia a confondersi e a non riconoscere più le stelle; il computer cerca di farlo ripartire ma questo va continuamente in crash. È di nuovo safe mode.
Stavolta con una complicazione in più: per uscirne c’è bisogno in maniera imprescindibile dei sensori stellari, perché la sonda deve riacquisire il puntamento sui tre assi.
Cosa stava succedendo?
Il Sole aveva cominciato ad emettere particelle cariche, molte più del solito, e il caso – o la sfortuna – hanno voluto che lo facesse proprio nella direzione in cui si trovava Mars Express. In parole semplici, era una tempesta solare, difficile da rilevare e da prevedere perché invisibile dalla Terra, dal momento che la direzione verso cui il Sole stava emettendo queste particelle non investiva il nostro pianeta ma solo la direttrice Sole-Marte. In pratica, dalla terra non si vedeva niente. Mars Express invece la vedeva eccome, e i Ccd del suo sensore stellare, investiti da questa pioggia di particelle cariche, erano accecati dai lampi di luce e non riuscivano più a individuare le stelle fisse.
Paolo Ferri
Vabbè passerà, quanto dura una tempesta solare, 5 ore, 6 ore, 12 ore…questa tempesta solare durò oltre 30 ore, che è abbastanza raro tra l’altro…
Valentina Guglielmo
Il rischio del perdurare di questa situazione, in cui il sensore stellare era accecato dalla pioggia di particelle, era quello di perdere il puntamento dell’antenna della sonda verso la Terra, e quindi di non riuscire più a comunicare o inviare comandi alla sonda. Perdendola nello spazio. In assenza di correzioni di assetto continue, infatti, ogni sonda ha una leggera deriva e tende a spostarsi dalla direzione precisa di puntamento. Un po’ come quando si naviga con una corrente laterale, e bisogna continuamente aggiustare la rotta, per non essere trascinati via.
Mars Express si trovava a circa 10 minuti luce dalla Terra e quindi ogni tentativo di comandarla impiegava 20 minuti, fra andata e ritorno, per essere verificato. Gli esperti di dinamica del volo, spaventati dalla deriva della sonda, hanno cominciato a lavorare per architettare un sistema automatico di correzione della traiettoria che si basava sulla diminuzione della potenza del segnale laser ricevuto, man mano che l’antenna si allontanava dalla direzione di puntamento perfetta. Per fortuna, questo metodo complicatissimo e per forza di cose non precisissimo, non servì perché la tempesta solare terminò prima della perdita del segnale.
Più o meno nello stesso periodo, ci furono altri problemi causati dai sensori di stelle.
Safe mode dopo safe mode, furono tutti risolti. E meno male, perché i sensori stellari divennero, circa 15 anni dopo, essenziali per la sopravvivenza di Mars Express. Ne parleremo fra poco. Prima però, facciamo un salto temporale di qualche anno e parliamo di un episodio avvenuto il 13 agosto 2011, quando la missione era già da sette anni in orbita attorno a Marte, e già nella sua fase di estensione rispetto alla durata nominale.
[stacco musicale]
Valentina Guglielmo
Naturalmente, anche questa storia comincia con un inatteso safe mode. A innescarlo, un’interruzione della comunicazione fra la memoria di massa e il computer principale. Un po’ come se nel nostro computer di casa ci fosse un problema fra il processore e l’hard disk. Il guaio è che su questa interfaccia, oltre ai dati scientifici e alla telemetria, venivano passate anche le informazioni sulle attività da eseguire, e quindi i comandi per la sonda. E la mancata lettura anche di un solo comando può risultare fatale per una sonda. Per questo il software di bordo era progettato per far scattare un safe mode non appena rilevava un’anomalia su questa interfaccia. La prima volta accadde il 13 agosto 2011, e da quel giorno successe continuamente con una cadenza di due settimane circa.
Paolo Ferri
Per carità, era la reazione giusta in teoria, ma in pratica ogni due settimane non potevamo permetterci un safe mode. Eravamo in una fase di produzione scientifica e si interrompeva per molti giorni. Perché appunto ci voleva una settimana per recuperare, perché questo ti spegne tutto e tu hai fatto tutta una pianificazione di attività. Quindi, devi ritornare prima di tutto a riportarlo nello stato normale di operazioni e poi riaccendere i vari strumenti e riportarli nella loro configurazione. Una settimana ci voleva per recuperare, minimo. E poi ogni safe mode consumava propellente, parecchio propellente. Perché in safe mode lui accende i razzi per riacquisire il Sole, poi la Terra e quindi consumava centinaia di grammi di propellente e per noi quello era comunque uno spreco assurdo. Adesso non so quanti safe mode avremmo potuto permetterci ancora però non tiravamo un anno. Forse un anno o due massimo. Quindi dovevamo fare qualcosa
Valentina Guglielmo
Dopo mesi di continui safe mode, l’ultimo il 16 ottobre 2011, si prese una decisione inevitabile: sospendere la missione. Metterla in condizioni di sicurezza e cercare, con calma, una soluzione definitiva al problema.
L’esecuzione dei comandi, su Mars Express, funzionava attraverso la memoria di massa. Venivano caricati circa 1000 comandi ogni giorno e la memoria ne poteva archiviare fino a 3000. Esisteva però un’unità ereditata da Rosetta e mai utilizzata per Mars Express, una sorta di meccanismo di emergenza, che non faceva uso della memoria di massa e funzionava come una minisequenza di comandi riprogrammabile. Si chiamava mission timeline breve e sfruttava direttamente il processore. A differenza della memoria di massa però poteva tenere solo 117 comandi. Un numero assolutamente insufficiente.
Servirono dei mesi per ideare e sviluppare una soluzione a questo problema. Il racconto di Ferri.
Paolo Ferri
Il pensarci per me è stata una storia molto bella, perché conferma tantissime cose che io continuo a vendere come l’essenza delle operazioni spaziali. Prima di tutto abbiamo sviluppato una soluzione usando strumenti che esistevano nel software di bordo e che erano stati progettati per motivi completamente diversi. Anzi, erano stati progettati per una missione diversa: venivano da Rosetta. Rosetta aveva certi requisiti che tra l’altro avevo inventato io ma per motivi che servivano a Rosetta. Siccome Mars Express aveva ereditato il software di Rosetta aveva anche questi requisiti, queste capacità. Però ce l’aveva lì per altri scopi e per scopi di un’altra missione, però ce li aveva. Si è potuta sviluppare una soluzione alternativa, cervellotica, complicata, sono serviti mesi per riprogettare la missione attorno a questa idea e all’uso di questi strumenti, che però hanno salvato la missione.
Valentina Guglielmo
Cosa stava succedendo in quella interfaccia?
Paolo Ferri
Non lo sappiamo, non lo sappiamo ancora adesso. Però sono appunto interfacce tra due unità elettroniche e basta una piccola interferenza anche elettromagnetica, qualcosa che avviene semplicemente su un circuito a fianco. Basta una leggera alterazione di una saldatura e sono cose che comunque succedono a bordo di un satellite soprattutto col passare degli anni, deformazioni termiche, eccetera. Ma non lo sapremo mai. Il problema è ancora lì, succede ancora e se non sbaglio c’è stato un paio di mesi fa un altro safe mode dovuto a un problema molto simile a questo diciamo che la nostra soluzione alternativa non ha catturato.
Valentina Guglielmo
Trovare una soluzione, in questi casi, spesso significa quindi aggirare il problema, o come dicono gli inglesi letteralmente work around, lavorarci intorno. Nello spazio non è possibile eseguire riparazioni né sostituzioni, salvo casi eccezionali e sicuramente non per le missioni interplanetarie. Per questo molte unità all’interno di una sonda partono già con una ridondanza. Di ogni unità fondamentale, ad esempio, anziché metterne una, ce ne sono due. Così se si rompe la prima rimane la seconda. In questo caso e in molti altri però, più che la ridondanza serviva l’ingegno e la flessibilità.
Nel caso della memoria di Mars Express l’unica alternativa ad usare la memoria di massa per memorizzare i comandi era usare quello spazio di 117 comandi di cui parlavamo prima, la mission timeline breve, all’interno del processore.
Paolo Ferri
Quindi cosa abbiamo fatto: invece di trasferire continuamente comandi su questa Mission Timeline che aveva spazio per 3000, la memoria di massa, noi spezzettavamo i nostri comandi futuri in file che al massimo erano di 117 comandi e li immagazzinavamo comunque nella memoria di massa, però erano tutti pezzettini piccoli che al massimo coprivano 117 comandi. E poi usavamo la memoria interna del computer, che ogni volta che finiva i suoi 117 comandi andava a prendere il nuovo pezzettino nella memoria di massa. Se in questo caso l’interfaccia non funzionava non era così grave, perché i nostri pezzettini noi li avevamo costruiti in modo che fossero, diciamo, sicuri all’interno della sequenza di comandi che contenevano. Quindi quando finiva uno di questi pezzettini il satellite era a posto e quindi se il prossimo pezzettino si fosse interrotto non ci sarebbe stato nessun problema. Quindi ogni volta lui richiamava il nuovo pezzettino. Nel caso questo richiamo non funzionasse per un problema dell’interfaccia non andava in safe mode, semplicemente ce lo diceva. Diceva “guardate, ho avuto un problema, riprovo”, e riprovava e la volta dopo funzionava. Quindi, abbiamo reso questa interfaccia molto meno sensibile abbiamo potuto disabilitare la reazione a safe mode e la missione ha continuato. Per fare questo ci abbiamo messo mesi perché abbiamo dovuto riprogrammare tutto.
Valentina Guglielmo
Controllo di assetto, pannelli solari, tempesta solare, e memoria di massa. Quattro problemi, quattro soluzioni per aggirarli. Vediamo il quinto e ultimo, che ha permesso di allungare moltissimo la vita di Mars Express. Era il Febbraio 2017, a capo della divisione delle missioni interplanetarie c’era Andrea Accomazzo, e Ferri, a quel tempo, era capo di dipartimento. Mars Express era ormai in volo da 14 anni e godeva, al netto dei safe mode, di buona salute. Per questo c’era tutto l’interesse, anche scientifico, che la missione continuasse. Un interesse a posteriori ben riposto, anche se allora nessuno immaginava che l’anno successivo Mars Express sarebbe stata la prima a trovare la firma dell’acqua nel sottosuolo di Marte, in uno studio a guida italiana che usava lo strumento radar Marsis.
[estratto audio di un’intervista di Media Inaf a Roberto Orosei]
Abbiamo scoperto la presenza di acqua liquida al di sotto della calotta polare del polo sud Marziano. Questa scoperta è stata fatta grazie ai dati del radar Marsis, il radar italoamericano a guida Italiana peraltro, che ancora funziona dopo 15 anni a bordo della sonda europea Mars Express in orbita intorno a Marte
Valentina Guglielmo
Questa era la voce del primo autore dello studio uscito su Science, Roberto Orosei dell’Inaf. Tornando al problema, in quegli anni, permettere alla sonda di continuare nelle sue attività significava cominciare a fare i conti con l’anzianità delle sue componenti, che non erano state progettate per vivere così a lungo. Primi fra tutti, i giroscopi, che funzionano – come abbiamo detto all’inizio – grazie all’emissione di un raggio di luce laser. Usati il cento per cento del tempo per controllare l’assetto insieme ai sensori stellari, questi laser si consumavano con un ritmo che stava diventando insostenibile.
Secondo le previsioni di quel periodo, la vita di quattro dei sei giroscopi era appesa a un filo. L’intensità dei loro laser stava diminuendo e si sarebbe esaurita completamente entro la fine del 2018. Per funzionare, una sonda ha bisogno di avere almeno 3 giroscopi: pertanto, una simile previsione significava automaticamente la fine di Mars Express. Bisognava trovare una soluzione. E bisognava trovarla ben prima della fine del 2018, perché anche trovando una strategia che evitasse di usare i giroscopi nella vita quotidiana della sonda, vi erano alcune modalità di funzionamento, come i safe mode, che non ammettevano alternative. Bisognava architettare una soluzione in tempo utile in modo da non perdere la funzionalità di nessuno di essi. Di questa storia ho parlato con Andrea Accomazzo, che ho incontrato nel suo ufficio al centro controllo missioni dell’Agenzia spaziale europea, a Darmstadt, in Germania, assieme a Paolo Ferri.
Andrea Accomazzo
Io personalmente ammetto che ero molto scettico sulla fattibilità di una cosa del genere, soprattutto senza ricorrere al supporto ingegneristico di chi aveva costruito il satellite. Noi vedevamo che l’intensità di questo laser seguiva un certo profilo e sapevamo che a un certo punto si sarebbe esaurito.
Valentina Guglielmo
Come dicevamo all’inizio, per determinare orientazione e puntamento, un satellite come Mars Express usa due metodi, giroscopi e sensori stellari. I sensori di stelle funzionano perfettamente in quasi tutte le situazioni, tranne mentre il satellite si sta muovendo, quando perdono in accuratezza. In queste situazioni di solito si utilizzano le misurazioni angolari provenienti dai giroscopi. In realtà, i due metodi spesso vengono usati assieme e il software di bordo ricava una stima molto precisa dell’assetto facendo la fusione fra queste due misurazioni. Per questo prima ho detto che i giroscopi venivano usati il cento per cento del tempo.
L’idea per evitare i giroscopi, mi racconta Accomazzo, venne ancora una volta da Rosetta. Rosetta, lo ricorderete se avete ascoltato la puntata dedicata, era una missione programmata per durare molto più a lungo di Mars Express, e disponeva di una modalità nella quale anche nelle fasi dinamiche il software di bordo potesse fare affidamento unicamente sui sensori di stelle. Questa modalità si chiamava gyroless, che vuol dire appunto “senza giroscopi”, e l’idea del team di Mars Express fu di riciclarla.
Andrea Accomazzo
Questo ci permette di poter spegnere per gran parte del tempo operativo della sonda e preservare la sorgente laser nel futuro così da estendere la durata della missione. Noi sapevamo che a un certo punto il peggiore dei nostri giroscopi aveva ancora circa, se non ricordo male, 5 mesi di vita operativa. Quindi entro 5 mesi quel giroscopio avrebbe smesso di funzionare. Andando a introdurre questo software abbiamo ridotto il tempo di funzionamento dei giroscopi da un ciclo continuo, quindi accesi il 100% del tempo. Il nostro obiettivo era scendere sotto il 10% e questo l’abbiamo ottenuto abbastanza rapidamente. Abbiamo avuto delle fasi in cui non riuscivamo, però nel caso di quel giroscopio specifico uno poteva aver pensato di avere esteso la vita operativa da 5 mesi a 50 mesi, che è una cosa significativa. In realtà questi 5 mesi sono stati parte consumati da questa fase iniziale di test, pertanto questo giroscopio dopo circa un anno, un anno e mezzo che avevamo attivato questo nuovo sistema è comunque arrivato alla fine della sua vita operativa ed esattamente come il modello numerico che il collega aveva sviluppato aveva predetto. Questo ci ha dato Innanzitutto confidenza che il fatto che questo modello numerico fosse preciso e accurato, quindi sappiamo che possiamo stimare molto bene la vita operativa rimanente negli altri cinque giroscopi. Come detto a noi ne bastano tre. A questo punto sappiamo anche che un quarto giroscopio raggiungerà nei prossimi anni la fine della sua vita operativa, se continuiamo a usarlo in questo modo. Gli altri tre invece hanno una vita operativa prevista molto più lunga ed è rassicurante. Quando abbiamo poi attivato in maniera definitiva questo modo operativo siamo riusciti in media a contenere l’attivazione dei giroscopi tra il 7-8% del tempo, passando dal 100% al 7-8% e questo ha esteso la capacità di garantire la vita operativa della missione di diversi anni. Stiamo parlando degli anni 2017-2018, adesso siamo nel 2024, Mars Express è ancora operativo e ci viene richiesto di continuare a farlo funzionare fino al 2028. Dal punto di vista dei giroscopi non abbiamo limitazioni, quindi da quel punto di vista lì abbiamo penso risolto brillantemente un problema annoso di questo tipo di missioni.
Valentina Guglielmo
Preservare la vita dei giroscopi è fondamentale anche se si trovano soluzioni alternative che riescono a bypassarli. Perché ci sono due situazioni nelle quali è assolutamente indispensabile usarli. La prima è quando il satellite deve ruotare a velocità elevata e i sensori di stelle non riescono a mantenere il puntamento in cielo. Succede, per esempio, durante un safe mode: la prima operazione che una sonda esegue per riconfigurarsi completamente è cercare il Sole e puntarlo, esponendo i propri pannelli per garantire potenza elettrica. Per farlo, potrebbe doversi muovere molto velocemente. La seconda, invece, succede ad esempio quando i sensori di stelle, anziché essere orientati verso il cielo, sono costretti a guardare verso il pianeta o sono comunque disturbati da questo. O ancora, quando i sensori hanno problemi inattesi e l’unico modo per continuare a controllare l’assetto è affidarlo ai giroscopi. Insomma, senza giroscopi una sonda non può sopravvivere.
Andrea Accomazzo
A un certo punto mi ricordo che ero in ufficio, ed è arrivato James Godfrey, l’Operations manager di Mars Express che lavora nella nostra divisione delle missioni interplanetarie. Si presenta sulla porta dell’ufficio col suo stile molto britannico, sempre molto silenzioso, e aspetta diversi secondi prima di parlare. Io lo guardo e non so cosa aspettarmi. Mi dice “funziona nel simulatore”, e lì è stata una sensazione un po’ strana perché devo ammettere che io mai avrei pensato che potessimo realizzare una cosa del genere. Eravamo ancora molto lontani da essere in grado di caricare questo software aggiornato sulla sonda in volo, però diciamo sia le persone che si sono occupate direttamente della codifica del software, sia i colleghi che si occupano della dinamica del volo – quindi sono gli esperti del comportamento del satellite e hanno contribuito a settare i parametri di questo nuovo software – erano molto sicuri di poter arrivare finalmente a quel punto. A quel punto ovviamente anch’io ho dovuto diciamo ammettere che il mio scetticismo fosse un errore, e poi tornerò su questo argomento. Per me è stata un’esperienza anche personale perché questo mio scetticismo iniziale è stato sconfessato da quello che il team è stato in grado di fare e ricordo ancora bene che in una delle nostre riunioni plenarie di tutta la divisione, dove ci sono tutte le missioni, mi sono sentito in dovere di chiedere scusa di fronte a tutti nei confronti del team di Mars Express perché ho fatto penso l’errore più grande che un manager può fare, che è non credere nel proprio team. E questo è stato penso anche un arricchimento dal punto di vista personale.
Valentina Guglielmo
Cioè tu avevi anche il potere di dire “non ci proviamo neanche…”, però non ci proviamo neanche significava semplicemente arrendersi al fatto che i giroscopi a un certo punto avrebbero smesso di funzionare, giusto?
Andrea Accomazzo
Assolutamente. Effettivamente il mio atteggiamento non è stato di ostracismo nella fase iniziale, però non ero così convinto che valesse la pena dedicare risorse per un problema che pensavo non saremmo sta in grado di risolvere. Non penso di aver messo i bastoni tra le ruote ma di certo, lo ammetto onestamente, all’inizio non ho fatto niente per favorire questa cosa e sono stato smentito. E sono stato contentissimo di essere stato smentito perché, non dico che sia una bella situazione, ma penso sia positivo lavorare in un ambiente dove anche magari lo scetticismo di una persona che è responsabile non viene preso come un blocco totale, ecco. E quello mi ha fatto imparare molto soprattutto.
Valentina Guglielmo
Lo dicevamo all’inizio: Mars Express deve tanto alla missione Rosetta. Per immaginare le difficoltà che le squadre dell’Esa hanno incontrato negli episodi che abbiamo raccontato bisogna pensare che ognuno di questi problemi si presentava sul banco del team delle operazioni di Mars Express sotto forma di safe mode, e andava quindi prima di tutto scoperto, poi studiato e infine risolto – cercando una strategia che fosse buona anche per il futuro. Mars Express, comunque, inizialmente progettata per rimanere in orbita attorno a Marte per un solo anno marziano con una possibile estensione a due – un anno marziano equivale a quasi due anni terrestri, 687 giorni per la precisione –, lo scorso dicembre ha festeggiato i suoi primi 20 anni in orbita attorno al Pianeta rosso.
Paolo Ferri
Mars Express è così longeva anche grazie ad altre cose che sono state sviluppate qua dagli stessi team che reagiscono a questi problemi in modo così creativo. Hanno sviluppato soluzioni creative per esempio per risparmiare propellente: Mars Express oggi consuma 200 grammi di propellente all’anno se ricordo bene, cose ridicole, tra l’altro la stima del propellente nei satelliti è sempre molto molto difficile da fare. In questo momento credo che siamo a una stima di propellente che è qualcosa tipo, più o meno zero propellente più o meno 3 litri, per dire che siamo un po’ agli sgoccioli ma ne consumiamo talmente poco che siamo abbastanza ottimisti che vada avanti per anni. Adesso la missione è approvata fino al 2026 e potrebbe in teoria andare avanti altri anni. Quindi alla fine per uscire da ognuno di questi problemi ci volevano settimane… per uscire dal safe mode no, era abbastanza veloce, anche riconoscere il problema era una questione abbastanza veloce, ma poi per risolverlo erano settimane di analisi, discussioni, eccetera per cui la crociera è stata un susseguirsi di drammi. Io non l’ho vissuta direttamente a quel punto perché ero impegnato con Rosetta, ma ovviamente avendo noi progettato praticamente tutto quello che Mars Express stava usando eravamo lì tutti i giorni perché stavamo imparando. Noi abbiamo imparato tantissimo da questo però quelli che non dormivano la notte erano quelli del team di Mars Express. Io arrivavo il giorno dopo e mi facevo raccontare, era molto più comodo e noi di Rosetta abbiamo approfittato tantissimo da questo salto di lancio, che per noi era stata una tragedia ma in realtà da quello Rosetta ha approfittato.
[inizio musica]
Valentina Guglielmo
Insomma, Rosetta ha prestato tecnologia e soluzioni a Mars Express, e Mars Express ha trovato il modo per ripagarla sperimentando sulla propria pelle tutta una serie di problemi che, una volta conosciuti, sarebbero stati considerati durante la pianificazione e non avrebbero più colto di sorpresa né spaventato. Nella prossima puntata faremo un salto indietro nel tempo, parleremo di una missione che ha viaggiato a bordo di uno Shuttle e di astronauti sospesi nello spazio in attesa di ricevere un segnale. Parleremo, ancora assieme a Paolo Ferri, della missione Eureca. Io sono Valentina Guglielmo e vi aspetto al prossimo episodio di Houston, un podcast di Media Inaf che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali.
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