L’adesivo triangolare si troverà affisso sulle porte dei dipendenti che avranno seguito il corso di formazione per le “Safe Zone Inaf”
Come trasformare il proprio ufficio, studio o laboratorio in un ambiente sicuro e inclusivo? Lo scopriranno a partire da domani, mercoledì 22 gennaio, i circa 170 dipendenti – 110 donne e 60 uomini – dell’Inaf, l’Istituto nazionale di astrofisica, che hanno risposto all’offerta di un corso di formazione online sulle cosiddette safe zone. Il corso, della durata complessiva di sei ore, sarà tenuto da Roberto Baiocco, professore al Dipartimento di psicologia dello sviluppo e psicologia dell’educazione della Sapienza. Al termine della formazione, i partecipanti riceveranno un adesivo identificativo “Safe Zone” da apporre sulla porta della propria stanza e un’attestazione, diventando punti di riferimento per promuovere l’inclusività nelle sedi dell’Inaf.
Per capire a chi si rivolgono e che funzione avranno le safe zone abbiamo raggiunto Silvia Piranomonte, astronoma e membro del Comitato unico di garanzia dell’Inaf che, insieme a Vito Giacalone (responsabile all’Inaf del benessere organizzativo) e al prorettore della Sapienza Fabio Lucidi, ha portato a termine l’accordo per inserire nel corso di formazione l’Inaf – primo ente di ricerca italiano a implementare le safe zone.
Piranomonte, che cos’è esattamente una safe zone?
«Le safe zone sono spazi di ascolto e condivisione pensati per promuovere inclusione, supporto e sicurezza all’interno delle comunità accademiche e di ricerca. Sebbene il concetto sia nato negli Stati Uniti nell’ambito dell’attivismo Lgbtq+ nei college e nelle università, oggi si è ampliato per abbracciare l’ideale moderno di libertà, affermando che tutti gli esseri umani, indipendentemente dalle differenze, sono uguali in dignità e diritti. Questi spazi offrono un ambiente in cui chiunque, in particolare le persone appartenenti a minoranze sessuali e di genere, può esprimersi pienamente dal punto di vista sociale, emotivo e intellettuale. Gli operatori delle safe zone ricevono una formazione mirata su tematiche legate al genere, agli orientamenti sessuali e alle identità di genere, per comprendere i fattori che riducono la discriminazione e aumentano il benessere».
Diceva che hanno avuto origine negli Stati Uniti. In Italia ci sono istituzioni che le hanno già adottate? Con quali risultati?
«Le safe zone, già implementate in università italiane come Sapienza a Roma e l’Università di Torino, e in numerose università e organizzazioni internazionali, hanno dimostrato di migliorare il senso di comfort e sicurezza percepito negli ambienti di lavoro, aumentare la visibilità delle persone appartenenti a minoranze, rafforzare il supporto esterno, aumentare il coinvolgimento delle comunità accademiche su temi legati alla diversità e alla consapevolezza sulle problematiche di genere e identità riducendo così i conflitti interni e migliorando il benessere generale all’interno degli ambienti di studio e lavoro».
Ma concretamente come funzionano? A chi si rivolgono?
«In Inaf l’obiettivo è rendere le safe zone accessibili a studenti e a tutto il personale. Al termine della formazione, verranno distribuiti gli adesivi “Safe Zone Inaf” che identificheranno chiaramente i luoghi e le persone a cui rivolgersi. Questa iniziativa non solo rappresenta un forte messaggio di inclusione e supporto, ma contribuisce a creare una comunità in cui il rispetto e il benessere delle persone siano centrali».
Ci può fare un esempio?
«Per esempio, un/una dipendente Inaf, un/una contrattista, uno/a studente o studentessa che si senta discriminato/a, che viva difficoltà legate alla propria identità di genere, o si percepisca poco valorizzato/a, può trovare un ascolto empatico e confidenziale nella safe zone. La safe zone non è altro che lo spazio offerto da un/una collega formato/a, riconoscibile grazie all’adesivo “Safe Zone Inaf” affisso fuori dalla sua porta. In questo spazio, la persona troverà qualcuno in grado di ascoltarla e aiutarla a esplorare opzioni concrete per affrontare la situazione. Tuttavia, le safe zone non si limitano all’ascolto: grazie a una rete visibile e competente, possono anche indirizzare le persone verso risorse specifiche dell’ente, come supporto psicologico o legale interno, o altri servizi offerti dall’Inaf».