TRASCRIZIONE DELLA QUARTA PUNTATA DI “HOUSTON”

Rosetta e gli strascichi d’un cambio destinazione

Doveva partire un anno prima, doveva raggiungere un’altra cometa. Comincia così la storia della sonda Rosetta, con un cambio destinazione che ne ha segnato la storia. È arrivata troppo vicina al Sole, ha rischiato di spegnersi definitivamente dietro Marte, e di non accelerare a sufficienza per raggiungere la cometa

     07/08/2025

Quella che segue è la trascrizione del quarto episodio di Houston, un podcast di Media Inaf che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali. Ideato, realizzato e condotto da Valentina Guglielmo, quest’episodio – pubblicato per la prima volta il 31 maggio 2024  – è dedicato alla sonda dell’Esa Rosetta e ha come ospiti il fisico Paolo Ferri e l’ingegnere aerospaziale Andrea Accomazzo. Potete ascoltarlo su Apple Podcasts, su Spotify e su YouTube. Oppure direttamente da qui.


Crediti per l’immagine di Rosetta: Esa/J. Huart

Paolo Ferri
Questo inizio drammatico ha quasi ucciso la missione, perché era il 16 dicembre del 2002 e noi dovevamo partire il 13 gennaio 2003, sono cinque settimane. Finché il sei gennaio, una settimana prima del lancio, c’è un evento di pubbliche relazioni a Berlino, di presentazione della missione. Quando sono arrivato lì mi sono reso conto che tutti sapevano che non avremmo lanciato, e per me è crollato il mondo.

[inizio musica]

Valentina Guglielmo
La voce che avete sentito – forse l’avrete riconosciuta se avete ascoltato gli episodi precedenti – è di Paolo Ferri. Sta parlando di Rosetta, una missione durata più di dieci anni; la prima a inseguire, incontrare, e posarsi sul nucleo di una cometa. Le frasi che avete sentito sono chiaramente incomplete, ma nonostante questo parlano chiaro. Raccontano che la prima battuta d’arresto per Rosetta, è avvenuta circa un mese prima del lancio. Cos’è successo nel dicembre 2002 e perché ha compromesso il lancio di Rosetta? E cosa è successo dopo?

Ce lo raccontano Paolo Ferri, che è stato operations manager e poi direttore di volo della missione Rosetta dall’inizio, dal ‘96 fino al 2013, e che su Rosetta ha scritto il suo primo libro, “Il cacciatore di comete”; e Andrea Accomazzo, nel team di Rosetta dal 1999 fino al lancio, poi operations manager, e infine direttore di volo dalla metà del 2013 alla fine della missione.

Io sono Valentina Guglielmo e questo è un podcast di Media Inaf che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali. Si chiama Houston.

[fine musica]

Valentina Guglielmo
Rosetta doveva essere – e di fatto fu – la prima sonda dell’Agenzia spaziale europea a visitare una cometa. Raggiunta la cometa, dopo dieci anni di viaggio, sarebbe entrata in orbita attorno al suo nucleo, e ci sarebbe rimasta per oltre un anno sganciando addirittura un modulo di atterraggio sulla sua superficie – il lander Philae.

Il nome della missione non è stato scelto a caso: come la stele di Rosetta – la pietra incisa che ha permesso di decifrare i geroglifici egiziani – così l’omonima missione interplanetaria si prefiggeva, tramite lo studio ravvicinato e prolungato del nucleo di una cometa, di decifrare i misteri della nascita e dell’evoluzione del Sistema solare. La cometa prescelta, dunque, si chiamava 46P/Wirtanen, un corpo che appartiene alla famiglia delle comete gioviane e ha un periodo orbitale di circa 5 anni e mezzo attorno al Sole. Con una data di partenza prevista nel gennaio 2003, la sonda Rosetta avrebbe dovuto raggiungerla nel 2011.

[Audio del lancio di un razzo Ariane 5]

I guai per Rosetta cominciarono poco prima del lancio. L’11 dicembre 2002, cinque settimane prima della data prevista per la partenza, un razzo Ariane 5 uguale a quello che avrebbe lanciato Rosetta, esplose in volo, sull’Atlantico, tre minuti dopo il decollo.

La mattina dopo, quando Paolo Ferri arriva in ufficio, viene subito raggiunto da un Andrea Accomazzo scuro in volto. Quello fallito il giorno precedente era l’ultimo lancio dell’anno per l’Agenzia spaziale europea, l’ultimo prima di Rosetta, e le ragioni dell’esplosione erano tutte da indagare. Tempo per farlo, però, non ce n’era. Non abbastanza: l’Ariane 5 di Rosetta era già pronto e carico di propellente, e Rosetta era già stata integrata a bordo. La finestra di lancio di gennaio durava, come al solito, circa venti giorni, e perderla significava mancare l’appuntamento con la cometa. Un’eventualità impensabile!

Paolo Ferri
Finché il 6 gennaio, una settimana prima del lancio, c’era un evento di pubbliche relazioni a Berlino per la presentazione della missione e io sono andato con il mio capo di allora. Quando sono arrivato lì mi sono reso conto che tutti sapevano che non avremmo lanciato e per me è crollato il mondo. È crollato il mondo perché secondo me questa decisione è stata presa con grande leggerezza. Non con grande leggerezza, ma sulla base di un equivoco di base: il management dell’Esa sapeva – era molto segreta questa cosa perché non volevamo dare all’industria scuse per rimandare il lancio – ma il management sapeva che anni prima avevamo analizzato altre missioni, altre comete, e quindi avevamo un memo da parte nel cassetto con un po’ di alternative. Quindi il management ha detto “se lanciamo con questo non abbiamo ancora capito bene cosa è successo con l’Ariane e rischiamo tutto. Ma Rosetta è troppo importante per rischiarla al lancio; se saltiamo, vabbè perdiamo la cometa, ma all’Esoc c’hanno lì 7-8 altre missioni non c’è problema, ne troveranno un’altra”. Ecco questo è stato un errore di valutazione perché è vero che noi avevamo queste nel cassetto, ma queste erano valide anni prima. Nel frattempo era stata costruita una sonda per quella missione: certe distanze dalla Terra, certe distanze dal Sole, minima e massima, durata, massa della cometa… tutti parametri per cui abbiamo costruito la sonda, le decisioni che per anni sono state prese in qualsiasi momento. Quando prendi una decisione devi sempre tener conto di quale missione hai. Quindi quando ci hanno cancellato Wirtanen noi non avevamo più questi 7-8 candidati, noi avevamo soltanto quelli che più o meno si avvicinavano a quei parametri per cui avevamo costruito la sonda, e questo secondo me il management dell’Esa non l’ha valutato. Quindi io mi trovai quella sera a parlare col direttore della scienza che mi disse “Vabbè dai Paolo adesso tirate fuori il memo ne trovate un’altra”. E io dicevo “Ma sta scherzando? Ha capito che siamo che siamo nei guai ha capito che siamo nei guai o no?” E probabilmente io sono convinto che non avesse valutato appieno la cosa.

Valentina Guglielmo
Non lanciare, per il direttore generale dell’Agenzia spaziale europea, significava salvare la missione. Per Ferri, invece, esattamente l’opposto: non lanciare era il rischio concreto di perderla, la missione. Perché le alternative alla cometa Wirtanen erano soluzioni solo “sulla carta”.

Per questo, la posizione ufficiale del centro di controllo, come scrive Ferri nel suo libro, era sempre stata che se si fosse perso l’appuntamento con la cometa scelta, la missione sarebbe stata abortita. Doveva essere chiaro che una cometa non valeva l’altra: Rosetta era stata progettata specificamente per viaggiare, raggiungere, orbitare e atterrare su Wirtanen, e cambiare destinazione non era affatto banale. E poi l’analisi dei candidati alternativi era stata effettuata solo ad alto livello, senza confermare davvero che tutti, o per lo meno alcuni, avessero davvero le carte in regola per sostituire Wirtanen. Sceglierli a posteriori, con la missione già pronta al lancio, aggiungeva infine una complicazione non da poco: c’erano pochissime cose che potevano essere modificate nel veicolo.

Paolo Ferri
Beh ci siamo trovati a cercare un candidato alternativo. L’abbiamo trovato per miracolo.

Valentina Guglielmo
Insomma, si sono trovati a dover cambiare cometa.

Immaginate la scena: siete in aeroporto, pronti a partire per il vostro viaggio verso le bianche spiagge dei Caraibi, con una valigia tutta costumi, pantaloncini e infradito, e vi comunicano che la vostra destinazione è cambiata. Andrete a visitare i fiordi norvegesi.

A Rosetta, è successa circa la stessa cosa. Con lo stesso equipaggiamento – o le stesse valigie continuando l’analogia – avrebbe dovuto affrontare un viaggio diverso verso una destinazione non ancora nota.

Facciamo allora un rapido elenco degli aspetti della missione che dovevano mantenersi simili: durata del volo, quantità di propellente necessario, minima e massima distanza dal Sole, massima distanza dalla Terra e persino la dimensione stimata del nucleo della cometa.

Paolo Ferri
La traiettoria di Rosetta praticamente era nota dal ‘93. Noi abbiamo cominciato a lavorarci nel ‘96 e volevamo lanciare nel 2003. Quindi era dieci anni che era nota questa traiettoria, e tutto, dieci anni di lavoro, era stato basato su quella traiettoria. A un certo punto se ne deve trovare un’altra. Ovviamente la fase di studio non sono dieci anni di lavoro, ma è comunque durata un paio d’anni e forse più. E l’abbiamo dovuta concentrare in due o tre mesi.

Valentina Guglielmo
Dopo circa tre mesi di valutazioni e calcoli, delle otto alternative scritte nel memo di cui raccontava Ferri, ne rimase solo una: la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, con lancio previsto meno di un anno dopo, a febbraio 2004. La cometa sembrava non presentare particolari criticità /ma, come racconteremo nel corso di questa puntata, il cambio destinazione non fu a costo zero. Anzi, causò alcuni problemi anche gravi, che rischiarono di compromettere la missione. Ne racconteremo, in particolare, tre.

[Audio del lancio di Rosetta]

1. Problema del surriscaldamento vicino al Sole

Rosetta fu lanciata la mattina del 2 marzo 2004 alle 8:17 ora italiana, a bordo di un razzo Ariane 5.

Nei primi tre mesi di viaggio la sonda si sarebbe diretta verso il Sole, e un po’ come quando si cammina verso un caminetto acceso, avrebbe percepito a ogni passo un calore crescente. Poteva resistere? Il team della missione aveva eseguito tutte le analisi termiche del caso, da cui era emerso che sì, la sonda avrebbe resistito senza conseguenze.

Paolo Ferri
Se ricordo, bene, anche con Wirtanen ci saremmo avvicinati al Sole, ma fino a circa 0,92 unità astronomiche quindi l’8% in meno della distanza Terra-Sole, e se uno fa il conto sono più di 10 milioni di km in meno, che non è tanto ma comunque la sonda era costruita per quello. Invece – appunto sto dicendo numeri che magari devo verificare – mi ricordo che era tipo 0,92 con Wirtanen e 0,88 con Churyumov-Gerasimenko. Questa differenza era qualche milione di chilometri, però il calore della luce del Sole va con il quadrato della distanza. Ovviamente l’Industria ha fatto delle analisi, ma un po’ di corsa e hanno detto “Sì sì più o meno va bene”, però in quelle settimane in cui eravamo vicini al Sole ce la siamo vista abbastanza brutta perché quando sei nello spazio e ti avvicini al Sole, se la tua sonda non è progettata per quella situazione rischi di surriscaldarti e non è che puoi accendere il condizionatore. La sonda si riscalda. La puoi girare un po’ e si scalda dall’altra parte. E questa è la situazione in cui ci siamo trovati.

Valentina Guglielmo
Insomma, i calcoli del team di Rosetta erano stati un po’ troppo ottimistici. Ma vediamo di dare qualche numero e qualche riferimento in più, per questo avvicinamento alla nostra stella.

[musica]

L’unità astronomica è l’unità di misura che corrisponde alla distanza media Terra-Sole, e vale 150 milioni di chilometri. Le 0.88 unità astronomiche menzionate da Ferri come la minima distanza di Rosetta dal Sole corrispondono quindi a circa 132 milioni di chilometri. Possono sembrare tanti, soprattutto se pensiamo che Rosetta ha percorso appena 6 milioni di chilometri in più rispetto alla traiettoria iniziale che doveva seguire per incontrare Wirtanen.

Ma come accennava Ferri, il flusso di radiazione ricevuto dal Sole aumenta con l’inverso del quadrato della distanza, per cui anche una piccola diminuzione di distanza si traduce in un aumento decisamente più sostanziale del flusso, e quindi del calore, in arrivo.

[fine musica]

Rosetta avrebbe raggiunto il suo perielio – ovvero il punto di massima vicinanza al Sole – circa quattro mesi dopo il lancio, il 24 maggio 2004. Un mese prima, il 23 aprile, la sonda doveva ruotare la propria piattaforma superiore, dove si trovano gli strumenti scientifici, verso la Terra, per eseguire alcune osservazioni di calibrazione e test. La sonda era una sorta di parallelepipedo di due metri per un metro e mezzo con due lunghe ali di pannelli solari. Nella pancia ospitava il lander Philae, mentre sopra e sotto aveva tutti gli strumenti scientifici. Ruotando per rivolgere uno di questi due lati con gli strumenti verso la Terra, quindi, Rosetta esponeva automaticamente il lato opposto, strumenti compresi, al Sole.

La manovra cominciò la sera del 23 aprile, un venerdì.

Alle tre del mattino il telefono di Ferri comincia a squillare. Dal centro di controllo a Darmstadt, i colleghi di turno lo avvisano che Rosetta si sta scaldando troppo velocemente. I propulsori del lato esposto al Sole avevano quasi raggiunto gli 80 gradi, mentre la raccomandazione era che, quando non erano utilizzati, non superassero mai i 60 gradi. 80 gradi, fra l’altro, era proprio la soglia da non superare. Il problema è che le alte temperature potevano far evaporare il gas intrappolato nelle valvole di sicurezza e in quelle di controllo dei propulsori, e questo poteva provocare danni irreparabili alle guarnizioni. Quella notte, prima di perdere il contatto radio con la sonda, che durava solo alcune ore ogni giorno, non ci fu tempo di fare nulla.

Fiato sospeso fino al giorno dopo, quando si ristabilì il contatto successivo: la temperatura a quel punto aveva superato gli 80 gradi.

Le opzioni erano due: la prima, cambiare l’assetto della sonda, interrompendo tutte le operazioni di calibrazione degli strumenti; la seconda, sperare che non accadesse nulla di irreparabile. A favore di quest’ultima, gli scienziati, che volevano testare i loro strumenti e prepararli alla missione. A favore della prima, Ferri e i suoi colleghi a Darmstadt, che erano molto preoccupati. Gli 80 gradi erano stati superati, e a quel punto bisognava evitare – a qualunque costo – di raggiungere i 90.

Il contatto radio con la sonda durava solo qualche ora e terminava alle 15 Utc – il tempo coordinato universale, che corrisponde al fuso orario di Greenwich. Considerando la distanza di Rosetta, i comandi impiegavano circa 2 minuti e 36 a raggiungerla. Alle 14.50, ormai alle strette, Ferri decise che bisognava caricare la lista di comandi per ruotare la sonda. Non c’era più tempo. Alle 14.59, pochi secondi prima dell’interruzione del segnale, compare il semaforo verde nello schermo dei comandi: Rosetta li aveva ricevuti, ed era pronta a eseguirli. E l’avrebbe fatto.

Tutto risolto, dunque? Forse. La verità è che alcuni problemi che sorsero dopo, durante la missione, e che rischiarono seriamente di comprometterla, potrebbero essere riconducibili a quell’aumento di temperatura dei propulsori. Anche se non fu mai possibile dimostrarlo.

Paolo Ferri
Sono state un paio di settimane…abbastanza critiche e speravamo appuntoche questa temperatura non andasse sopra i 90 gradi. Alla fine non c’è andata ma, insomma, ce la siamo sudata in quelle settimane.

2. Il problema del sorvolo di Marte in eclissi

Valentina Guglielmo
Un mese dopo, Rosetta arrivò al perielio – il punto di massimo avvicinamento al Sole. Il team aveva capito come trattare la situazione e la sonda, che infatti non si riscaldò troppo. E il Sole, che in questo primo episodio è sembrato essere più che altro una minaccia per la sopravvivenza della sonda, tornava ad essere la sua insostituibile fonte di energia e di vita. Senza il Sole, Rosetta non poteva vivere. Per questo, quando una mattina d’estate del 2003, alcuni mesi prima del lancio, ci si rese conto che la sonda avrebbe dovuto compiere un’orbita attorno a Marte completamente all’ombra, la prima reazione fu lo sconforto.

Paolo Ferri
Ci ha colti di sorpresa, quello è stato un errore nostro perché abbiamo dovuto rifare tutta l’analisi di missione di corsa. Cancellato il lancio nel gennaio abbiamo passato tre mesi a trovare la nuova missione, l’abbiamo trovata in aprile e il lancio era previsto per il febbraio successivo. Di colpo quando abbiamo avuto la nuova missione abbiamo dovuto fare l’analisi di missione in cui si guarda tutto quello che può succedere nelle varie fasi e abbiamo trascurato una cosa ha scoperto una mia giovane collaboratrice. E l’ha scoperta mesi dopo: durante il sorvolo di Marte facevamo con una fase di 24 minuti in eclisse, cioè passando nel cono d’ombra di Marte. Uno dice vabbè 24 minuti, fai un viaggio di 10 anni, che problema c’è. Invece Rosetta era stata progettata per avere sempre il Sole sui pannelli solari e non perderlo mai, per cui anche tutto il software di bordo partiva da quel presupposto: se perdo il Sole c’è un problema, significa che ho perso l’assetto, allora devo fare questo, devo fare quest’altro… Poi per fortuna avevamo delle piccole batterie a bordo che servivano per una certa fase durante il lancio in cui poteva andare in eclissi altrimenti sarebbe morto il satellite durante questi 24 minuti, perché aveva bisogno del dei pannelli solari. Quindi quando abbiamo scoperto questo abbiamo detto “oddio che facciamo adesso”. Ci abbiamo messo mesi a inventarci una procedura che facesse sopravvivere con quelle piccole batterie Rosetta per 24 minuti al buio, e poi anche riprogrammare il software per dirgli “Non ti preoccupare se in quei 24 minuti perdi il Sole”. Detto così sembra semplice ma se lei ha visto il film Apollo 13 è molto paragonabile a quando questi dovevano rientrare abbandonando il modulo lunare che li aveva tenuti in vita e passare l’ultima ora o due nella capsula che era morta e aveva pochissima energia nelle batterie, e hanno dovuto studiarsi metodi per farla sopravvivere con poca energia. Noi abbiamo avuto lo stesso problema, ma con molto più tempo per studiarlo. Però alla fine questo è stato un problema molto grave. Eravamo in piena fase di preparazione e appunto questa mia collega mi entra in ufficio e mi dice “Ma lo sapevi che abbiamo l’eclisse a Marte” e io dicevo “No non abbiamo l’eclisse a Marte, Rosetta non può volare in eclisse”. E lei mi mette di fronte un documento che avevo che avevo già visto, ma tutti, anche quelli che l’hanno prodotto si erano dimenticati di questo di questo vincolo. E questo succede quando il lavoro di anni lo si concentra in pochi mesi.

Valentina Guglielmo
Il sorvolo di Marte, in effetti, era previsto per febbraio 2007, esattamente tre anni dopo il lancio. Si trattava di una manovra imprescindibile per la riuscita della missione, cioè per far arrivare Rosetta all’incontro con la cometa. In inglese si chiama fly-by, in italiano “fionda gravitazionale” e, proprio come suggerisce il nome, è una manovra che sfrutta il campo gravitazionale di un pianeta per accelerare una sonda e farle cambiare direzione. Nel caso di Rosetta, per riuscire a mettersi nella traiettoria giusta, e con l’inclinazione giusta, passare 24 minuti nell’ombra di Marte era obbligatorio. E, come abbiamo sentito, le batterie di Rosetta erano piccole e avevano un’autonomia davvero ridotta. Il rischio era che non durassero così a lungo.

Usarle, però, era l’unica strada. Bisognava elaborare una strategia che minimizzasse i consumi della sonda e permettesse di mantenerla in vita per 24 minuti con le batterie. Anzi, addirittura ipotizzando che dopo tre anni di volo almeno una di queste non fosse più funzionante. Due batterie su tre, dunque, e tutti gli strumenti scientifici spenti. E, come prima, qualcuno non era d’accordo. Primi fra tutti gli scienziati, che attendevano il sorvolo di Marte per osservare il pianeta.

Paolo Ferri
A un certo punto abbiamo detto, va bene, abbiamo guardato approssimativamente: le batterie ci sono, al software ci pensiamo dopo, termicamente, massì ce la faremo, va bene lanciamo! E poi abbiamo lanciato. Era marzo 2004 – alla fine abbiamo lanciato qualche giorno dopo dell’apertura della finestra – e Marte era marzo del 2007. Avevamo 3 anni per prepararci. Benissimo: ho detto a uno del team “Tu ti occupi della fase di Marte” e lì per mesi abbiamo dovuto vedere appunto cosa succedeva col satellite, quanto si raffreddava in questi 24 minuti al buio, ehm, cosa succedeva con la potenza. Essendo 3 anni dopo il lancio abbiamo fatto tutti i conti come se una delle tre batterie fosse guasta. Questo si fa spesso nei piani di preparazione, si dice “devo arrivarci tra 10 anni (in questo caso tra 3 anni) e devo supporre che qualche cosa si guasta”. Quindi abbiamo fatto tutti i conti con due batterie, sperando poi di averne tre, però tutto doveva funzionare con solo due batterie; poi abbiamo spento tutto il payload, cioè abbiamo detto prima di tutto spegniamo il payload che sono gli strumenti scientifici…e lì apriti cielo: gli scienziati arrivati a Marte volevano fare le loro operazioni, fare le foto, fare le misure, fare le calibrazioni, eccetera. È stata una lotta furibonda perché tutti ce l’avevano con me ovviamente. Io allora ero responsabile della missione, ero lo Spacecraft operations manager e dovevo andare a questi meeting con tutta la comunità scientifica di Rosetta che era lì coi pomodori e le uova marce praticamente. Me ne hanno dette di tutti i colori, che io ero un codardo ero mi stavo prendendo troppi margini e mettevo a repentaglio la missione. E io dicevo “Signori io metto a repentaglio la missione se questo affare si spegne durante quei 24 minuti”. Allora ho tenuto duro alla fine. Gli scienziati poi son fatti così, vogliono sempre di più, sono un po’ come i bambini, vogliono sempre più di quello che in realtà gli serve. E quindi alla fine abbiamo spento tutto e avevano ragione a dire che mi sono preso tanti margini ma Marte era febbraio 2007 e io dovevo volare altri 7 anni e poi fare la mia missione sulla cometa. Io non potevo rischiare niente, quindi è vero abbiam preso tanti margini e infatti la terza batteria non si è guastata e avevamo tutto il margine di energia che volevamo. Termicamente no eh, abbiamo avuto un po’ di problemi, abbiamo dovuto fare anche calcoli sulle ruote di reazione, le differenze di gravità con Marte, insomma è stato molto complesso fare un modello di cosa sarebbe successo termicamente e da un punto di vista di potenza elettrica in quei 24 minuti. Non è facile, e stavamo lì a contare i Watt, eh, cioè 1 Watt qui 2 Watt là, e per questo certi scienziati che magari mi consumavano 10 Watt alla fine li avrei potuti tenere accesi, ma a priori non potevo.

Valentina Guglielmo
I 24 minuti di eclissi dietro Marte sarebbero iniziati intorno alle 3 del mattino ora locale al centro controllo di Darmstadt, del 25 febbraio 2007. Per la precisione, la sonda sarebbe scomparsa dietro al Pianeta alle 3.13, perdendo il contatto radio con la Terra, mentre la fase di eclissi dal Sole – e quindi l’entrata in ombra – sarebbe cominciata circa 2 minuti dopo. Alle 3.28 la sonda sarebbe riapparsa dietro Marte, di nuovo visibile al segnale radio dalla Terra, mentre l’uscita dall’ombra era prevista per le 03.40. Quattordici minuti di apnea in sala controllo, che fortunatamente finirono puntualissimi all’orario previsto. Così come l’uscita dall’ombra del Sole. Rosetta riattivò i pannelli solari /e riprese a respirare normalmente. E con lei tutto il team.

[stacco musicale]

3. Le manovre di rendez-vous e i problemi con i propulsori]

Il grande obiettivo di Rosetta arrivò sette anni dopo il lancio, nel 2011, con la prima manovra che avrebbe messo la sonda sulla stessa orbita della cometa, per fare in modo che la raggiungesse nel 2014. La cosiddetta manovra di rendez-vous.

[musica]

Ancora una volta, a causa del cambio destinazione, la modifica di traiettoria che Rosetta doveva eseguire era stata riadattata e divisa in due parti. Una prima parte da eseguire nel gennaio 2011, e una da eseguire nella primavera del 2014. E fra una e l’altra, vi starete forse chiedendo? Nulla, Rosetta sarebbe stata messa in uno stato di ibernazione, una sorta di sonno profondo, per due anni, sette mesi e 12 giorni(pag. 197). Un letargo obbligatorio per sopravvivere e risparmiare energia nel lungo inverno cosmico durante il quale la sonda si sarebbe allontanata sempre di più dal Sole. Un inverno in cui, proprio a causa della crescente distanza dalla nostra stella, non ci sarebbe stata abbastanza luce solare sui pannelli per alimentare i suoi sistemi. Questo periodo Rosetta sarebbe cominciato – e finito – a una distanza dal Sole di circa 670 milioni di km dal Sole, mentre durante il periodo di ibernazione la sonda sarebbe arrivata a quasi 800 milioni di km dalla nostra stella.

[fine musica]

Attenzione, mandare in letargo Rosetta non voleva dire spegnerla completamente. L’ibernazione somiglia di più alla modalità di “risparmio energetico” che si attiva quando il vostro telefono ha poca batteria, e decide di destinare la poca energia che rimane alle funzioni essenziali.

Nel caso di Rosetta, voleva dire tenere i pannelli solari rivolti sempre al Sole per approfittare di ogni singolo fotone in arrivo, mantenere attivo il sistema di controllo termico, e alcuni riscaldatori; Durante tutto il periodo però la sonda non avrebbe potuto comunicare via radio con la Terra, e da Terra non sarebbe stato possibile intervenire in caso di problemi. Il risveglio era previsto per il 20 gennaio 2014, quando Rosetta sarebbe tornata a 672 milioni di km dal Sole.

Ma torniamo alla prima manovra di rendez-vous, nel gennaio 2011, poco prima di addormentare Rosetta. L’obiettivo finale / era aumentare la velocità della sonda / di 5760 chilometri all’ora. Rosetta era dotata di quattro piccoli propulsori, in grado di fornire, singolarmente, una spinta piuttosto ridotta. Per questo, la manovra doveva durare in totale 17 ore. Il team della missione aveva deciso di suddividerla in sei fasi: le prime due della durata di circa sei ore il 17 e 18 gennaio, poi altre due di aggiustamento un po’ più brevi, e infine gli ultimi ritocchi il 10 febbraio e il 3 marzo.

All’epoca, Paolo Ferri era direttore di volo e Andrea Accomazzo operations manager. Sentiamo la sua spiegazione delle manovre di rendez-vous.

Andrea Accomazzo
Il rendez-vous con la cometa è avvenuto nel 2014, quando Rosetta ha raggiunto la cometa. Noi ci eravamo dati una definizione artificiale di rendez-vous quando la velocità relativa dei due corpi fosse stata sotto al metro al secondo. Abbiamo detto: lì abbiamo veramente raggiunto la cometa, ed è stato nell’agosto del 2014. Però per arrivare a quel momento abbiamo dovuto passare diversi anni per accelerare Rosetta e portarla su un’orbita diciamo simile a quella della cometa per poi raggiungerla, e questo ha comportato diverse fionde gravitazioniali coi pianeti, ma ha anche comportato una serie di grosse manovre che abbiamo dovuto fare quando eravamo nella fase più lontana dal Sole. Con manovre intendo cambi di velocità di Rosetta. Praticamente Rosetta avendo ingrandito l’orbita intorno al Sole usando la Terra come fionda di lancio aveva il suo perielio dell’orbita – ovvero la parte dell’orbita più vicina al Sole – alla stessa distanza della Terra dal Sole, e noi con queste manovre abbiamo aumentato l’afelio che è la parte più lontana dell’orbita. Quindi avevamo un’orbita molto ellittica che nella parte più lontana più o meno raggiungeva l’orbita della cometa, ma nella parte più vicina no, era più vicina al Sole di quanto fosse l’orbita della cometa. La cometa aveva un per aveva un perielio di circa 1,25 unità astronomiche, Rosetta ce l’aveva di 1 ua. Quindi, una delle manovre che noi abbiamo dovuto fare era alzare il perielio dell’orbita di Rosetta e per farlo il punto ideale dove fare una manovra, quindi un cambio di velocità, era farla all’afelio. Accelero all’afelio e mi si alza la quota del perielio. Il problema di Rosetta è che durante l’afelio era talmente lontana dal Sole che veniva messa in ibernazione. Noi abbiamo ibernato Rosetta dal giugno del 2011 al gennaio del 2014, quindi durante quella fase che invece era l’ideale dal punto di vista economico di propellente non potevamo fare questa manovra. Allora, l’unico modo è stato dividere questa manovra in due: ne abbiamo fatta una parte prima di entrare in ibernazione e una parte dopo essere usciti. Chiaramente è costata di più del valore teorico in termini di propellente, però era l’unico modo di farlo. Queste due sono state fatte con molteplici spari dei motori di bordo, la prima manovra è stata fatta tra gennaio e febbraio del 2011, la seconda è stata fatta tra maggio e agosto del 2014.

Valentina Guglielmo
La velocità finale raggiunta da Rosetta al termine delle due manovre, ovvero la velocità della cometa, era di 16 chilometri al secondo, che sono circa 57600 chilometri all’ora. E pensate che questa è la velocità di crociera minima, per la cometa, quella che possiede quando si trova molto lontano dal Sole; avvicinandosi, come tutti i corpi in orbita attorno al Sole quando raggiungono il perielio, la velocità aumenta. Nel caso di Churyumov-Gerasimenko, fino a 33 chilometri al secondo, quasi 120mila chilometri all’ora.

Per fare un confronto, la Terra si muove nello spazio attorno al Sole a 30 chilometri al secondo – ovvero in media 108mila chilometri all’ora.

Quello di cui ci si doveva occupare nel caso di Rosetta, comunque, non era tanto la velocità assoluta che avrebbe raggiunto la sonda, quanto la differenza di velocità fra i due corpi. Che andava azzerata in modo che si incontrassero. Cominciamo dall’inizio.

Andrea Accomazzo
Ed è proprio durante queste manovre, in realtà il primo set, che abbiamo avuto dei grossi problemi con il sistema di propulsione. In realtà sono problemi che avevamo già osservato nel passato, parecchi anni prima e anche pochi mesi dopo il lancio durante una grossa manovra, un cambio di velocità che avevamo fatto. Ma non eravamo mai stati in grado di spiegarli e non ci avevano preoccupato più di tanto. Gli ingegneri che avevano costruito Rosetta avevano guardato e avevano dato delle spiegazioni non completamente convincenti, ma nessuno è stato in grado di determinare cosa fossero queste anomalie che vedevamo. Non ci siamo preoccupati più di tanto perché in fondo non avevano causato nessun problema. Noi vedevamo che c’era in particolare uno dei motorini dei propulsori di Rosetta che non funzionava bene e aveva una temperatura della camera di combustione durante il funzionamento che era nominale per un certo periodo di tempo e poi durante la combustione improvvisamente scendeva. Vedevamo che c’era un leggero scostamento di assetto della sonda, quindi un disturbo, però alla fine la manovra era stata completata e non ci ha dato nessun problema, quindi non ci abbiamo più pensato. Durante la prima manovra ricordo ero di turno, era il gennaio del 2011, direi 20-21 gennaio, ed ero in turno con un collega Roberto Porta. E già durante questa manovra abbiamo visto che questo fenomeno si è ripresentato e si presentava soltanto quando queste fasi di propulsione erano prolungate, mentre la maggior parte delle manovre che avevamo fatto fino a quel momento erano piuttosto corte – tranne quella famosa che ci aveva rivelato il problema la prima volta. Però questa manovra è stata portata a termine senza problemi, abbiamo riscontrato questo problema che avevamo visto anni prima però non è successo più di tanto. La seconda manovra era prevista non ricordo adesso se fosse 24 ore dopo o 48 ore dopo. Comunque, uno o due giorni dopo, di nuovo di notte, comincia la manovra che doveva sparare circa 5 ore e dopo un’ora e mezza vediamo che il problema si ripresenta. Si ripresenta in maniera più significativa fino a quando lo scostamento dell’orientamento della sonda da quello nominale è andato oltre una certa soglia di monitoraggio e la sonda automaticamente ha deciso di interrompere la manovra perché stava perdendo il controllo dell’assetto – o aveva passato certi limiti. La sonda ha interrotto la manovra e resettato completamente tutto il suo assetto: abbiamo avuto un Safe Mode, un reset del computer dove ferma tutto e riparte.

Valentina Guglielmo
Ricapitolando il problema, dei quattro motori di cui era dotata Rosetta, due, e uno in particolare, dopo un po’ andava in un regime di combustione diverso dagli altri e forniva meno spinta, e quindi la sonda aveva uno scostamento di assetto, e cominciava a inclinarsi da un lato. Durante la seconda delle sei manovre di rendez-vous, questo scostamento dall’orientamento nominale ha superato la soglia di guarda di due gradi, e Rosetta ha risposto all’emergenza facendo scattare un safe mode. Si tratta di un meccanismo di difesa con il quale la sonda interrompe qualunque attività, si resetta, punta i pannelli solari verso il Sole per garantire di avere sempre energia e punta l’antenna verso Terra per garantire la comunicazione. E poi si mette in attesa che qualcuno capisca e risolva il problema.

Andrea Accomazzo
Però, dopo noi non sapevamo come fare perché noi avevamo l’urgenza di fare le manovre successive perché poi ci saremmo discostati dal punto ideale della traiettoria di Rosetta dove fare le manovre che avevamo pianificato, e a giugno dovevamo entrare in ibernazione. Avevamo questo enorme problema che la sonda non funzionava e non ci permetteva di fare le manovre. Quelli sono stati giorni e momenti critici perché non avevamo la più pallida idea di come fare a terminare queste manovre, perché vedevamo che ogni volta che andavamo a usare questi motori per un periodo prolungato si manifestava questo problema. C’è da dire una cosa: questi motori venivano usati in maniera diversa nella fase iniziale di spinta e dopo un 20 minuti, quando entravano in un modo di funzionamento diverso, e questo problema si è sempre manifestato soltanto dopo i 20 minuti iniziali. Questi 20 minuti iniziali venivano usati per fare una rampa di spinta in cui la spinta viene gradualmente modulata diventando sempre maggiore. All’inizio i motori vengono aperti o sparati per un periodo molto breve, stiamo parlando di frazione di secondo, e questo intervallo di tempo in cui i motori sparano aumenta sempre di più nei 20 minuti.

Questo vien fatto per non dare uno shock di accelerazione al satellite e per dargli il tempo affinché tutto il propellente che ha nei serbatoi venga gradualmente schiacciato verso il basso, in direzione dei motori. In modo che anche i grossi pannelli solari non vadano in oscillazione, che pian piano prendano un’accelerazione per cui vanno leggermente a piegarsi ma non che comincino a sbattere d’improvviso. E ci siamo resi conto guardando i dati che questo problema si manifestava soltanto alla fine di questa rampa dove i motori venivano usati al 100 per cento ovvero permanentemente aperti. Quindi abbiamo cominciato a realizzare che il problema era chiaramente collegato al fatto che i motori fossero in questo stato di permanente sparo e io a un certo punto ho detto “Sentite, proviamo a estendere questa condizione di funzionamento di rampa”. Quindi, quando i motori arrivano al 95 per cento, invece di arrivare allo stadio successivo del 100 per cento, programmiamo il satellite per cui continua a sparare anche quando sono passati 20 minuti. In questo modo, che chiamiamo off modulation quindi motori stanno aperti per una frazione di secondo, poi si chiudono e si riaprono. Quindi teniamo la combustione sempre in quel regime lì e non nel regime continuo.

Ci abbiamo pensato e abbiamo visto che tecnicamente era possibile, bastava comunicare un parametro diverso al software di bordo del satellite. Tutto ha funzionato bene, e quindi siamo andati poi a eseguire le manovre successive con un po’ di ritardo. C’è stata chiaramente un minimo di penalità di utilizzo del propellente rispetto al piano originale però abbiamo risolto il problema, fondamentalmente l’abbiamo aggirato, perché a quel punto avevamo visto i sintomi abbiamo evitato che i sintomi si manifestassero quindi non abbiamo più avuto la sonda che perdeva leggermente il controllo d’assetto però non avevamo ancora capito il problema. È stato un momento abbastanza preoccupante perché mai ci saremmo aspettati di avere problemi del genere e se avessimo perso quel set di manovre lì non avremmo raggiunto la cometa, quindi, la questione era se avevamo ancora una missione o non avevamo più una missione. Ripeto, non è stato un giorno o alcune ore, è stato su un tempo di diversi giorni però è stata sicuramente una fase dove tutti avevamo il livello di attenzione al massimo.

Valentina Guglielmo
L’origine del problema non fu mai chiarita, ma Accomazzo durante il nostro incontro mi ha confessato che, a parere suo, alcuni problemi al sistema di propulsione che avevano disturbato sin dall’inizio il viaggio di Rosetta potevano essere riconducibili a quel surriscaldamento iniziale vicino al Sole.

Comunque, in un modo o nell’altro, le prime manovre di rendez-vous furono completate. E si arrivò all’ultima, una piccola manovra che doveva aggiustare la velocità di Rosetta di 16 chilometri al secondo, da eseguire il 10 febbraio 2011. Quel giorno Ferri doveva volare al quartier generale dell’Agenzia spaziale europea a Parigi per riportare, il mattino seguente, l’esito dell’ultima manovra che si sarebbe svolta nel corso della serata e della notte.

Pochi minuti dopo l’inizio della manovra, alle 18.38, riceve una chiamata da Accomazzo: “Paolo, siamo di nuovo in safe mode”.

Paolo Ferri
L’ultima manovra io ero a Parigi perché dovevo raccontare a tutti i delegati degli stati membri dell’Esa che periodicamente si incontrano tre volte all’anno – la manovra avveniva la sera prima dell’incontro dei delegati si chiama Spc, Science program committee – e io dovevo raccontare com’era andata la manovra. In realtà era la sera tra i due giorni del meeting: il primo giorno sono stato al meeting, poi io sono andato in un ufficio lì nella nostra sede di Parigi ad aspettare che quelli dell’Esoc mi raccontassero com’era andata la manovra. Eravamo al telefono in tempo reale, la manovra è partita e c’è stato un Safe Mode. Io ho detto “Porca miseria”, e quindi sono stato lì ad aspettare che tornasse il segnale, Andrea che mi chiamava e alla fine m’ha detto “Senti non sappiamo niente, adesso recuperiamo e ci pensiamo”. E così io sono andato a dormire, anzi prima sono andato al ristorante, tardi, e poi sono andato a dormire, e dicevo “domani che gli racconto a questi”. Il giorno dopo avevo 22 stati membri di fronte che volevano sentire da me che la manovra era stata fatta bene. Il mattino dopo il meeting iniziava alle 9:00 e alle 8:00 al telefono con l’Esoc mi hanno chiamato dicendo che non c’entrava niente né coi propulsori, né con la pressione né, col problema che avevamo avuto. Niente. Era stato un problema operativo, avevamo sbagliato un comando nel programmare la manovra e quindi è stato un errore nostro. Tanto è vero che io ho raccontato e ho detto “Signori, ci manca solo quest’ultimo pezzo, ieri sera l’abbiamo fatto ma c’è stato un problema, abbiamo mandato un comando sbagliato e si è interrotta la manovra. La facciamo la settimana prossima”. Infatti, poi l’abbiamo fatta e finita, però son stati i momenti un po’ tesi devo ammettere.

Valentina Guglielmo
Una cosa che mi stupisce, dai suoi racconti ma anche leggendo i suoi libri. Ci sono tante situazioni che lei racconta in cui a un certo punto dice “ok, andiamo a letto, ci pensiamo domani”. Ma come si fa?

Paolo Ferri
Eh, non lo so, forse è una cosa che si sviluppa questa, l’ho fatto per tanti anni. E devo dire che sono capace di dormire specialmente quando c’è un problema, perché ho imparato che mi sveglio al mattino con la soluzione o con le idee molto più chiare. Questa non è una storia no, ce lo raccontano da bambini, ci dicono “se hai un problema vai a letto ti svegli con la soluzione”. È verissimo questo e probabilmente nel sonno si rielabora o probabilmente si è molto stanchi e a un certo punto si deve andare a dormire. Il mattino dopo istantaneamente il cervello funziona meglio e le cose che la sera prima sembravano irresolubili di colpo sono ovvie. Questo mi è successo tantissime volte nella mia vita per cui in qualche modo si impara. Ora, ci sono stati momenti in cui non era possibile andare a dormire, io ho avuto momenti in cui io sono stato seduto alla stazione di lavoro per 16 ore senza alzarmi e alla fine non mi funzionavano più neanche le gambe, perché non si poteva interrompere. Oppure momenti quando eravamo sulla cometa, io andavo a casa e vabbè andavo ma letto dormivo agitato per 3 ore e poi tornavo in Esoc. Però sono casi, non è tutta la vita. Ci siamo stati 64 ore sulla cometa e non si vuol perdere neanche un’ora di quelle cose lì.

Però sono stati casi un po’ particolari e generalmente quando c’è un problema arriva il punto in cui uno deve dormire altrimenti non lo risolve, mentre il mattino dopo stranamente lo risolve facilmente. In questo caso io non potevo fare nulla, il mio problema era cosa raccontare ai delegati il giorno dopo. Era un problema un po’ più, se vogliamo, psicologico che altro e sono stati i ragazzi che hanno lavorato di notte per capire il problema. Tra l’altro non ci hanno messo neanche tanto perché quando è un errore di un comando è più facile da riconoscere. Quindi il mattino dopo hanno aspettato le 8:00 per chiamarmi. E vabbè io ero ovviamente ero infuriato perché abbiamo fatto un errore operativo, a me sarà successo tre o quattro volte nella mia vita che abbiamo mandato un comando sbagliato, quindi sentirti dire che è stato fatto un errore non ti piace. Tanto è vero anche lì una volta tornati abbiamo chiesto com’era la procedura di planning, il tool, come mai, e ci siamo reinventati le cose per cercare di evitare che succedesse ancora. Però ero sollevato, potevo dire sinceramente a quelli dell’Spc che la manovra sarebbe stata finita senza problemi e che quello del giorno prima era una un incidente di passaggio.

[inizio musica]

Dopo 31 mesi di ibernazione, Rosetta si risvegliò puntuale il 20 gennaio 2014 alle 11 del mattino – ora italiana. Il secondo set di manovre di rendez-vous, nella primavera del 2014, andò bene: Rosetta riuscì a raggiungere la cometa e a mettersi in orbita attorno ad essa in agosto. Finalmente Churyumov-Gerasimenko si poteva vedere da vicino. La sua forma somiglia un po’ a quella di una paperella da vasca da bagno, mi ha detto una volta Fabrizio Capaccioni, un ricercatore italiano che ha lavorato nel team scientifico della missione Rosetta come responsabile di uno dei suoi strumenti scientifici. Una forma così nessuno se l’aspettava, e se adesso può far sorridere, alle prime immagini scattate da Rosetta gli scienziati si sono messi le mani nei capelli. Quei due pezzi di roccia attaccati da un ponte centrale che ricorda – appunto – una paperella, non sembravano esattamente un terreno sicuro in cui atterrare. Perché, come dicevamo all’inizio, Rosetta portava sul groppone da dieci anni il piccolo lander Philae, che sarebbe dovuto atterrare sulla cometa il 12 novembre 2014. Inevitabilmente il luogo in di atterraggio finì per essere piuttosto accidentato, e il modo in cui Philae ci arrivò fu a dir poco rocambolesco. Tuttavia, fu ritenuto un successo dal punto di vista della missione e di chi ci lavorava, anche se, leggendo quanto ha riportato all’epoca la stampa – soprattutto quella italiana – sembrò più un fallimento che un successo. Per sapere come mai, vi rimando al prossimo episodio e al racconto di Paolo Ferri. Io sono Valentina Guglielmo e questo è Houston, un podcast di Media Inaf che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali.

[fine musica]


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