L’ARTICOLO È PUBBLICATO SU NEUROLOGY

Lo spazio fa venire il mal di testa?

Un nuovo studio ha scoperto che gli astronauti che non hanno mai sofferto di mal di testa in precedenza possono soffrire di emicrania e cefalea di tipo tensivo durante i voli spaziali di lunga durata, ovvero che prevedono una permanenza nello spazio superiore a dieci giorni

     13/03/2024

Da sinistra: Alexander Grebenkin di Roscosmos, Matthew Dominick e Jeanette Epps della Nasa all’interno del modulo Destiny della Stazione spaziale internazionale. Crediti: Nasa

Il mal di spazio, così come il mal d’auto, il mal di mare o il mal di montagna, esiste. La causa, in questo caso, è l’assenza di gravità – o meglio, la microgravità – e i sintomi sono molto simili: nausea, vomito, vertigini e mal di testa. Di solito migliora man mano che il corpo si adatta alla nuova condizione, nel giro di due o tre giorni. Alcuni di questi sintomi, però, potrebbero diventare persistenti durante i soggiorni spaziali lunghi. Il mal di testa, ad esempio. Un gruppo di ricercatori olandesi ha condotto un’indagine su 24 astronauti di varie agenzie spaziali, fra cui quella europea, che abbiano partecipato ad almeno una missione sulla Stazione spaziale internazionale, trovando appunto una correlazione fra permanenza nello spazio e insorgenza ripetuta del sintomo. Lo studio è stato pubblicato oggi su Neurology, la rivista medica della American Academy of Neurology.

«I cambiamenti di gravità causati dal volo spaziale influenzano il funzionamento di molte parti del corpo, compreso il cervello», spiega Willebrordus P. J. van Oosterhout, ricercatore al Leiden University Medical Center nei Paesi Bassi, e primo autore dell’articolo. «Il sistema vestibolare, che influenza l’equilibrio e la postura, deve adattarsi al conflitto tra i segnali che si aspetta di ricevere e quelli che riceve effettivamente in assenza di gravità normale. Questo può portare alla cinetosi spaziale nella prima settimana, di cui il mal di testa è il sintomo più frequentemente riportato».

Lo studio, dicevamo, ha coinvolto 24 astronauti dell’Agenzia spaziale europea, della Nasa e della Jaxa – l’agenzia spaziale giapponese – che sono stati assegnati a spedizioni sulla Stazione spaziale internazionale per un massimo di 26 settimane fra novembre 2011 e giugno 2018. Prima dello studio, nove astronauti avevano dichiarato di non aver mai avuto mal di testa a terra, mentre tre avevano avuto episodi di mal di testa che aveva interferito con le loro attività quotidiane nell’ultimo anno. Nessuno di loro, comunque, soffriva di mal di testa ricorrenti o di emicrania.

Durante la loro missione spaziale, gli astronauti hanno compilato un questionario giornaliero per i primi sette giorni e un questionario settimanale ogni settimana successiva per tutta la durata della permanenza nella stazione spaziale. In totale, 22 astronauti hanno riportato uno o più episodi di mal di testa durante il loro periodo di permanenza nello spazio. Dei mal di testa riportati, il 90 per cento (170) era di tipo tensivo e il restante 10 per cento (19) erano emicranie.

I ricercatori hanno anche scoperto che il mal di testa era di intensità maggiore e più frequentemente di tipo emicranico durante la prima settimana di permanenza nello spazio. Durante questo periodo, 21 astronauti hanno avuto uno o più mal di testa per un totale di 51 episodi. Di questi, 39 sono stati considerati di tipo tensivo e 12 (il 23,5 per cento, più del doppio rispetto alla statistica sull’intero periodo) di tipo emicranico.

Nei tre mesi successivi al rientro sulla Terra nessuno degli astronauti ha riportato mal di testa. Rispetto al mal di testa causato dal cosiddetto “mal di spazio”, che si esaurisce in pochi giorni, lo studio dimostra che questo sintomo può manifestarsi anche in un secondo momento durante il volo spaziale.

Per quanto riguarda le cause, nell’articolo si avanza qualche ipotesi, anche se questa ricerca si limita a evidenziare l’associazione fra sintomo (mal di testa) e circostanza (permanenza nello spazio). Occorre comunque invocare due diversi meccanismi, che differenziano il mal di testa dei primi giorni nello spazio da quello persistente nelle settimane successive. Nella prima settimana si verifica infatti l’adattamento all’assenza di peso. In assenza di gravità si assiste a una perdita dei segnali otolitici legati all’inclinazione, e l’ipotesi è che questo generi un conflitto tra i segnali attesi dagli organi sensoriali e quelli effettivi, che servono a determinare l’orientamento spaziale. Questa sarebbe anche la causa principale della cinetosi spaziale (il mal di spazio), di cui la cefalea è il sintomo più frequente. Durante il periodo di permanenza più lungo, invece, avviene una ridistribuzione dei fluidi corporei che interessa anche la testa e che potrebbe provocare spostamenti di fluidi intracranici ed extracranici, aumentando la pressione intracranica e scatenando mal di testa.

«Sono necessarie ulteriori ricerche per svelare le cause di fondo della cefalea spaziale ed esplorare come queste scoperte possano fornire spunti per le cefalee che si verificano sulla Terra», conclude Van Oosterhout. «Inoltre, è necessario sviluppare terapie più efficaci per combattere il mal di testa spaziale, che per molti astronauti rappresenta un problema importante durante i voli spaziali».

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